Le fumetterie sono luoghi per iniziati. Il commesso difficilmente alza gli occhi, gli altri avventori hanno tutti l’aria di sapere esattamente cosa stanno cercando mentre tu, che cerchi un regalo per l’amico appassionato, hai perso fin da subito ogni orientamento.
Per guadagnarti il rispetto ed entrare nell’inner circle planetario devi dimostrare passione, che significa l’urgenza di dedicare proprio a quella cosa lì una bella fetta della tua vita e gratis. A quel punto, sei autorizzato ad avere un’opinione. Siccome siamo curiosi a maggior ragione di ciò da cui siamo esclusi, abbiamo cercato un insider che non solo guidi noi neofiti in questo mondo, che va dai manga ai videogiochi passando per il fantasy e i supereroi americani, ma che ci racconti anche come lo si vive dall’interno, come si creano le pagine e i mondi dove milioni di persone si sentono così a casa.
Mattia dal Corno ha cominciato così, da adolescente smanettone e divoratore di fumetti e videogiochi, e appartiene a quell’ultimo scampolo di generazione X nata alla fine degli anni ’70 che ha visto i computer capitargli fra capo e collo e si è incuriosita, divertendosi come matta a capire cosa succedeva. Ora ti dice che non può stare al telefono perché sta testando un videogioco o leggendo un fumetto, che è il suo lavoro. Lecito insistere a disturbarlo per capire cosa significa e come si fa davvero a lavorare con i fumetti (e non solo).
Il tuo lavoro è editare le storie che arrivano dall’estero (soprattutto dal Giappone) e renderne possibile la pubblicazione in Italia. Cosa significa, fra traduzione e stili di vita e non solo? “Come dico sempre a chi mi chiede di cosa mi occupo: “Il mio lavoro è molto più semplice da fare che da spiegare”. In estrema sintesi, consiste in un controllo completo della traduzione, il che significa verificare che l’italiano sia corretto, che i nomi dei personaggi siano scritti in maniera giusta (problema che si verifica spesso con i personaggi secondari giapponesi, visto che la traslitterazione non è una scienza esatta) e che ogni testo originale sia tradotto nel balloon giusto. Dopo di questo si progetta l’albo, indicando quante pagine saranno e cosa ci sarà in ciascuna di esse, segnalando ai grafici che immagini usare. Infine si scrivono i testi che vanno in quarta di cover e, a seconda del caso, le introduzioni e altri articoli. La cosa bella è che ogni giorno è diverso dal precedente perché anche se il lavoro in sé è sempre lo stesso, cambiano le storie e quindi hai sempre qualcosa di nuovo da scoprire ed esplorare. Inoltre avere a che fare con i fumetti ti permette di mantenere un modo di vivere abbastanza giovane, perché il tuo pubblico è spesso composto da adolescenti e le storie sono quindi tarate su di loro. Il risultato è che alla fin fine sono ancora un piccolo sognatore come vent’anni fa: magari sogno meno in grande e meno frequentemente, ma mi barrico nel mio modo di essere un po’ naif e non mi arrendo a soccombere sotto i colpi del cinismo tipico dell’età adulta”.
Che ruolo hanno avuto nella tua adolescenza i fumetti? Oggi hanno un ruolo diverso o toccano età diverse o nulla è cambiato? “Non ci ho mai veramente pensato prima di oggi ma se mi guardo indietro mi rendo conto che i fumetti sono sempre stati parte della mia vita fin da piccolo. I miei genitori non sono mai stati lettori di fumetti ma evidentemente capirono la mia passione e decisero di sfruttarla per introdurmi alla lettura, così ho avuto un’infanzia piena di Topolino, Asterix e il Giornalino. Niente roba Marvel invece, perché ritenuti troppo violenti per me. Anni dopo, la mia adolescenza coincise proprio con il ritorno della Marvel in grande stile e l’arrivo dei primi manga e a quel punto, già più grande e autonomo, mi buttai senza freni nel mondo delle nuvole parlanti. Oggi, quasi trent’anni dopo, il mio rapporto con i fumetti è sostanzialmente uguale: certo adesso sono il mio lavoro, ma continuo a leggerne molti semplicemente perché ancora mi piacciono. Anche se va detto che ne leggo di meno rispetto a prima perché il tempo è poco e le cose da fare per un adulto sono tante. Però sono e restano una componente fondamentale di me: li uso per rilassarmi, per staccare, per isolarmi dal mondo e pensare, eccetera. Il vantaggio è che oggi sono più aperto a vari generi, non solo supereroi o combattimenti di arti marziali, e posso decidere di affiancare a questi letture di opere più adulte come XIII, Maus, Blacksad o altri ancora”.
