“Il laboratorio delle resurrezioni umane” diceva Majakovskij. Parole forti che stanno molto a cuore a Tony di Corcia, da sempre dedito-innamorato delle opere del poeta e drammaturgo russo ma che coglie l’occasione di adattarle ad hoc, perfettamente, con amore, passione e competenza al suo amato concetto di biografia, al suo totale lavoro di biografo… giornalista… ma soprattutto ripeto…. biografo…
Una sua scelta la biografia: per riportare in vita personaggi amatissimi. E se ancora viventi, tracciarne ancora meglio per chi legge, il forte segno di un’esistenza speciale.
Così ha fatto e sta facendo di Corcia in tutto il suo percorso: percorso di narratore di vite uniche alcune fortunate altre meno o in parte.
Come nel 2010 nel suo “gianni/VERSACE: lo stilista dal cuore elegante” per la Utopia Edizioni, una raccolta di venticinque interviste a personaggi del mondo della moda, della cultura e dello spettacolo sullo stilista italiano e con una prefazione di Oliviero Toscani e le immagini inedite di Gian Paolo Barbieri oltre alle conclusioni di Giusi Ferré.
Ma anche nel 2012 quando lavora come fashion biographer per le Edizioni Lindau, per le quali scrive il suo Gianni Versace: la biografia (con prefazione firmata da Giorgio Armani). Nel novembre 2013 è la volta invece del volume: Burberry: storia di un’icona inglese dalla Regina Vittoria a Kate Moss, che ha ricevuto attestazioni di apprezzamento anche da parte di Sua Maestà la Regina Elisabetta II d’Inghilterra e di Sua Altezza Reale il Principe Carlo d’Inghilterra.
Ma dello stesso anno il suo volume: Valentino: ritratto a più voci dell’ultimo imperatore della moda che raccoglie interviste tra gli altri a personaggi come Matt Tyrnauer, Matteo Marzotto, Marta Marzotto e molti altri. Un libro che si chiude con le interviste agli attuali direttori artistici della maison Valentino Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli.
Ho incontrato Tony di Corcia questa settimana per Focus On. Il contesto dell’incontro è la Puglia, dove di Corcia vive la maggior parte dell’anno, spostandosi solo per appuntamenti, presentazioni, impegni e scegliendo di lasciare Foggia (dove abita, studia, scrive, e fa ricerca) solo per Parigi: “Uno è il luogo in cui sono nato e in cui ci sono i miei affetti principali, l’altro è il luogo in cui si possono intraprendere progetti ambiziosi e scoprire in quale direzione va la bellezza” afferma.
Inizio a parlare con lui del suo nuovissimo libro Alda Merini e Michele Pierri: un amore tra poeti per l’editore Falco (distribuzione Messaggerie Libri), che racconta gli anni trascorsi in Puglia dalla celebre poetessa milanese e che ha una postfazione firmata da Maurizio Costanzo.
Due libri sulla vita di Gianni Versace, uno su quella di Valentino Garavani. E ancora la storia del marchio Burberry ed ora l’appena uscito libro su Alda Merini dal titolo: “Alda Merini e Michele Pierri: un amore tra poeti” per l’editore Falco (distribuzione Messaggerie Libri), che racconta gli anni trascorsi in Puglia dalla celebre poetessa milanese. Perché questa ossessione per le biografie? Perché non riesco a immaginare un genere letterario più affascinante e stimolante, sebbene impegnativo, di questo. Per dirla con le parole di Majakovskij, le biografie sono un “laboratorio delle resurrezioni umane” che permette a chi le scrive di riportare in vita personaggi amatissimi: una responsabilità molto delicata, ma anche una sfida estremamente accattivante. Mi è sempre piaciuta l’idea di restituire luce, e attenzione, ai protagonisti di un determinato mondo o di una determinata epoca fondendo le testimonianze di chi ha condiviso delle esperienze con loro e il risultato di una ricerca approfondita sul loro lavoro e sulla loro vita privata, purché sempre all’insegna del rispetto. Un rispetto che non deve diventare venerazione, altrimenti si tratterebbe di inutili agiografie. Chi legge biografie, poi, lo fa con lo spirito di chi entra in un santuario: la celebrazione o la profanazione. Io non appartengo alla seconda categoria, pertanto conduco le mie ricerche per ricostruire con la maggiore obiettività possibile intere esistenze, per consegnare ai lettori una testimonianza della loro grandezza. Nel caso di Alda Merini, felicissima digressione rispetto al mio precedente interesse per i personaggi del mondo della moda, si tratta di una “sezione di biografia”: racconto gli anni compresi tra il 1981 e il 1991, quando ha conosciuto e sposato il poeta tarantino Michele Pierri, un eccelso intellettuale che aveva 32 anni più di lei e di cui conosceva soltanto la voce e le poesie, fino alla vigilia della enorme popolarità che ha conosciuto partecipando al Maurizio Costanzo Show; non a caso, le conclusioni del libro sono proprio firmate da Maurizio Costanzo. Una sorta di “prequel” del personaggio che tutti conosciamo, e che è riuscita a portare un linguaggio altissimo come la poesia nei salotti televisivi facendola apprezzare a milioni di italiani. È la prima volta che scrivo di personaggi lontani dal mondo della moda, la prima volta che racconto la vita e i sentimenti di una donna, la prima volta che parlo d’amore: c’è sempre tempo e spazio per le prime volte, anche per chi ha appena compiuto quarant’anni come me.
