Del “sapere” ci si innamora. A volte perdutamente. E si può essere così coinvolti e innamorati, che per raccontare anche solo un progetto, un oggetto, un’idea, sogno, o a volte una collezione di moda, il riferimento-bisogno-necessità di quel “sapere” in toto, diventa quasi “martellante”.
Ecco allora che la natura di tutto quello che scrivi, diventa globale, piacevolmente articolata, e assume i connotati dell’equilibrio e della completezza. Ed ecco che guardi, descrivi, pensi e ripensi: ad un vestito, una scarpa, un quadro, un vaso, e nel frattempo il tuo percorso mentale, coglie e riprende, nel processo di analisi-descrittiva, magari – non so – una frase di Carlo Emilio Gadda, o forse di Arbasino o ancora di Ennio Flaiano (oltretutto autori tra i suoi preferiti).
La conclusione è che il tuo occhio-sguardo al manufatto è lucido e l’analisi dell’oggetto, diventa perciò anche ricerca delle origini e delle fonti estetiche culturali…
Tutte considerazioni queste che fanno parte – ma il suo cammino come giornalista, saggista, autore e curatore è ancora anche molto molto altro – del lavoro e bel percorso di Angelo Flaccavento.
Percorso variegato che nasce anche da un suo contesto-approccio accademico – si è laureato in Storia dell’Arte a Pisa – ma credo anche da termini quali analisi, riflessione, e mi piace pensare, anche silenzio… e distanza. Distanza che il giornalista prende per scrivere e capire, e distanza che ancora Flaccavento sceglie per allontanare a volte, tutto quel contorno di lustrini, mondanità, corollario di un mondo – quello della moda – che lui invece ama soprattutto per l’aspetto creativo e geniale che sta dietro chi inventa una storia nuova: di vestiti, di couture, di originalità.
Complice del suo intenso lavoro di critica, recensione, scrittura e ricerca, è sicuramente la Sicilia, Ragusa, dove il giornalista (Il Sole 24 Ore, L’Uomo Vogue, Fantastic Man, Flair, Studio, sono solo alcune delle testate con le quali collabora) ma anche autore, saggista e curatore di mostre, vive la maggior parte dell’anno. Ragusa tranquilla… e provincia-rifugio… dove pensare e muoversi… anche molto lentamente.
I suoi spostamenti dalla Sicilia? Solo per lavoro… quando il giornalista è voluto (ed è richiestissimo) nelle front row della moda tra Milano, Parigi, New York proprio per raccontarla la moda: con libertà, indipendenza, e quel suo piglio deciso che piace tanto a chi lo segue.
E ancora front row dove viene inseguito dai fotografi, esposto ai media, a volte forse con suoi tentennamenti caratteriali perché tutto ciò che è troppo esposto, urlato o esibito non fa parte di lui (decisamente riservato) e perché come lui stesso afferma: chi è troppo urlato o esibito lo trovo poco elegante.
Ho incontrato Angelo Flaccavento questa settimana per Focus On.
Flaccavento, che definisce se stesso un Poetically Punk (nome anche del suo seguitissimo account su instagram).. ovvero un punk ma dall’animo poetico. E lui si sente davvero così.