Cristina d’avena e le sigle dei cartoni animati a Sanremo, Lo chiamavano Jeeg robot nei cinema dal 25 febbraio: la chiamavano la rivincita dei nerd? “Forse sì, ma ormai essere nerd è di moda quindi abbiamo fatto il giro completo e da membri di una minoranza più o meno bistrattata (nella mia personalissima esperienza: per nulla bistrattata), siamo diventati parte di un fenomeno mainstream. Che, come tale, è odiato un po’ da tutti. Non aiuta il fatto che l’hipster medio si professi appassionato di Pac Man senza sapere bene cosa sia, o si dichiari adoratore di Zelda salvo poi non sapere che Zelda è la principessa e non il personaggio che muove il giocatore. Quindi da presi in giro perché diversi a odiati perché di moda: lascio decidere a voi se noi nerd “originali” ci abbiamo guadagnato o no. Ad ogni modo i veri nerd, inteso nel senso di persona che fa qualcosa di diverso dalla massa, secondo me esisteranno sempre. Se oggi “fa figo” dire di aver visto l’anime di One-Punch Man o letto l’ultimo volume de L’Attacco dei giganti, o aver passato un pomeriggio a giocare ad Assassin’s Creed, ci sono ancora passatempi che sono di nicchia e visti con diffidenza dai conformisti. E sono pure parecchi e ben diversi tra loro: penso ai boardgame, al K-pop, a chi scrive e legge fanfic tutto il giorno, eccetera. Chissà se tra qualche anno toccherà a loro avere la rivincita sulla massa”.
Immaginazione e tecnologia si completano o si rincorrono? “Entrambe le cose, direi. La tecnologia può aiutare a trasformare in realtà qualcosa di immaginato. E, soprattutto oggi, nell’era delle start-up e delle centinaia di migliaia di app che escono ogni anno, l’immaginazione può trovare uno sfogo in un qualcosa di tecnologico. È un periodo storico fantastico da questo punto di vista: mai prima d’ora ci sono state tante possibilità di farsi conoscere per i creativi. Vi faccio un esempio che calza a pennello: prendiamo un aspirante disegnatore di fumetti. Venti anni fa doveva andare a una fiera per mostrare i propri lavori a un editore e forse gli venivano dedicati dieci minuti. Oggi può aprirsi una pagina su DeviantArt, Pinterest o un qualche equivalente e mettere i suoi lavori. Se è bravo, verrà notato dagli appassionati, e la gente comincerà a parlare di lui. Se è veramente bravo, i suoi disegni e/o le sue storie arriveranno sugli schermi di qualche editore, e a quel punto sarà quest’ultimo a contattare il nostro (aspirante) artista. Si sono ribaltati i ruoli o quasi, senza contare l’ulteriore ed enorme vantaggio che i disegni online di chiunque li vede il mondo intero, quindi magari non lo contatterà un editore italiano ma uno francese o brasiliano. Il tutto senza che questo disegnatore sia mai uscito di casa per farsi conoscere e senza che abbia speso un solo euro. E si potrebbero fare tanti altri esempi. Questa è davvero tecnologia al servizio dell’immaginazione. Nel 2016 le due cose sono imprescindibili”.
