Quando la testa non collabora, e forse pecchi di presunzione, la corsa diventa un vero inferno.
La Roma-Ostia è una mezza che non avevo preso in considerazione, anzi perché fare una trasferta a Roma quando la settimana successiva c’è la Stramilano proprio qui sotto casa? Poi, come spesso succede, in una delle nostre riunioni in Runbase mi sono trovata ad alzare la mano per confermare la mia partecipazione, senza quasi nemmeno accorgermene.
Sono pigra, soprattutto sabato e domenica mal tollero la dipendenza da orari o impegni. Non mi fa impazzire l’idea di stare fuori casa l’intero weekend e rinunciare al mio pomeriggio spatasciata sul divano di casa in totale relax.
Colpa di Nino che fin dallo scorso anno si è fatto portavoce per una trasferta di massa degli #adidasrunners, gruppo di cui faccio parte da oltre un anno e mezzo, per partecipare alla Mezza Maratona più popolare e numerosa d’Europa.
Eccomi qua con Rossana e Samantha, alle 9.15 di sabato sul treno ITALO direzione Roma con biglietto A/R di Nino, eh già perché poi alla fine lui, lui alla Roma Ostia non ha partecipato. Colpa di una distrazione muscolare di secondo grado che lo ha obbligato ad un riposo forzato di almeno tre settimane.
Roma è meravigliosa e ci accoglie in tutto il suo splendore con una soleggiata giornata di caldo primaverile. Già il mood cambia e l’idea di trascorrere due intere giornate full immersion, all’insegna della compagnia, dell’amicizia, del divertimento e della corsa, diventa di colpo una scelta decisamente meravigliosa. Una volta sistemati i bagagli ci ritroviamo con Raffaella, Valeria, Simone, Annalisa, Giorgio e Matteo e facciamo subito gruppo. Un piatto di pasta cacio e pepe, il caffè più buono di Roma vicino al Pantheon e ci dirigiamo verso l’Expo in zona Eur per il ritiro dei pettorali di gara e per salutare Elisa e lo staff di Adidas presente al gran completo allo stand di rappresentanza al villaggio sportivo.
E’ un via vai di gente di tutte le nazionalità, runners esperti e meno esperti, persone alla prima gara, chi correrà l’intera mezza maratona, chi i 10 o i 5 kilometri chi parteciparà al fitwalking, si respira energia positiva.
È una festa, migliaia di persone accomunate da una sola passione che parla la stessa lingua, non importa la nazionalità, l’estrazione sociale o l’età anagrafica. Un solo credo: endorfine.
Trascorriamo come sempre un paio d’ore abbondanti tra saluti, chiacchiere, shopping, foto ricordo, c’è chi addirittura si fa mettere lo smalto verde tiffany che richiama il colore della maglia da gara.
Decidiamo per una cena a base di carboidrati in un ristorante in Piazza Navona, anche in notturna Roma si presenta al suo meglio, ci sentiamo turiste spensierate mentre passeggiamo tra le vie del centro sotto uno spicchio di luna che illumina timidamente la Fontana di Trevi. La tentazione di vivere la nottata fino alla fine è tanta, ma la sveglia alle 6 del giorno dopo ci spinge ad un coprifuoco autoimposto. Così a nanna presto.
La sveglia alle 6 di domenica mattina è deleteria sempre, ovunque ti trovi e qualunque cosa tu abbia in programma di fare, fosse anche un viaggio ai Caraibi. Nel buio e nel silenzio, una voce si alza lieve: “PERCHE’? Ma chi ce lo ha fatto fare?”. E’ Rossana che ha dormito nel letto vicino al mio, e che ha dato voce ai pensieri che balenavano in quell’istante nella testa di noi tutti. Lo shock da sveglia passa veloce e in pochissimo riusciamo ad essere reattive e operative. In breve tempo siamo già in cucina per una colazione strappata di sotterfugio alla cortesia e alla disponibilità del concierge perché la cucina di fatto a quell’ora è ancora chiusa.
Non mi sento in formissima, lo capisco da subito, sono giornate che nascono “all’insegna del No”: polpacci indolenziti, scarpe che mi stringono, che fatico a sopportare, dolori alle dita dei piedi, fastidio su tutti i fronti. Il raffreddore che mi sta attanagliando da un paio di settimane non mi è ancora guarito del tutto e faccio fatica a respirare cosi decido di prendere una pastiglia di ActiFed per riuscire a liberare il naso, unica contro-indicazione, mi crea arsura ed ho bisogno di bere più spesso del normale, il che in previsione di una gara di 21 kilometri, non è il massimo.
Scendiamo in metropolitana, direzione Lepanto. Meeting Point con Simone e Raffaella e con loro raggiungiamo il luogo della partenza in macchina. Roma città eterna, come eterno il tempo di attesa dei treni della metropolitana. E’ domenica, oltre a noi runners, ci sono i Pellegrini, i militari, i turisti, i Romani che si dirigono al Vaticano per la benedizione papale. Arriviamo in affanno e in ritardo alla fermata Lepanto e da lì veloci come razzi verso l’Eur. Abbiamo meno di mezz’ora per consegnare le sacche con gli indumenti di ricambio post gara che ritroveremo a Ostia al nostro arrivo.
Consegna sacche effettuata entro il tempo limite, capatina in bagno in uno degli alberghi 5 stelle situati in zona partenza e ci infiliamo nella nostra gabbia, colore fucsia. Il mio preferito. Siamo tantissimi, da tutta italia, che dico, da tutto il mondo. Vicino a me due ragazze inglesi, dietro un gruppo di ragazzi russi smaniosi di partire, il loro alitare aromatizzato all’aglio sul mio collo è decisamente fastidioso, davanti gente di Brescia e Bologna, tutto intorno runners sorridenti e impazienti di partire per questa gara tanto attesa e tanto sentita. Qui si parla di personal best!