Angelo sei cresciuto e hai scelto di continuare a vivere stabilmente in Sicilia, a Ragusa, nonostante tutti i tuoi frequenti spostamenti per lavoro. Mi racconti brevemente come ti sei formato, ripeto come sei cresciuto, che tipo di bambino e adolescente sei stato? E poi come piano piano ti sei avvicinato (in maniera professionale) a tutto il discorso moda e arte? Sono cresciuto in Sicilia, a Ragusa. Ero un ragazzino al quale piaceva parecchio studiare. Mi piacevano moltissimo le arti visive, disegnavo oltre a studiare, e il sapere mi ha sempre molto affascinato. Vengo da una famiglia di commercianti, mio padre commerciava arredamento mentre i miei zii, avevano entrambi delle boutique di alto livello. Pensa che mia zia ha portato qui in provincia di Ragusa per esempio marchi tra gli altri come Versace e Missoni. Era il periodo tra la fine degli anni 70 e primi anni 80 – periodo nel quale stava letteralmente esplodendo la moda italiana e lei ha “cavalcato” quell’onda. Io ero già molto affascinato da quel mondo, non tanto però dai lustrini o altro ma soprattutto dalla creatività che ci vedevo. Frequentavo così la sua boutique e lei vedendo la mia passione, mi ha spesso portato a Milano a vedere le sfilate e altro. Puoi immaginare … un ragazzino di circa dodici anni che arriva da Ragusa a Milano a metà degli anni 80, periodo dell’ esplosione proprio massima del Made in Italy, è stato per me un “imprinting” abbastanza forte. Le prime sfilate che andai a vedere furono Ferrè, (ricordo questi colori un po’ orientali) e una sfilata di Versace. Pensa che io non facevo assenze a scuola di alcun tipo pur di potermi prendere questa assenza di cinque giorni ad Ottobre e a Marzo. In quegli anni c’era anche una boutique di Comme des Garcons in Via S.Andrea e all’epoca il concept dei negozi Comme des Garcons era fatto tutto di cemento brutalista, pochissimi pezzi ed era l’esatto contrario di quello che vedevi ovvero tutto quell’oro, quel luccicante che trovavi da altre parti e questo ebbe un impatto fortissimo su di me. Anche le foto che vedevo sui giornali di questi abiti tutti stracciati, simmetrici, mi hanno colpito profondamente e da allora posso dire che ancora Kawakubo, Yamamoto e i giapponesi in genere sono dei designers ai quali mi sento spiritualmente più vicino e che trovo più interessanti per il pensiero radicale, per l’inventiva, per la ricerca e per tutto il resto. Quando conclusi il liceo decisi di studiare lettere perché mi piaceva anche scrivere, ho studiato a Pisa Storia dell’Arte, e mi sono laureato in Storia delle Arti Decorative Industriali con una tesi di laurea su Roberto Capucci. Frequentai, per la tesi, il suo atelier a Roma dedicando un anno e mezzo del mio tempo a questo studio che mi ha molto formato. Dopo sono tornato per un periodo in Sicilia e dopo un po’ casualmente mi sono trovato piano piano a scrivere, ho sempre comunque letto moltissimo, accumulato riviste e altro. Iniziai con Dutch che era all’epoca la mia rivista preferita .. e da li è nato tutto il mio percorso .. Da Dutch poi è arrivato L’Uomo Vogue (il cui allora Direttore era Anna dello Russo) poi incontrai Paola Bottelli e la seguii – dopo il suo periodo a L’Uomo Vogue – a Il Sole 24 Ore. Un incontro dietro l’altro con anche chiaramente la gavetta che è una parte professionale molto importante e che sono contento di aver fatto. Ci tengo a dire che credo moltissimo nella qualità del lavoro fatto. Credo che la gente sia interessata a leggere delle opinioni articolate. Mi rendo conto che purtroppo esprimere un’opinione chiara e forte e a volte anche negativa, per esempio su una collezione, a volte non sempre è possibile. Io però devo dire che per me la scuola di Paola Bottelli è stata davvero fondamentale. Lei mi ha sempre concesso di esprimere opinioni anche non positive a costo che lo facessi con garbo, senza atteggiamenti “tranchant” e senza aggressività. Questo penso sia molto importante perché alla fine la critica è uno strumento che consente a tutti di crescere, e quando è fatta in maniera mediata e pensata è anche più efficace. Credo infatti che criticare e basta dicendo “mi fa schifo” senza spiegare il perché, sia da adolescenti … non credo sia molto da adulti. Con Paola Bottelli ho imparato soprattutto ad esprimere un’opinione riuscendo a far trasparire il mio punto di vista senza offendere nessuno, nei limiti del possibile… poi purtroppo Marco ci sono dei casi in cui c’è chi si offende per niente… A volte c’è un sistema di ego molto forte dove anche la minima espressione negativa non è accolta bene. Devo dire che ho visto anche molto il sistema cambiare …Ho comunque iniziato con i primi articoli all’inizio del 2001…
