Quando un’idea si impossessa di me, è difficile distogliermi. Possono convivere impegni di ogni tipo, urgenze di lavoro, fiere e trasferte, ma lei, l’idea, sarà sempre presente in tutto il suo attraente splendore.
Un anno e mezzo fa, ad autunno inoltrato, avevo già capito che la passione per la bicicletta non era un’infatuazione passeggera. Del resto le prove a cui mi ero sottoposta non erano da poco: sopravvivere al ricondizionamento di una vecchia mountain bike in ciclofficina, senza cedere alla tentazione di comprare una super bicicletta tutta nuova e lustra, aveva prodotto in me la giusta determinazione per superare la barriera psicologica dei 25 km.
Sì perché, vuoi che la ciclabile della Martesana a un certo punto sembra che venga inghiottita dalla tangenziale, vuoi che temevo di non avere le forze per tornare a casa, quando riuscii a raggiungere Cassano d’Adda per la prima volta mi sembrava di aver scalato l’Everest senza bombole.
Tuttavia, nonostante l’epopea della bicicletta sia costellata di gesti eroici, sacrifici e varie sofferenze, iniziavo a percepire l’insufficienza del mio mezzo. A partire dal diametro delle ruote. Sebbene avessi montato gli splendidi copertoncini della Schwalbe, non tassellati, ma lisci per l’asfalto, nonché di un bel colore marón, una mountain bike ha sempre e purtroppo le “gambe corte”. La ruota 26, rispetto alla slanciata 28, fa sudare assai di più. Per carità, tutto è stato correttamente propedeutico, però non ce la facevo più a farmi tirare il collo dai vecchietti sulle loro scassate biciclettone da ex fattorino del verduraio!
Apro parentesi. Chissà perché da sola in bicicletta, appena incroci un uomo, altrettanto solo o in gruppetti di 2/3, scatta subito in lui/loro la voglia di farti vedere quanto sono bravi e vanno veloci.
L’ultimo episodio, fresco di giornata, è di questa mattina: “stavo guardando che è molto carino vederti in bici“. Testuale. Parola di pony – ciclista – express. Naturalmente è sempre questione di prospettive e infatti il nostro uomo doveva aver maturato il commento quando si trovava ancora dietro di me. Lusinghiero. Poi però, con uno scatto d’orgoglio fatto di muscoli maschili un po’ spacconi, eccomi abbondantemente superata.
Estenuanti, ma irresistibili queste competizioni improvvisate. Odio da sempre l’idea di gara, ma quando mi si vuole dimostrare qualcosa scatta in me, immediato, il femminismo anni ’70 assimilato con il latte materno. E non ce n’é per nessuno!
Certo… con una bici più veloce…
Così era arrivata la consapevolezza, e con lei l’idea fissa, che avrei dovuto traghettare la mia passione verso un telaio più nervoso e sottile. Una creatura che immaginavo leggera e scattante, naturalmente dotata di grande bellezza (sono una bilancia) ed evocativa di tutte le storie epiche che avevo iniziato a leggere sin dal primo giro di pedale.
E proprio leggendo, o meglio, esplorando google in cerca di ispirazione, ecco che incontro il mio nuovo oggetto del desiderio. Come si chiamano quelle bellissime biciclette che sembrano uscite dal sogno vintage di un designer contemporaneo? Le “scatto fisso”! Colpo di fulmine: una di loro sarebbe stata mia!
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