Chi era Alda Merini nella sua intimità più profonda? Mi racconta perché l’ha scelta e ha dedicato tanta ricerca e tanto di se stesso a questa donna? Con lei ho avuto unicamente contatti di natura professionale, l’ispirazione del libro nasce proprio da alcune interviste che lei mi ha rilasciato una decina di anni fa, ma la sua personalità era talmente trasparente da permettermi di affermare che ne ho potuto scrutare anche l’intimità. Nessuno di noi può affermare di possedere soltanto un volto, ma i personaggi capaci di segnare il loro tempo – e certamente la Merini appartiene a questa categoria – sono il risultato di un contrasto fortissimo e netto tra aspetti diversissimi: era un prisma, pieno di luci e di ombre. Sapeva mostrarsi fortissima, eppure era assai vulnerabile. Poteva risultare brusca, ma nel suo sguardo e nella sua voce danzava una dolcezza struggente. Era una donna libera: nella mente, nel cuore, nello stile di vita. Aveva conversato con gli intellettuali più importanti del Novecento, ma sapeva parlare a chiunque con una grazia e un’eleganza impareggiabili. L’ho scelta come protagonista del mio nuovo libro perché mi appassionava la vicenda poco conosciuta legata al suo secondo matrimonio, con il poeta Pierri appunto, dopo il quale ha vissuto qualche anno a Taranto. L’idea che due persone sole, in un momento particolarmente buio delle loro vite, siano riuscite a innamorarsi senza vedersi, conoscendosi unicamente attraverso la seduzione della parola e usando il telefono come medium d’amore, mi è parsa straordinaria in tempi come questi: oggi, attraverso social e app possiamo vederci in qualsiasi istante ma la comunicazione amorosa si è svuotata di ogni mistero, di ogni fascino, e i primi anni Ottanta sembrano preistoria se confrontati con i nostri giorni.
Facciamo un passo indietro invece… Lei ha studiato, osservato parecchio il sistema moda attraverso le sue biografie, interviste ed incontri. Che ricordi ha di quel periodo e cosa pensa di quel mondo e dei suoi meccanismi ed equilibri? Mi sono accostato alla moda nei primi anni Novanta: erano i tempi di Gianni Versace, Giorgio Armani, Gianfranco Ferré. C’era ancora posto per l’ispirazione, l’eccitazione, la creatività: non è un caso se continuano a essere saccheggiate le collezioni di quegli anni. Allora, seguire la moda significava scoprire o riscoprire periodi artistici, icone, linguaggi, e per descrivere una sfilata bisognava prepararsi, studiare, non semplicemente copiare una cartella stampa. Sono cresciuto leggendo e ascoltando le cronache puntuali e competenti di giornaliste come Laura Dubini, Brunella Tocci, Maria Pezzi che ho avuto l’onore di conoscere personalmente… I commenti affilati e irriverenti di Natalia Aspesi, quelli temutissimi di Adriana Mulassano… Oggi ci si spertica in lodi farsesche, è tutto straordinario, inarrivabile, ma sappiamo tutti che la moda è diventata un fatto di marketing, di acquisizioni, di direttori artistici che vanno e vengono, di testimonial che nulla hanno a che fare con lo spirito dell’azienda. Anche la professionalità è andata calando: vedo molta improvvisazione in giro, mentre in quegli anni potevo avvalermi della preparazione di grandi signore della comunicazione che hanno contribuito a rendere la moda italiana un fenomeno internazionale. Penso a Rita Airaghi da Ferré, Daniela Giardina da Valentino, e a tanti altri professionisti della comunicazione dai quali ho cercato di carpire lezioni ed esempi; penso soprattutto alla più brava di tutte, a un’amica speciale e generosissima che rimpiangerò per sempre: Barbara Vitti.