Oggi come giornalista, autore e curatore segui diversi ed interessanti progetti, sto pensando per esempio a Le Italie della Moda/Menti e Mani eccellenti, piuttosto che alla bella retrospettiva dedicata Nino Cerruti (Il Signor Nino) presentata lo scorso giugno a Firenze della quale con lo stesso Cerruti, sei stato il curatore e della quale parleremo… il tuo stile-penna sono così forti, così influenti che il tuo contributo editoriale abbatte inevitabilmente ogni tipo di target di riferimento.. nel senso che libero – autonomo – indipendente come in alcune dichiarazioni ti sei definito, il tuo punto di vista mirato e così personale, è richiesto da testate molto diverse tra loro e con le quali collabori.. penso a Fantastic Man, piuttosto che Il Sole 24 Ore o L’Uomo Vogue. Quali sono i tratti che caratterizzano il tuo stile, il tuo approccio critico a tutti i temi che tratti? Nella formazione del mio approccio critico, devo dire è stata fondamentale l’esperienza universitaria, perché la docente con la quale mi sono formato, che purtroppo è venuta a mancare e si chiamava Donata Devoti, è stata una delle pioniere accademiche delle arti applicate. Poi la mia esperienza di tesi che è durata un anno e mezzo… e poi tutte le mie esperienze universitarie con gli altri insegnanti. Devo dire che mi è stato insegnato a guardare ad un manufatto, sia esso un vestito, un quadro, un vaso, una scarpa, in maniera assolutamente lucida analizzandolo innanzitutto come oggetto e cercando di trovarne le origini, le fonti estetiche culturali o altro. Questo aspetto è rimasto fortissimo … Sono una persona che ha una memoria visiva molto forte, in genere tendo molto a ricordare, nel mio approccio critico la prima cosa che guardo è l’originalità di quello che ho davanti che oggi è molto difficile… Poi nella moda i riferimenti sono quasi sempre facili da richiamare e individuare. Quindi è la lettura, e cerco di tradurre questo soprattutto quando scrivo in italiano, in uno stile verbalmente e sintatticamente direi “scoppiettante” e inventivo perché mi piacciono molto scrittori come Gadda, Arbasino e mi piace anche Ennio Flaiano, quindi per me la costruzione della frase è fondamentale. Mi piace anche tarare l’inventiva verbale o la costruzione del periodo a quello che sto scrivendo… Non so faccio un esempio, se scrivo di un determinato stilista mi è più semplice immaginare un testo un po’ più cristallino con delle frasi più brevi. Se scrivo invece di un altro stilista che ha magari un immaginario un po’ più barocco, un po’ più composito, mi piace magari mettermi a giocare con le parole e con periodi più lunghi e altro. Devo dire che anche li naturalmente ho la fortuna che essendo autonomo e contribuendo a pubblicazioni di carattere differente, posso esprimere le stesse opinioni e trattare gli stessi argomenti in modo diverso… Faccio un esempio, un articolo per Il Sole 24 Ore è un articolo per un quotidiano perciò per quanto lo stile è il mio, non sarà mai troppo cesellato perché non ha alcun senso per un quotidiano e non ha alcun senso per il tipo di lettore che non deve trovarsi mai nelle condizioni – a mio avviso- di essere messo in minoranza , lo devi avvicinare.. Far sentire il lettore in minoranza non è mai una buona cosa. Mentre su una pubblicazione mensile, un po’ più di nicchia come può essere Fantastic Man , Studio o altre, li posso magari lasciarmi andare anche ad un lessico più ricercato perché comunque un mensile è un oggetto che tieni sulla scrivania, sul tavolo per più tempo, e che magari torni a leggere più volte. La condizione di freelance e di isolano mi piace, io sono me stesso, gravitano attorno a me alcune cose e ne posso fare anche diverse in contemporanea.
