Sono sue – con il suo styling forte, unico, riconoscibile – ben cinquanta cover di Vanity Fair. Ma sono suoi, anche diversi e straordinari editoriali per Glamour Italia ed Elle.
E sono ancore sue, le tante collaborazioni con fotografi internazionali – sempre e solo i migliori: da Giovanni Gastel a David Bailey, da Patrick Demarchelier a Greg Lotus e tanti altri…
Davvero niente male per un bambino (il Simone di anni e anni fa) che sognava di fare lo scrittore e poi – tra i suoi vari sogni – voleva far parte di una carovana del circo… Bambino che – poi adulto – si è laureato a Roma in psicologia clinica ma che nel frattempo inizia – con successo – a lavorare nella moda collaborando con uno stilista scozzese.
Mondi lontani tra loro? Ovvero quello dello scrittore (suo desiderio da bambino), o quello della carovana che viaggia, della psicologia clinica e della moda? Non direi. Perché la moda è puro racconto. Perché la moda è il viaggio: pensiamo ai set degli shooting in giro per il mondo, oppure a quanto è indispensabile guardare lontano anche per cogliere solo un trend, quello della stagione che arriverà. Ma la moda è anche capacità di analisi (ecco allora la psicologia): analisi del messaggio-stile da trasmettere, analisi della storia del costume che poi diventerà – con il tuo tocco personale – un servizio-editoriale. E analisi magari anche delle modelle, per capirne al meglio la personalità e valutare “al volo” quali siano quelle giuste che funzionino per i tuoi scatti, per la tua storia di moda.
Tutto ciò è il racconto – e una parte del vissuto – di Simone Guidarelli, uno degli stylist, Fashion Editor più richiesti in assoluto. L’ho incontrato questa settimana per Focus On per parlare del suo lavoro, per parlare della “donna Guidarelli, che ha sempre delle scarpe bellissime (sono la prima cosa che guardo)”, come lui stesso afferma sorridendo.
Ma la donna Guidarelli è anche una sorta di diva degli anni 40, è anche una sorta di Marilyn, sensuale… anche avvolta in un lenzuolo bianco nel letto. Un’indicazione precisa quindi, dello suo stile e del suo styling di successo: ovvero l’amore per quel tipo di femminilità apparentemente naturale, elementi che purtroppo, si hanno oppure no… esattamente come il fascino.
“Sono cresciuto ascoltando e guardando gli altri. Li osservavo come si guardano le macchine prima di attraversare la strada, con estrema tensione, stupore, curiosità”. Simone partiamo proprio da questa sua interessante dichiarazione. Cosa significava osservare gli altri? Significava già osservare come magari erano vestiti? Oppure osservare il loro comportamento, le loro espressioni, i loro modi di fare? Oppure ascoltare le loro storie? Mi racconta meglio queste sue sensazioni? Che tipo di bambino era? Partiamo da che tipo di bambino ero: mi viene da sorridere perché non lo so! Mi sento raccontare dai miei genitori, ma non riesco a vedermi da fuori. La prima cosa che mi viene in mente è la gioia di vivere. Ero un piccolo esploratore, curioso, vivace, inarrestabile difronte ad una mia scelta. Ho dei genitori molto intelligenti e una famiglia straordinaria che mi ha dato il dono più grande: la libertà di scegliere cosa fare nella vita, pur essendo molto presenti e vigili, poiché da bambino passavo dal voler diventare uno scrittore al voler far parte di una carovana del circo capitato per caso nel paese dove sono nato. Sono nato esploratore e viaggiatore e direi alla fine abbastanza coerente con le scelte che ho fatto e la vita che sto facendo. Per ciò che concerne guardare e ascoltare gli altri: da bambino mi sedevo sul divano di mia nonna e ascoltavo mio nonno e i suoi racconti di guerra, mentre mia nonna preparava dolci con la cura di un chirurgo e la leggerezza di una danzatrice. Ho avuto una zia (LINDA) che mi lasciava giocare nelle sue soffitte tra vecchi giradischi e carrozzine anni 50. Trascorrevo le ore in solitudine a cercare, guardare, scovare tra armadi, libri e dischi. Quindi gli altri sono stati fondamentali, per me è come se mi avessero lasciato in eredità le loro storie e i loro piccoli gesti che sono stati poi fondamentali nel mio lavoro nella costruzione dei set dei personaggi. Io sono ossessivo e spiego alle modelle anche come muovere le mani. Gli racconto il mio film e chiedo a loro di interpretarlo. E tutto nasce da quel divano, da quei racconti. Per me è come avere tanti cassetti dai quali attingere ogni volta. Infatti quando mi chiedono come si fa a fare questo lavoro (il mio ), rispondo che basta guardare nella propria storia e li troverai una risposta… ammesso che la persona sappia leggere ciò che vede.