Pensa che il sistema moda sia cambiato in questi anni? Doveva cambiare, obbligatoriamente, per fronteggiare nuove esigenze, nuovi consumi, nuovi mercati. E sono cambiati anche i protagonisti: con la scomparsa di protagonisti come Versace, Ferré, Krizia, Soprani, Trussardi, Moschino, Missoni, quella straordinaria avventura che è stata la moda a Milano tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta ha perso le voci narranti e nuovi nomi si sono imposti. Fatte le dovute eccezioni, mi sembra che il messaggio della moda si sia impoverito rispetto a quei tempi: di molte sfilate non ricordo più nulla cinque minuti dopo averle viste. Mi dispiace solo che i più giovani debbano faticare per ottenere più visibilità: per incensare i soliti nomi, non si riserva la giusta attenzione a talenti come Gabriele Colangelo, Angelos Bratis, Bianca Gervasio e tanti altri che sono più preparati, appassionati e capaci di molti colleghi in età. Se scrivessi per una testata importante, spenderei per loro la parola o la foto in più a cui i grandi brand non fanno nemmeno più caso. Per carità, le loro sfilate sono attese e seguite, ma non quanto quelle di altri nomi che vengono celebrati con fede cieca e incrollabile: mi stupisce che alcuni giornalisti particolarmente “devoti”, quando entrano in sala prima di sfilata, non si facciano il segno della croce.
Lei ha una formazione classica, e “La Lex Oppia Sumptuaria. Lusso e femminismo nella Roma repubblicana” è il titolo di una sua tesi di laurea. Una tra le due lauree che lei ha, nello specifico quella in legge. Ecco mi dica il lusso oggi con tutto ciò che sta succedendo che cosa è? Come si è evoluto in questi anni? La mia formazione classica e le due lauree in Legge sono un errore di gioventù, anche se la seconda l’ho conseguita questa estate. Anche per questo motivo, ho approfittato di una delle due tesi per condurre una ricerca di storia del costume (sebbene intrecciata con la storia del Diritto Romano). Il lusso si è evoluto in termini qualitativi, producendo oggetti sempre più impeccabili e perfetti, e non ha perso quella connotazione di preziosità e luminosità che dalle matrone romane alle bling bling buyers di oggi coincide con l’oro, i gioielli, la ricchezza: colpa di quella radice latina, di quella “lux” difficile da spegnere. Io credo che, invece, il lusso stia diventando qualcosa di più impalpabile e profondo: confina con il sapere, con il pensiero, con l’intelletto. Pertanto ritengo che il vero lusso sia comprendere, conoscere e apprezzare la storia di un oggetto, la sua provenienza, la sua unicità: per me il lusso è un oggetto del passato di cui posso ammirare la bellezza, vantare l’unicità e intuire l’appartenenza a un periodo e a uno stile. Lo stesso vale per un accessorio o un capo, se proprio vogliamo insistere con l’analogia lusso/moda. Se conosco la qualità di quel capo, del suo materiale, se so riconoscerne la bontà della manifattura, se mi identifico con lo spirito che ne ha guidato la realizzazione, tra me e quell’oggetto verrà a crearsi un rapporto intimo e speciale, e solo così potrò dire di possederlo davvero e potrò goderne pienamente. Solo così diventa la tua borsa, il tuo cappotto, il tuo gioiello. Altrimenti è un trasporto passivo di oggetti, che ci padroneggiano e ci sovrastano. E in giro vedo molta gente intimidita e sopraffatta dai suoi abiti o dai suoi accessori.
Tra i diversi incontri che ha fatto per il suo lavoro, penso a Marina Cicogna piuttosto che Santo Versace, qual è quello che ricorda più volentieri? Marina Cicogna è stata uno dei personaggi che ho intervistato per il mio libro su Valentino, ed è stata così gentile da fare da madrina alla presentazione che si è tenuta a gennaio dello scorso anno nel Tempio di Adriano a Roma, nel corso di Altaroma. È una signora di impareggiabile eleganza, che ha segnato la storia del cinema italiano: i suoi occhi hanno registrato ricordi con i quali si potrebbe scrivere un’enciclopedia. A Santo Versace, invece, mi legano affetto, ammirazione, stima, amicizia, gratitudine. Non dimenticherò mai la sua telefonata dopo l’uscita del mio primo libro su Versace, la sua amicizia, i suoi consigli, la sua semplicità, la sua franchezza. Non lo riconobbi al telefono, e lui mi disse: “Sono il fratello del ragazzo che sorride dalla copertina del tuo libro”. È un uomo di grande energia, dalla personalità spiccatissima come tutti i Versace, incredibilmente disponibile. È un uomo che bada alla sostanza delle cose, che non si ferma alla superficialità e non si lascia abbagliare dall’apparenza: questo gli ha permesso di frequentare star, politici, top model, potenti e di attraversare incredibili fortune e terribili tragedie senza perdere di vista la concretezza. Ho scritto quattro libri di moda, e nessuno dei “diretti interessati” si è mai sognato di ringraziarmi; ho ricevuto i complimenti della Regina Elisabetta e del Principe Carlo per il mio libro sulla storia del marchio Burberry, ma non di stilisti o uffici stampa. L’unica persona del mondo della moda che mi ha ringraziato per il mio lavoro e che tuttora continua a farlo ricordandolo, valorizzandolo, consigliandolo è Santo Versace. E questo conferma la sua grandezza, e la sua diversità rispetto al settore che rappresenta.
