Tutti si chiedono come si svolge il “LAVORO” del fashion designer, capita quando incontri persone che non conosci, in vacanza, a cena, in qualche locale, ad una mostra o durante un viaggio di lavoro.
In molte di queste situazioni provo molto imbarazzo – ed anche una profonda noia, per dirla tutta – quando improvvisamente arriva la domanda: “ma tu cosa fai di lavoro?”
Ma è un lavoro essere un fashion designer? Io credo sia più di un lavoro, è un “LAVOROVITA”!
Spiegare quello che facciamo a chi non è del settore, non è semplice. Ciò che appare agli occhi di tutti, è il termine di uno spettacolo: la sfilata, gli articoli sulle testate di moda, i nomi dei creativi famosi o degli art director dei grandi brand alle cene con i Vip. Quello che gli altri vedono, è un finale di partita (mi scuserà Beckett, se lo cito per un argomento così profano), è il terzo atto di una pièce meravigliosa, con effetti speciali e assoli strabilianti.
La maggior parte delle persone pensano che fare lo “stilista” significhi solo disegnare abiti, così dopo che hai dato la fatidica risposta “faccio lo stilista”, con una espressione di benevola sorpresa le persone ti rispondono: “Ma allora disegni abiti! E per chi donna, uomo o bambino? E dove posso comprarli?”
E’ qui che subentra l’imbarazzo, quella noia di dover ripetere che il mio lavoro non è significa solo disegnare! Come puoi spiegare in poche parole quello che io chiamo il percorso stresspensante (lo stress che ti accompagna dall’idea creativa alla fine della collezione). Come fai a spiegare il senso innato alla
“Ricerca Racconto ” che una persona come me deve avere!
6 mesi di stress ininterrotto, 6 mesi di attività cerebrale, 6 mesi di lavoro che non conosce pause perché quando sei fuori pensi sempre al giorno dopo quando dovrai mettere in pratica quello che hai in testa!
Non esistono ferie o sabati per rilassarti, per staccare, sei sempre a guardare, a leggere, ad ascoltare qualcosa che ti faccia intuire la soluzione giusta, sei sempre alla ricerca di qualcosa, praticamente una ricerca continua.
Questo è il mio lavoro, un lavoro pieno di “Sensibilità Emotiva”, che non si impara a gestire con qualche anno di scuola, deve essere sempre attivato con nuova linfa creativa, per questo sono considerato uno stacanovista, non stacco mai la spina, la mia testa è sempre in modalità ON perché tutto si costruisce e si sviluppa anno per anno, ricerca dopo ricerca, collezione dopo collezione, racconto su racconto.
Per capire cosa sia veramente il mio lavoro, basta pensare che io possiedo un “ARCHIVIOSTUDIO” mentale e materiale fatto di foto, oggetti che possano stimolare le mie visioni progettuali, riviste da sfogliare, libri di ogni argomento, appunti continui di “IdeeEmotive”, capi vintage comprati in giro per il mondo, appunti su cosa fanno ed hanno fatto gli altri fashion designer. Ho bisogno di pensare sempre a qualcosa di diverso che possa produrre delle “riflessioni motivanti” per avere una conoscenza globale e precisa del mercato.
Nei miei 35 anni di “lavorovita” ho raccolto nel mio studio circa 10.000 pubblicazioni di Moda, 13/14000 capi Vintage, 1500/2000 pezzi di tessuto, 1000 punti maglia. Chi vede il mio archivio spesso mi chiede “a cosa ti servono? Come fai ogni stagione a pensare una nuova collezione?”.
Questo massa enorme di materiale studio, mi è necessaria per iniziare a cercare l’Ispirazione, per iniziare un nuovo sogno, una nuova avventura, per simulare dei mood board, per trovare dei colori particolari, dei dettagli da usare. Io la chiamo “Una Biblioteca Materico Visiva”.
Quando cerco di spiegare il mio lavoro, uso spesso l’esempio dello scrittore che ogni volta deve scrivere un nuovo capitolo del suo romanzo.
Un racconto che dura ogni volta 6 mesi e che si conclude con una sfilata o con una presentazione. Ogni volta è come un esame da affrontare, un “esame” che dura per sempre e che è legato al successo ed alle vendite della collezione realizzata.
Un esame al quale devi rispondere sempre con il massimo dei voti e per raggiungere questo oltre al talento deve subentrare la massima professionalità ed il senso di responsabilità che il nostro lavoro comporta.
Nessuno può prevedere se il risultato finale della collezione sarà corretto, se piacerà al pubblico, se venderà, è questa la parte più complessa di questo lavoro, perché una collezione che non funziona mette in gioco tutti gli altri professionisti che lavorano con te e per te e può compromettere un fatturato o far chiudere un’azienda.
Non occorre solo talento e creatività quindi ma anche attenzione agli equilibri ed ai compromessi tra Creatività/Ricerca/Mercato. Non amo la parola compromesso, non mi piace ma non per questo deve significare una limitazione alla creatività, io uso questo termine pensando invece ad un percorso fatto con umiltà, affrontando una ricerca continua del “POSSIBILE RICERCATO”.
La sensibilità e la componente creatività istintiva sono le molle che scatenano le idee di qualsiasi nuovo progetto. Conoscenza, preparazione, esperienza aiutano a sviluppare anche un’idea che sembra impossibile.
L’equilibrio di questi elementi – come una formula chimica dove ogni componente è indispensabile – determina il successo del nostro lavoro e quello di chi lavora insieme a noi e per noi.
Ma soprattutto muove il mercato, sollecita i consumatori, coinvolge la stampa, attiva il web e ci permette di essere sempre connessi con il mondo reale, quello di chi decreterà il vero successo di una collezione.
Chi fa stile deve saper sviluppare, plasmare, modellare un’idea, per trasmetterne contenuti ed emozioni e rendere così facile la lettura del nostro bellissimo “LAVORO”.