Non ci vuole molto per capire i miei gusti musicali, basta guardare la playlist su Spotify per capire che i Muse rientrano nella mia top ten. Li ho visti a Roma, una scossa continua per tutto il live, adrenalina pura, un concerto catartico, meglio di una seduta psicanalitica!
Non nego che quando ho visto volare una lampadina gigantesca sopra il palco, le mie sinapsi hanno subito un processo di rigenerazione immediato!
17 milioni di copie vendute nel mondo, i Muse sembrano non preoccuparsi delle logiche del business, consapevoli di non aver bisogno del marchio ‘mainstream’ per confermarsi una della band più resistenti del panorama contemporaneo. E’ questo che mi affascina della loro musica, la capacità di essere ‘popular’ nel senso più profondo del termine senza mai scadere nel commerciale
Mi affascina la loro capacità di saper attraversare sonorità malinconico-futuriste (all’inizio della loro carriera li hanno spesso definiti cloni dei Radiohead, sollecitando il loro disappunto britannico), hardcore americano, sterzate dance, tormenti sinfonici, volate space-western etc. etc. colpendo sempre nel segno o suscitando una reazione emotiva, comunque!
Certo la critica più intellettualoide li ha sempre colpiti duro, non risparmiando colpi bassi come nel caso di 2nd Law, album decisamente meno incisivo rispetto ai precedenti, che non ha comunque deluso i fan della band di Tinighmonth.
Trovo che il loro “disordine” apparente sia l’essenza di quello che considero “andare contro”, fare uno scarto dalle logiche commerciali, la musica è sempre stato questo, andare oltre le mode e crearne di nuove, restando fedeli al proprio modo di essere e di pensare.
Un rock teso quello di Bellamy che vira al noise, sollecitando una tensione ritmica portata all’eccesso ed un uso rovente della chitarra, in sintesi il sound dei Muse è “potente”, sia musicalmente che concettualmente.
Certo Drones (ultimo album dei Muse) potrebbe sembrare un delirio apocalittico senza ritorno, una profezia sul futuro degli esseri umani trasformati in droni, temi che potrebbero far vacillare anche un fan come me. Trovo estremamente stimolante questo mettersi in gioco costante, pur nell’incertezza del risultato, usando suoni disturbanti che non hanno niente dell’intrattenimento o di un ascolto leggero!
In una recente intervista a ‘Rolling Stone’ a proposito dei testi di Drones, Matt ha risposto “le opere d’arte che mi piacciono di più sono quelle che ti fanno riflettere e ti fanno arrivare alla tua conclusione”, ecco mi sento di dire che anche io la penso come Bellamy.
Alla perfezione ho sempre preferito l’imperfetto, il non concluso, il nascosto, l’eccesso qualsiasi cosa fosse fuori dall’ordinario, dalle consuetudini.