Quali sono gli autori che hanno influenzato di più la sua formazione come scrittore? È una domanda alla quale rispondo con qualche timore, perché se dicessi che mi hanno influenzato come scrittore potrei risultare presuntuoso, accostando il mio stile al loro. Posso, invece, isolare alcuni nomi che mi hanno appassionato e mi appassionano come lettore. Le mie passioni più antiche e consolidate sono AB e BA: Aldo Busi, di cui ho letto ogni parola sin dalla più tenera età, e Barbara Alberti, che amo profondamente e che non è stata compresa pienamente nella sua grandezza di scrittrice; ogni volta che la intervisto o la ascolto vengo rapito dalle sue parole sapienti. Da qualche anno, invece, amo molto autori come Ivan Cotroneo, che è anche un amico di speciale gentilezza, Nicola Lagioia (lo seguo dal suo primo libro, lo trovo mostruosamente talentuoso) e il bulgaro Georgi Gospodinov, commovente e raffinatissimo. Potrei fare altri nomi, ma l’elenco sarebbe chilometrico e correrei il rischio di dimenticare qualcuno.
Come vede invece il futuro dell’editoria? Secondo lei in quale direzione stiamo andando? Stiamo andando verso una noiosissima, e pericolosa, comfort zone. Ormai i libri non si fanno più con la tastiera e le idee, si fanno con la calcolatrice: quanto puoi vendere, quanto possiamo guadagnarci. Logiche di questo tipo, inevitabilmente, favoriscono la banalità e azzerano ogni investimento su nuovi linguaggi e nuovi talenti. Si sta verificando ciò che accade, da anni, in televisione: per ottenere ascolti, si va a discapito della qualità. Anche per questo motivo sono felice di scrivere per case editrici indipendenti: sono le uniche ancora capaci di innamorarsi di un progetto, di condurlo per mano fino al lettore, di vivere un libro come uno scrigno di messaggi e non come un prodotto industriale. Fin quando ci saranno editori così coraggiosi, la cultura italiana potrà beneficiare di un prezioso refolo di ossigeno che la tenga in vita.
Quali sono i suoi prossimi progetti? Nei prossimi mesi sarò impegnato con la promozione del nuovo libro: interviste, presentazioni, incontri. Per me che ho lavorato 25 anni dall’altro lato della barricata, è molto divertente vivere questi momenti. Rilassante, direi! In questo momento, complici le entusiaste endorfine che si muovono nel corpo di uno scrittore dopo l’uscita di un libro, ho almeno cinquanta idee (molte riguardano ancora la moda, è una malattia dalla quale non si guarisce mai) ma voglio impormi di analizzarle con calma, di capirne l’utilità e le possibilità di realizzazione: non mi piace seguire progetti in cui non credo, lo trovo offensivo per i lettori. Mi auguro di poter mantenere intatta la libertà di fare le cose che mi piacciono e di vivere così come vivo: ho pagato un prezzo abbastanza alto decidendo di rinunciare a determinate occasioni o opportunità professionali che mi avrebbero impedito di gestire le mie giornate, di inseguire i miei sogni, di rispettare i miei pensieri. Questo è il mio progetto più importante: fare in modo che la mia vita mantenga questa forma. Ho scelto di vivere lontano da certe situazioni e certi ambienti, circondato da poche e amatissime persone, parlando poco, scrivendo molto, in assoluta semplicità e a due passi da un mare spettacolare. Non rinuncerei a tutta questa bellezza e a tutta questa luce per niente al mondo, e mi reputo molto fortunato perché posso concedermi il più alto e sofisticato dei lussi che è l’autenticità.