Una domanda invece che le avranno fatto parecchie volte. Come nasce la storia di Simone Guidarelli che si avvicina allo styling, a tutto il sistema moda, un sistema così complesso, articolato e molto competitivo? Mi racconta il suo percorso? Come ha iniziato a fare questo lavoro? Non credo che le cose accadano per caso. La mia vita è un insieme di incontri speciali. Ho sempre lavorato duramente e con grande passione e credo sia l’unico modo per arrivare seriamente alle cose. Mi sono laureato in psicologia clinica a Roma e nel frattempo collaboravo con un giovane stilista scozzese che faceva consulenze per vari brand italiani. Li ho imparato a conoscere i tessuti, la maglieria, vedevo sdifettare capi e creare cartamodelli dalle cartamodelliste che facevano capi per Mc Queen e Vivienne Westwood. Ho imparato a fare Moodboard e a presentare progetti. Poi ho conosciuto la fashion editor di ID con la quale ho iniziato a lavorare per tre anni e poi l’incontro con Giovanni Gastel che mi ha incoraggiato e sostenuto fino a farmi conoscere Micaela Sessa di Elle con la quale ho vissuto una magnifica avventura di fatica e bellezza. Ho lavorato diversi anni come assistente, ma sono stati anni indimenticabili per la qualità di ciò che ho visto, i fotografi con i quali ho lavorato e le persone con le quali mi sono confrontato. Quando fai l’assistente è l’unico momento in cui ti è concesso sbagliare e capire l’errore. La povera Emily del diavolo veste Prada era una dilettante rispetto a quello che ho fatto io (ride). Poi sono cresciuto e Daniela Giussani (Direttrice di Elle Italia per 20 anni), ha creduto in me insieme a Micaela Sessa e mi hanno fatto fare i primi servizi di moda. Daniela Giussani è stata per me una guida, a volte quando monto i servizi mi capita di pensare ancora a lei a cosa avrebbe detto, a cosa avrebbe criticato. Mi ha insegnato a fare ricerca e a stravolgere tutto quando pensi che tutto sia perfetto, e che la moda non è solo mettere insieme ciò che ti piace e ciò che ti sembra bello, ma è cultura, sorpresa, pensiero. Devi sempre saper giustificare le tue scelte (di moda). Poi l’incontro straordinario con Cristina Lucchini. Che dire di una donna che mi ha fatto fare 50 copertine in 8 anni di Vanity Fair? Che dire di una donna che per due anni mi ha permesso di lavorare sia per Elle Italia e Vanity Fair e poi Vanity Fair e Glamour Italia? A Cristina come a Giovanni Gastel devo tantissimo, perché grazie a loro e alla loro fiducia sono cresciuto, ho coltivato la passione e l’amore per questo lavoro ogni giorno. Loro sono per me un esempio di quello che vorrei essere.
Passiamo ad oggi invece. Lei è uno degli stylist, fashion editor in assoluto più richiesti. Penso alle sue tantissime cover per Vanity Fair, ai suoi straordinari servizi per Harper’s Bazaar, Glamour Italia e tanti altri. Ed ancora al suo styling con le celebrities nazionali ed internazionali. Vorrei chiederle … Quali sono – nello specifico – le caratteristiche che accomunano tutti i suoi lavori? In poche parole – mi spiego meglio – quali sono i tratti che caratterizzano il suo styling, il suo stile, la donna di Simone Guidarelli? Io amo le donne: e per me le donne devono essere sensuali, ben pettinate e sempre in ordine. La donna Guidarelli ha sempre delle scarpe bellissime (sono la prima cosa che guardo). Puoi avere l’abito più banale del mondo ma le scarpe devono essere bellissime. Sono ossessivo sui capelli (credo di essere l’uomo più odiato dai parrucchieri sui set), la donna che ho nella mia testa è una specie di diva degli anni 40 oppure potrebbe essere una specie di Marilyn che è sensuale anche avvolta in un lenzuolo bianco nel letto. Ecco mi piace quel tipo di femminilità apparentemente naturale che purtroppo o ce l’hai o non ce l’hai, come il fascino. Quindi nei miei lavori sono sempre alla ricerca di quel tipo di sensualità e femminilità che direi sempre più in estinzione.
