32 kilometri non sono uno scherzo da correre. Ancora oggi provo una sorta di disagio quando nella mia tabella di allenamento mi trovo da fare “il lungo pre-maratona”.
In preparazione della maratona di Milano ne ho ben 2 da fare. Un 32k e un 36k in programma per il 6 marzo.
32 kilometri da percorrere a Milano senza rischiare di trasformarsi in criceti. Cosa che regolarmente succede se decidi di farli da sola o con amici tarati su 11/12 kilometri e che, oltre a quelli, si rifiutano di accompagnarti.
Sabato pomeriggio, cartina di Milano e mappe i-phone alla mano cerco di studiare un percorso vario e alternativo. Vaglio tutte le possibilità, inclusa quella del Naviglio, strada dritta, lineare, niente traffico di mezzi a motore, solo runners e biciclette direzione Pavia…
Vado mi lancio per 16 kilometri e ritorno. Perfetto su carta, di fatto escluso. Mi fa paura correre da sola sul Naviglio cosi lunghe distanze, oltre i 10 kilometri solo case e poca gente, non ci sono fontanelle dove rinfrescarsi, lunghi tratti a volte deserti. Quando corro da sola voglio essere tranquilla e concentrarmi su quello che sto facendo, testa libera, senza preoccupazioni, senza dover rinunciare ad ascoltare la mia musica preferita nelle cuffie ad un volume però che mi permetta di rendermi conto di quello che mi succede intorno.
Decido di andare a Parco Ravizza zona Bocconi. Non ho idea di quanto sia il perimetro esterno, ma è certo che per arrivare a 32, dovrò farne davvero un bel po’ di giri lì intorno. Non importa, una volta lì, improvviso.
Mi sveglio con calma, non all’alba come al solito, colazione abbondante, pane nutella, cereali, frutta secca, una bella tazza gigante di Nescafè, fialette energizzanti, oggi ne ho davvero bisogno. Voglia ed entusiasmo, ancora non pervenuti, ciò nonostante mi faccio forza, mi preparo, fascia cardio, allaccio gli scarpini, un po’ di stretching e scendo. Giusto il tempo di girare l’angolo, fare quattro cinque metri e… il Garmin! Ho dimenticato di mettere il Garmin!” Eh no, oggi non gira. Sarà dura.
Ritorno indietro, apro il portone di casa, salgo i cinque piani di scale in ascensore (meglio risparmiare le gambe oggi), recupero l’orologio, ridiscendo, chiudo il portone e via che si parte! Stavolta per davvero.
Sono le 10, il sole splende alto nel cielo turchese, Milano è già in movimento, così ai semafori meglio essere prudente, avere un occhio di riguardo in più, mi fermo, aspetto il verde, stoppo il Garmin, riprendo a correre. Spesso sono fortunata e i verdi scattano tutti simultaneamente cosi proseguo la corsa senza arrestarmi. Arrivo a Parco Ravizza ed è più piccolo di come lo ricordassi! Inizio a girare in senso orario, i lati più lunghi sono in salita/discesa, bene, da tenere presente per i prossimi esercizi con le ripetute. Fa caldo oggi e il sole batte dritto in testa, le parti in ombra del parco, poche purtroppo, sono un vero toccasana che da sollievo alla fatica, oggi sarà dura, me lo sento… i kilometri passano lenti. Cerco di arrivare almeno a 10, poi mi sposto verso il mio Parco Marinai d’Italia e sono altri 2, dove trovo Andrea e Matteo, per farne altri 10 in compagnia e sono 22 e poi magari mi sposto verso i giardini di Via Palestro penso tra me e me.
La tentazione di guardare spesso il quadrante dell’orologio è incontrollabile e non mi aiuta certo a far passare i kilometri, cerco di pensare ad altro, lascio la mente libera di far fluire i pensieri. Il che è un bene o a volte anche un male, inevitabile arrivare a pensare a cose di lavoro, alla prossima settimana che inizia la fashion week, il MIDO, il White, Cena di Maui Jim a Palazzo Parigi, interviste ad Harvey Moscot, il post sfilata di Chiara Boni… ah proposito è andata bene a Londra giovedì al PR meeting, meglio chiamare Paola di myenglish e fissare nuove lezioni. Mi divertono, imparo e mi libero la testa per un paio d’ore.
11 kilometri… SOLO? Ok non ne posso più di girare per Parco Ravizza, alienante, ormai conosco già tutti, socializzo perfino con i cani nel recinto che mi abbaiano ad ogni passaggio. Fortuna che sono al chiuso! A Milano anche i cani odiano i runners!
Mi fermo alla fontanella, bevo, mi rinfresco, soffio il naso e poi imbocco via Bellezza, dritta fino a Ripamonti, via Piacenza, supero il furgone dei polli di Paolino in corso Lodi, e dritta verso Piazzale Libia. Via Cadore, Marinai d’Italia. Ripasso mentalmente la mappa stradale e mi torna alla mente uno dei miei film preferiti “Come sposare una figlia” (The reluctant debutante) con Rex Harrison e Sandra Dee, in assoluto uno dei miei film preferiti, visto almeno quindici volte se non di più. Sandra Dee americana, fa visita al padre che vive a Londra con la matrigna che non ha ancora conosciuto, essendo ormai in età da marito, viene catapultata suo malgrado nel mondo delle giovani debuttanti londinesi e si ritrova ogni sera tra balli, madri isteriche che cercano di piazzare le figlie al miglior partito e (im)probabili pretendenti. Contesa tra il bellone di turno David Parson con il quale Sandra Dee si accaserà alla fine del film, e David Fenner noioso, presuntuoso, invadente a volte aggressivo, monotematico, ogni volta che apre bocca parla solo di toponomastica, descrive nel minimo dettaglio le strade e le vie di Londra, i percorsi da fare e quelli da evitare nelle ore di punta. Ecco io oggi sono David Fenner e un po’ la cosa mi diverte, David Fenner, non aveva poi tutti i torti, in fondo il bello di correre per la città è proprio questo, impari nuove strade e scopri angoli diversi che probabilmente non avresti mai scoperto in una semplice giornata di shopping o mentre vai al lavoro.
