Sarebbe interessante fare un’analisi neurologica sui cervelli del terzo millennio per capire a cosa si deve la recente strepitosa crescita del numero di creativi sul pianeta terra.
Immaginate cosa sarebbe studiare la storia dell’arte se anche nei secoli passati ci fosse stata la stessa densità di artisti e creativi a vario titolo che si autodenuncia oggi: libri di milioni di pagine, mentre oggi uno studente medio se la cava con un Raffaello ogni decade, più o meno. Sono tanti oggi i sedicenti creativi, certo, ma altrettanti sono invece i sinceri innovatori, di cui tutti beneficiamo, mossi da passione, coraggio e forse un po’ di sana incoscienza, che si fanno avanti e misurano le proprie idee con la realtà e con il mercato, che poi significa fare impresa. Di arte e di impresa si intendono Giovanna e Federica, founder di Art Stories, che hanno sommato a un’idea creativa e innovativa il coraggio di metterla alla prova delle istituzioni e del pubblico e la caparbietà di farla crescere, convincendo un interlocutore alla volta. Art stories è una app dedicata ai bambini (ma non solo…) e all’arte: l’obiettivo è guidare i più piccoli alla scoperta dei monumenti italiani. A oggi sono state prodotte le app su Castello Sforzesco, Duomo, Palazzo Marino e MUBA di Milano, Art Stories cresce e noi chiediamo loro come ci si orienta, fra incubatori e bandi, come si fa a far sì che dalla creatività nasca un’impresa e l’idea diventi materia viva e visibile, finalmente a disposizione di tutti.
Chi ben comincia è a metà dell’opera. quando si decide che un’idea può diventare una start up? Voi come avete cominciato? “Art Stories è nata da un’idea: trovare uno strumento che con facilità aiutasse grandi e piccoli a visitare e conoscere i monumenti delle nostre città. L’idea è diventata un prototipo: la nostra prima app sul Castello Sforzesco di Milano. Dal prototipo sono nate le successive uscite e da lì il passo più naturale è stato quello di costituire la società.”
Le persone con cui si lavora quanto sono fondamentali? Come avete scelto i vostri collaboratori? “Appena entrate nel mondo delle startup e degli incubatori d’impresa abbiamo capito che due parole non ci avrebbero più abbandonato e sarebbero diventate il nostro tormentone diurno e notturno. Una è scalabilità (cioè la capacità di modulare le risorse per potersi rivolgere a mercati sempre più ampi…e ancora non ci fa dormire la notte), l’altra è team. Anche alla luce delle nostre pregresse esperienze di lavoro siamo certe che le persone siano i veri ingredienti per il successo di un progetto. Noi siamo state fortunate e finora abbiamo trovato collaboratori con doti, qualità e competenze diverse, ma tutti appassionati, entusiasti e generosi”.
Avere un socio o una socia è forse più di essere sposati! Quali sono le qualità che deve avere il proprio compagno di affari per creare una società? “Noi non siamo sposate, ma quasi…siamo cognate. Comunque, pensiamo che i soci in affari debbano compensarsi, incoraggiarsi, fidarsi l’uno dell’altro e, last but not least, divertirsi a lavorare insieme”.
Dando il via ad Art Stories avete scelto la cultura come ambito di attività. Quali sono le specificità del settore, nel bene e nel male? “Quello culturale è l’ambito di lavoro dal quale, con percorsi diversi, proveniamo ed è quindi l’ambito in cui ci sentiamo più a nostro agio. Anche se il patrimonio che l’Italia conserva è la sua più grande ricchezza, spesso abbiamo avuto la percezione di lavorare in una nicchia non sempre compresa. Una volta ci siamo sentite dire da un investitore: “La gente non vuole cultura ma vuole intrattenimento”. Noi siamo convinte non sia così, pensiamo che con la cultura ci si possa divertire, soprattutto se si inizia ad apprezzarla da piccoli!”
Tasto dolente: i finanziamenti. A chi ci si rivolge? “Finora abbiamo partecipato a bandi pubblici di enti e fondazioni e bandi di grandi imprese per il sostegno alle startup. In realtà ci sembra che in questo momento ci siano molte opportunità e molto fermento, bisogna essere determinati e non scoraggiarsi. Siamo consapevoli che i bandi possono dare una spinta iniziale, ma poi il progetto, se funziona, deve essere in grado di sostenersi sulle proprie gambe e riuscire ad accedere a canali di finanziamento più strutturati”.
Cosa sono gli incubatori? Cosa fanno e come si accede? “Ne abbiamo incontrati di due tipi: co-working che offrono spazi di condivisione e di lavoro e alcune consulenze mirate, oppure veri e propri acceleratori d’impresa con grant e programmi strutturati. In entrambi i casi siamo state selezionate attraverso un bando”.
Essere donne cambia qualcosa? “Essere donne cambia perché cambia la gestione del tempo, ma questo vale per qualsiasi lavoro e non solo per chi sviluppa un progetto in proprio. Noi abbiamo però trovato ambienti sempre molto attenti alle esigenze famigliari e a volte ci è anche capitato di portare qualche figlio in riunione… Il fatto però di lavorare nell’ambito delle app per bambini ha forse reso la cosa più semplice”.
Quando una startup smette di essere una startup? “Quando si diventa adulti? Difficile dirlo. In Italia per cinque anni dal momento della costituzione della startup si può godere delle agevolazioni stabilite per legge. Durante questi cinque anni molte startup muoiono e falliscono, altre si trasformano, altre diventano società mature, altre ancora vengono acquisite. Noi abbiamo ovviamente l’ambizione di crescere e diventare un punto di riferimento nel nostro settore”.
Art stories oggi conta quattro app dedicate ad altrettanti landmark della città di Milano, decine di migliaia di download, collaborazioni importanti e ottime recensioni da parte di autorevoli testate on line, anche straniere. A che punto vi sentite? “In realtà ci sentiamo ancora all’inizio. Più lavoriamo più ci rendiamo conto che c’è altro da fare, pensare, cambiare, migliorare. I progetti per il futuro sono molti e le energie non mancano”.