Mi racconti invece nello specifico il progetto Nino Cerruti, la retrospettiva “Il Signor Nino” che hai curato assieme allo stilista lo scorso Giugno a Firenze? Il progetto è nato da una conversazione molto casuale che ho avuto con Lapo Cianchi e Francesca Tacconi di Pitti. Devo dire che circa un anno e mezzo prima, ero stato nel lanificio Cerruti ed avevo intervistato il Signor Nino per Il Sole 24 Ore. In questa occasione, a Biella in azienda dove ero andato per intervistarlo, avevo visto per puro caso, in un piano vuoto della sede, una gran massa di vestiti su degli stand e avevo chiesto di cosa si trattasse e mi avevano detto che era il guardaroba personale del Sig. Nino da quando era giovane – a parte quelli che mette ancora – e archiviato. Tutto questo mi aveva molto incuriosito ma al tempo non ci pensai…Quando poi parlai con Lapo e Francesca e si parlava di un progetto-mostra sull’eleganza italiana gli raccontai di Cerruti e del suo guardaroba. Cerruti oltretutto è un uomo dall’eleganza molto sobria e per me molto italiana… / LE IMMAGINI DELLA MOSTRA “IL SIGNOR NINO”
Angelo tu hai definito proprio Nino Cerruti un uomo dall’eleganza leggera, che cosa intendevi? La sua è un’eleganza leggera perché lui sembra fare tutto in maniera quasi casuale. A volte mette per esempio i quadri con le righe, o tessuti diversi nello stesso abito. C’è in lui come una leggerezza del pensiero veloce … lui ha un modo, quel tocco un po’ aristocratico di portare gli abiti che trovo comunque molto umano e molto interessante… Ritornando alla mostra, incontrai il Signor Nino anche con Lapo Cianchi e Francesca Tacconi .. anche a lui l’idea piacque e così ecco la mostra che abbiamo curato congiuntamente. L’’impianto narrativo e tutto il resto è stata una mia idea, la selezione dei capi esposti l’abbiamo fatta assieme ma è stata quasi totalmente opera sua nel senso che lui – in mezzo a 50 anni di abiti – ha selezionato quelli che riteneva più rappresentativi sia del proprio stile che del proprio lavoro, e ad un certo punto devo dire che è diventato impossibile districare una cosa dall’altra. E’ stato un lavoro veramente molto formativo perché Nino Cerruti è un personaggio che ha dato veramente moltissimo alla moda italiana. Nella mostra poi erano coinvolti un illustratore, delle set designer e il Museo dove l’abbiamo fatta è il Marini di cui mi piaceva l’impianto un po’ modernista e questo aspetto un po’ brutalista, Museo che mi è sembrato adatto … Abbiamo optato in parte per la scelta degli abiti appesi, in parte per quelli a manichino perché l’idea era quella di restituire appunto l’idea di un guardaroba. Sono stato molto contento del risultato e del riscontro avuto. Trovo che nel guardaroba di Cerruti ci sia una contemporaneità anche negli abiti più vecchi ed inoltre lui aveva un gusto del tessuto e delle materie molto sofisticato…
Qual è il messaggio che vuoi trasmettere al tuo pubblico con il tuo lavoro sia attraverso i tuoi libri-saggi, le interviste o i programmi? Per esempio penso appunto al tuo lavoro su Sky Arte. Vorrei trasmettere al pubblico quello che è anche il motivo per cui mi affascina la moda che non è mai l’aspetto glamour, dei lustrini, delle feste e della mondanità. Alla fine la moda oltre ad essere una voce importantissima dell’industria culturale e materiale italiana, è un ambito in cui confluiscono tantissimi linguaggi e nel quale si elaborano estetiche a volte anche prima che ci sia una riflessione consapevole su queste … per esempio dopo Gucci parlano tutti di genderless, unisex ecc ma Gucci è stato la punta del fenomeno ma c’è stato moltissimo anche prima. Ecco quello che mi piace della moda, è che è un ambito nel quale c’è molta riflessione che però è tradotta in estetica e in cose che puoi toccare materialmente e indossare. E quello che vorrei che il pubblico leggendo le mie interviste o i miei saggi o vedendo anche Sky Arte comprendesse, è che è un’industria nella quale si fa moltissimo, si inventa moltissimo, c’è moltissima creatività e che la festa e la mondanità sono giusto un corollario e non la parte essenziale.
