Certo che riuscire a trovare ogni volta – e con deadline sempre più ravvicinate – quel giusto compromesso tra business, creatività, glamour, sogno, fattibilità, traducendo concretamente tutto questo in vendita, in poche parole, convincendo tutti noi (che guardiamo le sue vetrine) all’acquisto non è cosa da poco…
Eppure questa donna, ogni volta, riesce a coordinare con naturalezza, perfezione e in un colpo solo in ogni sua vetrina (ovvero in quei pochi metri quadrati): marketing, stile, i must di collezione e i pezzi sui quali i grandi boss aziendali vogliono puntare in quella stagione. E tutto con naturalezza perché come lei stessa mi dice: “Dalle vetrine ne sono attratta sin da quando ero piccolissima”.
Questa settimana per Focus On ho incontrato Simonetta Simonelli una delle Visual Art Director più importanti del settore. Il suo laboratorio milanese (ovvero lo Studio Simonetta Simonelli) è un ritrovo di tutto ciò che negli anni ha fatto moda e ha fatto scuola. Dentro sei in una casa-ufficio-bottega-ritrovodiamici in mezzo ad accessori, mobili vintage e non, quadri, gioielli e tutto ciò che fa visual e tendenza.
Con lei parlo oggi di immagine, di visual merchandising e del suo lavoro : di creare, modellare, allestire, inventare, giocare con le vetrine dei marchi internazionali. Ma parlo con lei anche della storia della moda, del suo passato professionale accanto a Franco Moschino, Gianni Versace, Elio Fiorucci per passare poi ai suoi lavori per Dupont, Montblanc fino ai set con fotografi come Toscani, Newton e Lindbergh.
Simonetta mi racconta come ha iniziato il suo percorso nel visual diventando una delle più importanti esperte del settore? Dalle vetrine ne sono attratta sin da quando ero piccolissima. Abitavo a Marina di Carrara, non lontano dalla Versilia. Decisi che LE VETRINE erano ciò che volevo creare da grande. Le domeniche in passeggiata a Viareggio scatenavano in me la gioia quando guardavo oltre il “vetro” di quei bellissimi negozi, pronti ad accoglierti. Fiorucci fu la ciliegina sulla torta. Un caso. Non avevo i capelli blu né mi vestivo punk, solo un po’ ribelle e quando nel 1981 rientrata a Milano dagli studi in Inghilterra, un giovane Fiorentino vicino di casa e vetrinista, mi chiede in ascensore se voglio provare a lavorare con lui…quel viaggio cambia la mia vita; o meglio è lì che comincia . Era Renzo. Renzo Peroni, vetrinista di Fiorucci per il negozio di Milano, New York, Parigi… L’ho assistito per 10 anni e questa è la partenza, la fortuna che ho avuto nel Gennaio del 1981.
Lei ha vissuto in toto la moda degli anni 80 e 90, ha conosciuto e lavorato con alcuni tra gli stilisti più importanti al mondo. Che cosa ricorda di quegli anni? L’energia che si respirava nella Milanodabere era tutta nuova rispetto al presente. Posso permettermi di dirlo poiché da giovanissima ho davvero lavorato, allestito e concepito allestimenti e vetrine fantastiche gomito a gomito con Franco Moschino, Enrico Coveri, Luciano Soprani, Jean Paul Gaultier, Gianni Versace: con loro e di loro conservo i ricordi più piacevoli poiché si lavorava come un vero team, cosa che oggi specie nella moda, personalmente, non ritrovo più.
Quali sono gli elementi fondamentali che una shop-window deve avere per fare business ovvero per colpire, stupire un potenziale cliente? La creatività? Suggerire al compratore i trend di stagione? Oppure che altro? E’ il significato di ciò che proponi. Il significato di un prodotto, che, se non allineato alle strategie di marketing e commerciali dell’Azienda/brand, vanifica in un colpo. Una volta stabilito il messaggio… la creatività emerge: siano gioielli, scarpe, vestitini o caffettiere. Io parto dal prodotto, lo esamino, lo studio, e creo intorno ad esso un “ambiente”. Spesso ironizzando (la scuola Fiorucci) ma tenendo sempre conto del valore del brand come talvolta accadeva con Mont Blanc dove, la “reale stella bianca” diventava oggetto di trasformazione e assumeva effetti wow.
Tra tutti gli stilisti con i quali ha lavorato, chi pensa avesse – pur mantenendo una spiccata creatività – quel guizzo visual pratico che lo faceva essere anche un buon venditore al cliente finale? Il mio primo, primissimo giorno di lavoro fu per una importante presentazione Cartier che precedeva le vetrine di Fiorucci allestite insieme agli architetti Sottsass, Branzi, Mendini… e gli incontri con artisti travolgenti. Una gioia fu scegliere e passare le bombolette spray a Keith Haring in una nottata di lavoro nel negozio di Galleria Passarella a Milano nel lontano 1984! Difficile essere creativi e pure commerciali…! Franco Moschino: In quelle vetrine, ben pianificate, poteva accadere di tutto. Gianni Versace: la cura dei dettagli e la sua sensibilità con noi, addetti ai lavori..dove durante la mostra al castello sforzesco a Milano ha lasciato che la mise en scene fosse allestita da un piccolo, prezioso team del quale facevo parte, insiene a Giorgio Pulici, suo visual. Ho lasciato la moda a fine anni 90’ per esplorare il “lusso” e l’arredamento con un bagaglio “modaiolo” che ho applicato anche in questi ambiti che invece sono molto più severi a livello di visual comunication.
Quali sono le vetrine più difficili da ideare? E soprattutto ai quali di queste è più legate e le ha dato grandi soddisfazioni? La difficoltà purtroppo è quando gli interlocutori non sanno guardare oltre il prodotto, cosa che per un creativo è fondamentale e spesso diventa causa di compromessi. Soddisfazioni? Un austero brand come Mont Blanc è quello che mi ha permesso di bypassare la severità delle guide lines Internazionali e portare nelle vetrine di tutta Italia un po’ di sana e colorata Italianità.
Da qualche anno a questa parte, lei sta esplorando anche nuove strade sempre nel visual con bellissimi progetti come “Segno (d) segno”. Mi racconta dove è diretta la sua creatività? Segno(d)segno è un progetto creato con un grande amico scomparso da poco, l’architetto Paolo Armenise. Qui abbiamo concepito un percorso di visual experience che, condiviso da grandi aziende del mobile, è stato realizzato poi, anche con l’aiuto e l’inserimento di brand extra settore che hanno dato quel tocco di leggerezza che rifiniva un concetto di retail innovativo ed al quale aziende di lampade, salotti ed arredi di design non erano abituate. Tutto ruotava intorno alle luccicanti matite di Faber-Castell che erano il filo conduttore del “segno” che si trasformava in “disegno”.
Un’ultima domanda. Che cosa le piace fare durante il suo tempo libero, come si rilassa? Il tempo, che è il vero lusso di oggi, lo impegno a spostare mobili, oggetti, vestiti, libri e i miei animali nella mia casa-eremo in Toscana dove, da maggio a settembre ospito, accolgo e faccio rilassare i miei amici… prima ancora di pensare a me!