Tra un David Fenner, una canzone e un piano di lavoro, la menta vaga ma non abbastanza, sarò sincera verso i 16km ho avuto un attimo di sconforto, 16 è la metà del mio obiettivo di oggi, fa caldo e non vedo l’ora di andare a casa, doccia, divano, pasta e Tv: è da una settimana che aspetto questo momento, per una frazione di secondo una leggerissima frazione di secondo mi sono detta “mollo qua e rientro”. Poi il mio senso del dovere quello che sempre mi appartiene, insito nel mio DNA o semplicemente grazie all’educazione di mamma e papà, quello sviluppato dopo 5 anni di corsa e una Maratona a New York, mi ha fatto tirare fuori l’orgoglio e, continuando a correre mi sono fatta un piano mentale, ho deciso di dividere a gruppi di 4 i kilometri che mancavano. 16, 20, 24, 28, 32. Ok, ai 28 mi fermo a bere alla fontanella. Anzi facciamo che mi fermo ai 26.
Non sembra ma quando arrivi a 20, ne hai ancora 12 da correre e se 10 km li percorri di solito solo per riscaldarti, farlo con altri 20 nelle gambe, non è uno scherzo. Ma io non mollo.
Dopo essermi rinfrescata alla fontanella vicino al campo di basket, ho continuato la mia impresa, il sole delle 13 è sempre alto, ora mi batte in testa e fa un caldo decisamente primaverile, forse mi sono coperta troppo, forse, perché l’aria è ancora fresca e col sudore, prendersi una bronchite è un attimo.
Incrocio altri runners che via via si sono ricambiati nell’arco delle tre ore, incrocio i loro visi accaldati e sofferenti, altri spavaldi e sorridenti, ostento allegria e sorrido anche agli sbroffoncelli che mi sorpassano con aria di superiorità: “vai vai, che tanto ti fermi tra meno di due giri, già sento come rispiri, sembri un carlino col raffreddore e il naso tappato dall’allergia, tu poi che corri con le Air Max dove pensi di andare? Quest’altra con il piumino imbottito, addirittura, non è un po’ troppo? Tu invece con quella pronatura verso l’interno dovresti optare per un paio di scarpe diverse, non serve spendere tanti soldi, sai, basta qualcuno che sappia consigliarti il giusto modello di scarpa che puoi trovare tranquillamente in saldo”.
Ah se avessi il mio piccolo negozio di scarpe da running quanto gente farei felice e salverei dalla grinfie di ortopedici e fisioterapisti!
Tra il divagare dei pensieri, le gambe vanno ormai da sole, programmate come un coniglietto della Duracell che smetterà di correre solo una volta spento il bottone o scaricate le batterie.
Mancano solo 4 kilometri, SOLO 4, Kathrine non si fermerebbe, no Kathrine non si sarebbe arresa, anzi in un goal di 32 k lei ne avrebbe fatti 40. Oggi indosso la sua maglietta, quella viola che mi hanno mandato dagli Stati Uniti quella che rappresenta la sua Fondazione #261 fearless, una maglia che va portata con orgoglio e grande soddisfazione, quindi forza!
Ora capisco Fulvio e gli altri quando li porto fuori a correre con me, quando non ce la fanno più, ma stringono i denti per arrivare a raggiunger l’obiettivo che io gli posto, capisco la fatica e la lotta di combattere contro se stessi e contro la propria testa che escogita ogni trucchetto e inganno per far si che tu ti arrenda. Ragazzi, la prossima volta sarò meno brontolona e più comprensiva promesso.
31. Mi sento quasi in paradiso, stringo i denti ancora un ultimo F… ing giro, dai accelera cosi finisci prima, macino metri su metri fino a quando…. 32! Obiettivo centrato! Suoni di trombe nella mia testa (stile atterraggio Ryan Air).
Mi fermo, stanca morta, sudata, un po’ disidratata, ma felice, ce l’ho fatta, ancora una volta da sola, io contro me stessa, i miei scheletri da combattere, la mia musica che non sempre mi è stata di supporto, perché vi assicuro che quando mi sono trovata nelle orecchie il Claire de Lune suonato da Robert Pattinson in Twilight (figo per carità), avrei voluto battere la testa contro il primo albero disponibile, il problema è che l’i-pod si era incastrato nella cerniera della giacca e non c’era verso di avanzare nelle lista. Ah mi devo segnare nei TO DO: aggiornare la play list della corsa, solo musica energizzante che all’occorrenza mi dia la carica.
Ora vediamo cosa c’è oltre e se riesco a migliorare.
Sono pronta per un’altra sfida. La Maratona di Milano è là che mi aspetta.