Ti piace Alessandro Michele di Gucci? Devo dire che mi piace molto perché ha da ricercare un bel mondo intorno a Gucci. C’è un certo romanticismo, una certa decadenza. Tutti naturalmente sono veloci a criticare l’ambiguità fortissima che esteticamente permea questo mondo, perché è tutto abbastanza amalgamato.. I capi sono molto belli, perfettamente lavorati.. e sono molto bene assemblabili.. Il look tutto assieme è molto forte e lo vedo molto bene in passerella magari forse un po’ meno nella vita reale, ma va benissimo, la passerella è un messaggio, nessuno pretende che quello che vedi in sfilata vada sul marciapiede .. Trovo che stia facendo un bel lavoro anche sulll’immaginario che ha costruito, le campagne pubblicitarie che ha realizzato da quando è arrivato, trovo l’immagine affascinante, toccante e anche di una certa emozione… Cosa che nella moda recentemente un po’ è mancata.
A proposito di Sky Arte e del tuo lavoro sul Made in Italy tra i designers giovani chi sta facendo un bel percorso? Non so penso a Giorgetti, piuttosto che a De Vincenzo. Qual è la tua opinione in merito? Trovo che De Vincenzo stia facendo un bel percorso…. Penso alla primavera-estate … per esempio … trovo che stia decisamente prendendo una bella strada. Giorgetti trovo che si sia evoluto e penso sia una persona comunque molto capace di evolversi. Ho molta stima poi di Gabriele Colangelo, trovo che abbia un senso e una mano con la materia unica e stupenda. Trovo interessante anche il lavoro che Giornetti sta facendo da Ferragamo anche sulla donna. Nonostante l’abbiano a volte criticato mi piace anche Demna Gvasalia di Vêtements, che è lo stilista che farà Balenciaga, perché anche se è Margeliano nello spirito, lo trovo piuttosto interessante come autore. Tornando al progetto invece che ho fatto per Sky Arte, parlando e confrontandomi prima con Lapo Cianchi e Francesca Tacconi di Pitti, devo dire che mi è piaciuto molto perché il mezzo televisivo secondo me è uno strumento che arriva molto alla gente ma che fino ad ora ha affrontato la moda in maniera spesso sensazionalistica o superficiale. Sky mi ha dato la possibilità di fare un prodotto molto bello visivamente e con dei contenuti approfonditi ma non sensazionalistici. E’ stata una bellissima esperienza che ha avuto anche un riscontro molto buono da parte del pubblico.
Torniamo invece ai designer … all’estero invece chi ti piace? All’estero mi piacciono tanto i giapponesi, Comme des Garcons, Junya Watanabe, Yamamoto, li trovo sempre interessanti. Mi piace ancora, dopo anni che si era un po’ calmata, devo dire che l’ho trovata veramente forte Veronique Branquinho. Ed ancora mi piace Raf Simmons (ma non per il lavoro fatto da Dior) ma per la sua linea dove trovo sia rimasto sempre molto coerente e con un bel punto di vista…
Secondo te il sistema moda come è cambiato negli ultimi dieci anni? E quali sono gli aspetti nei quali è migliorato e quelli nei quali è peggiorato? Il sistema è cambiato moltissimo negli ultimi anni. Trovo che sia migliorato nel senso che con la rivoluzione digitale, l’accesso alle informazioni è molto rapido, molto semplice e possibile ovunque. Allo stesso modo la rivoluzione digitale ha portato ad una velocizzazione di tutto che è diventata anche velocizzazione del ciclo creativo dal punto di vista materiale. C’è un aumento esponenziale delle uscite, una volta per esempio le pre-collezioni erano la base commerciale di vendita ma non venivano mostrate come adesso. Adesso siamo esposti a valanghe di vestiti e questo a mio avviso, ha portato ad una perdita di magia di quel che si vede, perché la moltiplicazione è a sfavore del fascino, ha portato i creativi ad essere stritolati e ad adottare delle pratiche di sopravvivenza per cui si tende a riciclare le idee, l’invenzione va purtroppo a rotoli se non i pochi casi. Per quello continuo a stimare i giapponesi che sicuramente nei loro mercati di riferimento faranno pre-collezioni a iosa ma non le mostrano, e quello che io vedo sempre è un prodotto estremamente creativo ed inventivo. Alla fine credo che sia successo questo: ovvero che la moda alta ha guardato al ciclo di uscite della moda più fast fashion ma che però quest’ultima è per definizione un sistema che si nutre spesso delle idee della moda alta per offrirle a tutti a prezzo più basso e quindi è giusto che abbia delle uscite moltiplicate. Quando le case di moda o di pret-a-porter hanno lo stesso ritmo di uscite di un fast fashion secondo me diventa un po’ un problema … ti faccio un esempio se tu compri un capo di collezioni di pret-a-porter la vita di una collezione in boutique è brevissima, a volte dopo due mesi non la trovi più … e spesso può succedere che non c’è una corrispondenza tra la stagione di vendita e quella metereologica. Insomma trovo che tutto questo sistema sia ricco di troppe cose …. Ci sono troppo cose e non va bene….
