La Maratona di New York è dura, molto dura da correre, chiunque l’ha fatta ve lo può confermare, ma è LA MARATONA con la M maiuscola, la barriera che ogni Runner che si rispetti non vede l’ora di abbattere almeno una volta nella vita, proprio per questo merita una preparazione e una considerazione particolare.
“If you can run here, you can run anywhere!” Frank Sinatra – New York New York
Serve un allenamento serio con persone preparate, non che le altre maratone non lo meritino, ma New York è… New York. Solo l’iscrizione costa come una Jackie O di Gucci, l’intera trasferta come una settimana All inclusive nel migliore resort maldiviano e le emozioni le infinite emozioni… Non hanno prezzo, sono di quelle che ti ricordi per tutto il resto della vita.
Stamattina mi sono infilata le mie scarpette nuove di pacca e ho deciso di correre tutto il programma previsto oggi, IN SALITA. 10, 12, 15 kilometri non importa, quello che io e il mio corpo ci sentiamo di fare. Le salite non mi piacciono, le affronto sempre con una certa ritrosia, sempre controvoglia, se posso, le evito… troppa fatica. Vivendo e allenandomi a Milano, corro davvero poche volte in salita, sono rare e quelle poche di sicuro, non le vado a cercare, ma qui al lago sì, inevitabile. Tutte salite o finti piani. Quindi oggi ho deciso di approfittare del fatto che sono in vacanza, per dedicare tutta la mia energia in questa impresa, sono certa che una volta a New York sarò contenta di averlo fatto. Un giorno, Pino, il Presidente della mia società di Running (RunnersSalò) mi ha detto “quando devi fare una salita, tu non guardare troppo avanti, fai piccoli passettini e mantieni lo sguardo a un metro dai tuoi piedi, sali piano piano fino a quando arrivi in cima…” Il trucco è non guardare troppo lontano il rischio è che ti demoralizzi e la testa comincia a dirti di mollare.
Funziona! Se poi ti spari nelle orecchie a tutto volume, la tua PlayList preferita diventa quasi piacevole. La musica galvanizza e ti trovi a correre in salita senza quasi accorgertene. Ho detto quasi! L’ho detto due volte nella stessa frase, sto ancora lavorando sull’autoconvincimento.
Quando esco a correre da sola per dedicarmi uno spazio di intervallo tutto mio, inizio il riscaldamento con Chicken Fat di Robert Preston, la musica dello Spot dell’ I-Phone 5s per intenderci, mi diverte ascoltarla anche più di una volta e mi immedesimo nel video dove lei sfreccia all’alba tra i grattacieli di New York e ride, una risata contagiosa che mi mette di buon umore, poi alterno il rock–romantico di Brian Adams agli U2, ai Black Eyed Peas a Michael Bublè, capita anche la compilation Natalizia, la ascolto volentieri anche nel mese di agosto e me la rido da sola tra me e me, 40 gradi e io che tengo il ritmo di Jingle Bells.
Per le salite più dure preferisco The Killers o The Cranberries, Human e Salvation sono una garanzia di riuscita e saltelli metri su metri che è una meraviglia. Io seguo il ritmo della batteria, la batteria è il vero motore del gruppo che detta il ritmo e trascina il resto del gruppo, e se mai avessi potuto scegliere quale strumento imparare a suonare, avrei scelto senza dubbio la batteria. In realtà un timido tentativo ai tempi del liceo c’è stato, subito cassato da mamma.
Quando invece esco con il mio gruppo di amici, la musica è superflua, bastano le chiacchiere a distrarti dalla fatica e a darci la carica. In questo Luca è una garanzia, lui ha la capacità di parlare per ore e ore e ore delle cose più svariate; le mezze maratone corse con lui al mio fianco, sono sempre “volate” tra una chiacchiera e l’altra. Poi c’è Raffaella con la quale alterniamo momenti di chiacchiere a lunghi momenti di silenzio, quasi a voler risparmiare le forze per la corsa, poi c’è Barbara con la quale si chiacchiera sempre fitto fitto, gli argomenti non mancano mai. Con Annalisa invece sono chiacchiere di considerazioni del momento che stiamo vivendo: “Che fatica oggi! Quanto manca ancora alla fine? A quanto stiamo andando? Belle le nuove Boost come ti trovi? Chissà a New York che cosa ci aspetta…”
Proibito parlare di lavoro.
…. e poi c’è Rossana la vera artefice e responsabile della mia iscrizione alla Maratona di New York.
Rossana l’ho conosciuta per lavoro, lei giornalista io PR/Addetto Stampa, poi la corsa ci ha avvicinato piano piano. Ho iniziato a frequentarla extra lavoro, quando era il volto della pubblicità di Asics, lei Runner di una certa esperienza con passato agonistico, conosce tutti nell’ambiente e sa come muoversi. Mi ha spiegato tanti trucchi del mestiere, quali giornali leggere, quali scarpe indossare, chi fa cosa, cosa chiedere a chi in caso di bisogno.
Con lei ogni uscita è una sorpresa e il divertimento è assicurato. A Luglio dello scorso anno mi dice un giorno cosi a freddo “andiamo a fare la Maratona di New York a novembre?”…
WHAT?
Ovviamente non ci sono andata, ancora segnata dal fallimento psicologico della mezza maratona, figuriamoci se ero in grado di sostenere una Maratona. Le ho fatto però una promessa e cioè che avrei corso con lei la mia prima volta a New York.
Lo scorso anno lei se l’è cavata alla grande, FINISHER come si dice nel gergo e la medaglia se l’è portata nella borsa per almeno un mese dopo il suo ritorno in Italia.
Alla cena che abbiamo organizzato tutti insieme, per ascoltare il racconto della Sua Maratona, mentre parlava, con gli occhi ancora brillanti e commossi per l’esperienza vissuta, ci guarda in faccia uno per uno e dice “voglio rifarla! Ci torniamo l’anno prossimo? Ho un gruppo fantastico con cui fare l’iscrizione!!”.
Ed eccoci qua. Almostthere…. che non è solo un modo di dire. Almostthere è il gruppo che mi porterà a correre la Maratona di New York.