Drama, ombre, malinconia. E come lui stesso mi dice anche: “Se mi permette una quarta parola… aggiungerei: distacco”.
Sono i termini che contribuiscono a definire uno stile. E’ lo stile riconoscibile – molto riconoscibile – di Giovanni Squatriti uno dei più apprezzati, quotati, richiesti, fotografi del “circuito” moda.
Classe 1984, Squatriti vive a Milano e lavora con alcune tra le più importanti testate internazionali. E parliamo di Harper’s Bazaar China (che è il più importante magazine per l’uomo in Cina e tra i primi cinque al mondo) e ancora Style Magazine o Elle. Ma anche con marchi del lusso internazionale quali Vuitton, Brioni fino a de Grisogono.
Uno spiccato “occhio fotografico”, nelle immagini che realizza, con quel suo plus che rievoca a volte la sua terra (lui è calabrese). Ecco allora negli scatti, lo studio delle pose, i colori, un senso – forse – di irrequietezza e la classicità della Magna Grecia.
Questa settimana, l’ho incontrato per Focus On, per parlare con lui di cultura dell’immagine, di moda, di messaggi visivi e per capire come un abito rafforza la sua espressione massima attraverso un buon messaggio fotografico.
Giovanni mi racconta come è iniziato il suo percorso nella fotografia? E come si è avvicinato alla moda? Credo sia una passione che ho sempre avuto con me. Sicuramente tutto nasce dal mio forte amore per il disegno e l’arte. La fotografia per me è stata una soluzione alternativa al non poter disegnare, non avendone una buona padronanza manuale. Per quanto riguarda la moda invece credo sia colpa di mia madre e delle mie zie: erano bellissime, in casa nostra è sempre stata presente una collezione cospicua di numeri di “Vogue” e mentre li sfogliavano, io le ascoltavo parlare di bellezza e vestiti. Le ho sempre guardate con grande interesse, fino a diventarne un vero e proprio cultore. Alcune volte direi che le ho proprio “studiate”.
Quante volte ho sentito parlare di “occhio fotografico”. Che cosa significa esattamente e nello specifico? Su quest’espressione esistono migliaia di interpretazioni, tante quanto i fotografi che esistono al mondo. Ognuno, giustamente, ha la sua visione di “occhio fotografico”. La mia corrisponde più ad un modus vivendi che all’accezione lavorativa. Applico “l’occhio fotografico” a tutto, dalla preparazione di un piatto, al modo di apparecchiare una tavola, dalla gestione della luce in casa alla scelta di un fiore… Non è forse colpa di un “occhio fotografico” se si sceglie di mettere un grande fiore magari di un rosso intenso e con stelo lungo verde in una semplice brocca d’acqua…e perché no illuminato da un taglio di luce pomeridiana? A farlo non fui io che faccio il fotografo quindi forse l’occhio fotografico è solo sensibilità all’armonia.. al bello..chissà.. E’ difficile dire cosa sia e se nasca dalla vita di tutti giorni e poi si applichi al lavoro o viceversa. Forse è proprio questa confusione che rende il tutto applicabile ad entrambi le visioni.
Lei è conosciuto tra i nuovi, giovanissimi fotografi per il suo stile personale e riconoscibile. Quali sono in tre parole, le caratteristiche che pensa siano i segni forti e riconoscibili del suo lavoro e delle sue immagini? Drama, ombre, malinconia. Se mi permette una quarta parola, aggiungerei distacco. Non argomento le tre parole e mi gusto il complimento che non volendo ha fatto. Per un fotografo è la cosa più bella sentirsi dire di avere uno stile riconoscibile.
Si dice che la fotografia in Italia, non sia valorizzata al meglio come invece dovrebbe essere. Tanti fotografi infatti scelgono di stabilirsi a Parigi o a New York. Qual è la sua opinione in merito? Forse anche la mia attuale esperienza conferma la sua affermazione. L’esterofilia nella fotografia italiana è una realtà che continua a persistere. Io vivo a Milano ma la gran parte del mio lavoro è per committenze estere. Per fortuna ancora nel mondo quando si parla di gusto, l’essere italiano è ancora un plus quindi ho deciso di restare a vivere in Italia e viaggiare ogni volta si presenti l’occasione giusta.
Quali sono i suoi prossimi progetti? E soprattutto in questo preciso momento c’è un progetto fotografico sul quale è particolarmente impegnato e che ci vuole raccontare in anteprima? Sto lavorando ad un grande progetto moda con una delle riviste più prestigiose del momento che ha deciso di caratterizzare le immagini con il tema musica e letteratura europea. Ho trovato il tutto estremamente interessante, soprattutto in un momento in cui la spersonalizzazione asettica dell’immagine è una tendenza molto diffusa. Progetti futuri invece, una mostra, ma è scaramanticamente top secret.
Quali sono invece le caratteristiche che una brava modella deve avere per “bucare” – come si dice – l’obbiettivo? E soprattutto qual è il giusto feeling che si deve creare tra loro e il fotografo perché un lavoro finito funzioni davvero? Secondo me la caratteristica fondamentale è la rarissima capacità di diventare la persona giusta per ciò che si indossa. Il tema della fotografia di moda è il vestito non dimentichiamocelo, non sono le modelle. Le modelle noi le scegliamo come “accessori” del vestito. Il compito della fotografia di moda è concentrarsi sugli abiti e dopo sulle modelle…E loro lo sanno, e ne sono delle interpreti straordinarie, trasformano loro stesse indossando un abito, e seguendo il dettato ed il feeling che nasce con il fotografo, per diventare la donna giusta per quel vestito, lo trovo bellissimo.
Se pur mantenendo la sua originalità dovesse ispirarsi allo stile di uno di questi fotografi: Steven Meisel, Miles Aldridge, Richard Avedon, Irving Penn, Mario Sorrenti o Helmut Newton chi sceglierebbe e perché? La fotografia negli ultimi 40 anni è stata declinata con tale eccellenza che ho difficoltà a indicare dei nomi in particolare. Segnalando Avedon per la sua cruda eleganza mi sentirei di fare un torto a Penn per la sua ricerca del sofisticato; tra i contemporanei senza dubbio la mia più totale ammirazione va a Meisel, Mert and Marcus, Daniel & Iango e forse anche altri, ma non volendo citarne nessuno alla fine ne ho citati già molti.
Pensa di dedicarsi sempre alla moda o ci sarà un momento in cui potremmo vederla alle prese solo ed esclusivamente con il reportage? Il reportage è un’altra bellissima tanto quanto difficile variante della fotografia che però credo non si declini al meglio con la mia indole. Per fare il reportage bisogna essere istintivi, veloci, a volte crudi, ed è un po l’opposto della mia natura. Anni fa provai a farne uno in Sudan, ne venne fuori una ricerca ritrattistica su occhi di donne e bambini, evidentemente la mia inclinazione persegue una via più compositiva che spontanea.
Lei è calabrese. Cosa c’è della sua terra nelle immagini che realizza? Forse l’irrequietezza, i colori, lo studio delle pose, la classicità della Magna Grecia.
Come si rilassa Giovanni Squatriti quando non fotografa? Cercando qualcosa da fotografare.