Lei ha lavorato – e lavora ancora oggi – con nomi eccellenti della fotografia. Penso a David Bailey, Giovanni Gastel , Patrick Demarchelier, Greg Lotus, Koto Bolofo e tanti tanti altri… Questo che le sto per chiedere è uno tra gli aspetti che mi ha sempre incuriosito del vostro lavoro… Ovvero come si conciliano in un unico risultato finale (il servizio), il gusto o lo stile così spiccato dello stylist e del fotografo con il quale si sta lavorando in quel momento, senza che questi entrino in conflitto l’uno con l’altro? Mi spiego meglio, può succedere che a volte fotografo e stylist vadano all’improvviso – in occasione di un servizio – in direzioni totalmente opposte… magari perché vogliono dare al servizio un’immagine o un impatto diversi o per altri aspetti…. Tutto ciò può accadere? Ho lavorato e continuo a lavorare con grandi fotografi. Penso al mio lavoro come ad un lavoro di gruppo, quindi difficilmente entro in grandi conflitti poiché sono io a scegliere in genere il mio team: fotografo, trucco, capello, modella, set. Come dicevo sono ossessivo e scelgo io la storia da raccontare, il moodboard. Quindi quando arrivo sul set tutti sanno già cosa voglio e cosa devono fare. Quindi difficilmente si va in direzioni opposte.
Quando invece secondo lei un servizio diventa vincente e funziona? Lei se ne accorge da subito o in un secondo momento? Me ne accorgo subito perché si crea una specie di energia che si indirizza verso un unico scopo. C’è una specie di euforia nell’aria, e senti che il risultato sarà eccellente. Tutti sono fondamentali per un servizio vincente. Tutti verso un unico scopo: creare bellezza.
Da dove prende l’ispirazione per i suoi servizi? Come nascono? Nascono da un film, da un ricordo, da un gesto di una persona che osservo ad una cena in cui non conosco nessuno, da un’emozione, da cosa sta succedendo in quel momento nella mia vita. Comunque per me il servizio di moda deve essere una narrazione, devi raccontare qualcosa. Io vedo il bello quasi ovunque, quindi per me non è così facile trovare un’ispirazione.
Parliamo invece per un attimo di new talents. Chi sono i giovanissimi designer e anche fotografi che secondo lei stanno facendo attualmente un bel percorso e di cui tra qualche anno sentiremo parlare? Vorrei cercare di essere meno polemico possibile. Per me il talento è raro. Per me l’ultimo talento che ho visto e che mi ha emozionato è stato Alexander Mc Queen. Sto aspettando che ne nasca un altro, ma al momento nulla all’orizzonte. Al momento copie grafiche di vintage rivisitati e considerati geniali da chi non ha studiato, e di chi non ha memoria storica di ciò che è stato fatto. Per essere dei geni non bisogna essere dei nuovi McQueen, ma almeno avere delle idee si. Per me oggi la modernità e il genio, è ritornare a fare delle cose belle, ritornare al classico. Tutto si sta evolvendo tanto velocemente (e io amo la tecnologia e i suoi vantaggi) ma siamo in un momento in cui stiamo scambiando il contenitore con il contenuto. E questo vale per designer, fotografi e stylist. Sono molto curioso di capire che cosa succederà nella moda, se siamo difronte ad un cambiamento epocale o semplicemente difronte ad un sistema che ha bisogno di crollare e reinventarsi. Io sono qui che aspetto. (Ride).
Simone la moda, il gusto, la tendenza, il lusso dove stanno andando? Qual è la loro evoluzione nei prossimi anni? Chiedo a lei che per il suo lavoro osserva già i prossimi trend che noi ancora non vediamo. Secondo me il vero trend è che non ci sono più trend, ma soprattutto secondo me c’è troppo. Troppo prodotto, troppa comunicazione, troppa scelta e poca desiderabilità. Gli stilisti sono schiavi di dinamiche commerciali che a volte a mio parere non hanno fondamenta concrete, ma sono solo deliri di focus group che non si capisce bene da chi siano formati. Tutti stanno cercando la chiave del proprio successo, ma se fosse così semplice capire il trend e capire quale sarà la proiezione del vero futuro, non saremmo qui a parlarne. Il mercato ormai è parcellizzato. Il lusso, il vero lusso, per me è ormai solo nel vintage a parte rare eccezioni.
Un’ultima domanda. Mi racconta come si rilassa? Che cosa le piace fare quando non lavora? Quando non lavoro amo stare a casa, andare in libreria. Spesso sto a casa a pensare, guardo libri e ascolto musica, faccio cose banali ma che mi fanno stare bene. Ho bisogno di stare anche un pò da solo per capire e vedere quello che accade nella mia vita con distacco. Continuo a guardare e a pensare al futuro a pensare ai mille progetti che ho in testa. Una cosa che mi piace fare è girare per ferramenta a cercare cose curiose.