Che relazione c’è fra carta, cartoni animati e videogiochi? Se ne sceglie uno alla volta, a seconda magari del momento della vita, o sono tutti vasi comunicanti? “Al giorno d’oggi non c’è prodotto creativo di successo che non faccia il grande salto passando dal suo mezzo o canale a tutti gli altri. Il mercato globale macina serie a un ritmo vorticoso e tutto quello che ha un minimo di successo nel suo settore, diventa appetibile per tutti gli altri. Siamo arrivati al punto che ormai i prodotti più importanti vengono già progettati pensando allo sfruttamento in ogni mezzo, in ogni settore di merchandising esistente. Anni fa non era così, o meglio lo era solo in alcuni rari casi, e allora sì la scelta tra carta, cartone animato o videogioco aveva senso. Oggi se leggi One-Punch Man devi aver visto anche l’anime, altrimenti sei fuori da parte dei discorsi dei tuoi amici. Non siamo in vasi comunicanti: siamo nella stessa piscina, solo in corsie diverse e bastano due bracciate per spostarci da una all’altra. Ma se ci pensate bene lo stesso discorso vale per qualsiasi prodotto di intrattenimento: quante volte dopo aver visto un film avete sentito, (o magari detto voi stessi!): “Carino ma il libro è meglio”?”
Il primo videogioco e il primo fumetto che ti hanno appassionato e l’equivalente oggi, se c’è, per te, che è poi un consiglio per gli altri. “Molto difficile da dire perché, come sa bene chi mi conosce, la mia memoria è pessima. Facendo uno sforzo disumano provo a rimescolare nei cassetti del mio cervello e trovo, tra montagne di polvere e roba inutile, il ricordo delle avventure testuali della Lucas Arts, tipo The Secret of Monkey Island o Zak… aspetta che cerco su Google come si scrive… ecco, sì: Zak McKracken and the Alien Mindbenders! Capolavori assoluti e senza tempo! Per i fumetti sicuramente gli Asterix, albi fantastici che sanno divertire e far pensare sia i grandi che i piccoli. Guardando invece al Mattia di oggi, invece, la scelta è troppo ampia. Se mi chiedi “il fumetto che porteresti su un’isola deserta” la risposta è sicuramente Calvin & Hobbes, ma ho decine di titoli che metterei subito dietro il capolavoro di Watterson (Fullmetal Alchemist, molte saghe Marvel e alcune DC, Nausicaa, Akira, Powers di Brian Michael Bendis, eccetera). Come videogioco probabilmente prenderei World of Warcraft, perché è un titolo che, almeno nella sua prima incarnazione, ha saputo rapirmi per mesi e mesi grazie alla sua storia fantastica e alle migliaia di cose che c’erano da fare. Più che indicare un singolo titolo, io mi sento di consigliare un’apertura mentale: viviamo in un’epoca in cui abbiamo a nostra disposizione delle opere fantastiche, proviamo a leggere o a giocare a qualcosa diverso. Così facendo si possono allargare i nostri orizzonti e scoprire cose fantastiche che nemmeno pensavamo potessero esistere”.
Se devi recensire un videogioco cosa valuti? “Tutto. È banale, ma quando recensisci qualcosa devi sempre cercare di sondare ogni aspetto e poi pesarlo nella valutazione finale. Dalla grafica al sonoro, dalla storia alla giocabilità, passando per la reattività dei comandi, i tempi di caricamento, l’originalità di vicende e personaggi e via così. E poi metti un voto, sicuro che il 90% delle persone guarderà solo quello e di quello parlerà, ignorando allegramente i 7000 caratteri scritti sopra quel numeretto finale :)”.
Hai un blog dai tempi di Splinder. come hai visto cambiare la parola e l’opinione on line dai primi blog ai social network? “I blog sono ormai morti che camminano, relitti di un’internet che era e che oggi non è più. Anni fa erano il modo migliore per esprimersi e raccontare le proprie idee e opinioni al mondo, oggi lo sono ancora, ma solo per una piccola percentuale di persone (tutte di età superiore ai trenta). I blog sono forme superate che resistono solo grazie ad appassionati come me. Il motivo di questo cambiamento è la velocità della comunicazione, che è passata da lenta e ponderata quando si scriveva in blog o mailing list, a snella e immediata come deve essere su facebook o, soprattutto, su Twitter. Al massimo oggi si va di Tumblr e il suo microblogging. Perché chi mai ha voglia al giorno d’oggi di leggere più di due paragrafi e/o dieci righe? Personalmente la considero una sconfitta per la comunicazione umana, ma come detto sopra io sono della vecchia guardia, quindi sono già coperto da parecchia polvere del tempo”.