Parliamo invece di eleganza. Classe ed eleganza coincidono? E secondo te oggi con molta intelligenza di può arrivare ad avere classe? Direi in un certo senso sono la stessa cosa perché sono qualità innate che non dipendono assolutamente da quello che indossi…. Oggi con molta intelligenza si può arrivare a far percepire agli altri che l’abbiamo questa classe… Ma credo sia molto difficile … secondo me sono tutte valutazioni soggettive … nel senso che quello che per me è classe magari per un altro non lo è …. Non c’è in realtà un vero e proprio parametro oggettivo. Io sono sempre stato attratto dall’eleganza non urlata, non ostentata … non amo molto chi esibisce .. trovo che sia un atteggiamento poco elegante.
Chi sono quindi gli uomini e le donne che ti piacciono? Tra gli uomini mi piace molto come si vestono gli artisti… non so Francesco Clemente trovo che sia un uomo di grandissima eleganza. Tra le donne Iris Apfel mi piace perché nel suo essere un po’ esagerata ha però una grande classe. Mi piaceva molto Manuela Pavesi perché la trovavo vera anche nel suo essere così bizzarra ogni tanto. Non ho una particolare simpatia invece per i personaggi così sovraesposti…
Qual è il filo conduttore del tuo guardaroba? Diciamo che mi piace molto l’idea dell’uniforme. Idealmente mi piace che tutto quello che c’è nel mio guardaroba vada con tutto e quindi ho qualcosa che va bene in ogni occasione. Non c’è mai niente di troppo vistoso o di troppo eccentrico se non magari proporzioni, pantaloni un po’ corti e altro. Sono magari un po’ strane le proporzioni, la giacca piccola, i pantaloni larghi o viceversa.. di base è un classico fuori registro…Non mi sono mai riconosciuto Marco, sai in quei capi che sono immediatamente di moda e riconoscibili.
Quali sono i tuoi prossimi progetti? Ho due progetti molto interessanti ma ancora top secret sui quali sto lavorando … per scaramanzia non dico ancora nulla…
Mi racconti brevemente il tuo progetto Poetically Punk che trovo molto divertente e bello? Poetically Punk è il mio nome di guerra anche su instagram. Era il titolo di un articolo che ho letto anni fa e mi ha colpito perché è esattamente come mi sento io. Ovvero di animo sono piuttosto romantico e poetico però mi piace il punk, con contrasti, frizioni, e cose che non c’entrano nulla.. in questa formula mi riconosco al cento per cento. Mi sento punk ma in maniera poetica, quindi non immediatamente evidente.
Che libro stai leggendo e come ti rilassi? Al momento sto leggendo due libri: uno è “Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo” di Carlo Emilio Gadda. E poi sto leggendo “I detective selvaggi” di Bolano che mi sta divertendo moltissimo… E mi rilasso anche cercando delle immagini su Tumblr che è un mondo che mi piace moltissimo…