Noi tutte compatte in gruppo, fino al segnale di partenza.
Pronti via e mi butto a capofitto verso la discesa che ho di fronte, non penso più a nulla, solo a correre. Le gambe girano bene, i dolorini sono spariti e inizio ad inanellare metri su metri seguendo la folla ai lati del percorso. Di tanto in tanto intravvedo Raffaella alla mia sinistra, Rossana e Samantha forse sono dietro, mi giro, butto un occhio e poi a un certo punto stacco e prendo il volo. Mi guardo intorno come sempre quando faccio alle gare, cerco di sorridere alla gente che ci incita da dietro le transenne, però meglio guardare dove metto i piedi, non vorrei scivolare e rischiare di farmi male, del resto Roma è famosa per i suoi insidiosi sanpietrini che tante volte mi furono fatali sotto i tacchi.
In un baleno sono ai 5 km finiti in 25 minuti, sono contenta riesco a tenere un buon ritmo, Coach Matteo sarà contento. Quasi quasi mi fermo a bere ora, si ne ho bisogno, la gola comincia a seccarsi, maledetta pastiglia, però almeno riesco a respirare col naso. L’acqua è fredda, troppo fredda e quando è già quasi in pancia che forse mi rendo conto che ho fatto una mezza cazzata. Pazienza, troppo tardi per rimediare, riprendo a correre, meglio non pensarci, riprendo la mia cavalcata e taglio il 10 km in 52 minuti, un po’ più alto rispetto a prima, ma bene cosi, sono ancora in media.
E poi, di colpo, è successo qualcosa, qualcosa che non mi so spiegare, un black out mentale e fisico.
La salita infinita del 10° kilometro, il caldo, l’acqua fredda di prima, forse la colazione troppo leggera, le mie mandorle e la frutta secca lasciata a Milano, non so bene, ma di colpo, tutto mi è ricrollato addosso, è tornato il dolore ai polpacci, il male alle dita dei piedi, un male che non passa, anche se cerco di appoggiare i piedi in modo diverso per evitare di battere contro la scarpa, niente non c’è verso.
Poi ci si mette anche un formicolio sotto la pianta del piede sinistro… Che mi sta succedendo? Quanto manca ancora? 11 km. 21 meno 11 = 10 kilometri. Ancora 10 kilometri in queste condizioni? E soprattutto quando finisce questa maledetta salita? Ok, no panic, ragiona e cerca di stare lucida, dividiamo la gara per due, anzi no… portiamo a casa 1 kilometro alla volta e andiamo a scalare.
Lo stradone che ti fa uscire da Roma e ti porta verso il mare è lungo, infinito, triste, non c’è panorama che ti possa distrarre se non qualche automobilista che ogni tanto si ferma per guardare e non necessariamente per fare il tifo. I Romani talvolta hanno un po’ lo stesso andazzo dei Milanesi. Insulto e suono di clacson gratuiti, e cosa più terribile il terreno piano in realtà è un falso piano, una leggera, perenne, infinita, maledetta salita.
Mi fermo anche al ristoro dei 15 km, bevo con calma, cerco di riprendermi, muovo i piedi e le caviglie in senso circolare, mi butto acqua in faccia, sui polsi sui polpacci e poi riprendo il mio calvario. Solo ancora 6 kilometri…E vi assicuro che fatti con il dolore ai piedi anche 6 kilometri diventano una eternità.
Ogni volta che incrocio una postazione di pronto soccorso la tentazione di fermarmi e di farmi portare all’arrivo è tanta, dire basta non ce la faccio più a continuare, poi penso, potrei farmi sparare spray di ghiaccio secco cui polpacci giusto per alleviare il dolore, si ma comunque non risolverebbe il dolore alle dita e il formicolio alla pianta del piede, quindi vado avanti.
Dai, in fondo ho corso New York un po’ di orgoglio! Ancora un kilometro. Il bello del vialone lungo è che ti permette di vedere in lontananza le bandiere che segnano i kilometri che ancora mancano alla fine, e quando vedo una macchia verde fluorescente, mi rianimo, e penso meno 1! Ma la salita non finisce, nel frattempo vedo via via sfilare i pacer dell’1.50, poi dell’1.55 e quando vedo anche quelli delle 2 ore mi abbatto, mi demotivo e la testa mi molla del tutto.
Ok Greta è una debacle su tutti i fronti, a tutti capita la propria Waterloo, che vogliamo fare? Portiamo a casa questi 21 kilometri, li carichiamo sulle gambe in previsione della Maratona di Milano del 3 aprile e poi capiamo cos’ è andato sbagliato e cosa non ha funzionato. Intorno a me gente che cammina, gente che respira in affanno, gente che zoppica, gente che corre cinque metri e poi si ferma e cammina, io rallento il ritmo, riprendo possesso dei miei pensieri e riassetto la testa. Non c’è parte del mio corpo che non faccia male, ho caldo, l’effetto dell’actifed sta passando, respiro a fatica, gli occhiali mi cadono dal naso, e con gesti meccanici li respingo a forza al loro posto, è un tic nervoso, ma non mollo, mi sarebbe facile fermarmi e camminare, ma io no: rallento ancora un pochino, mi assetto sui 6 al k. e continuo la corsa.
E sono 19. La salitella ha finalmente dato tregua, ora c’è leggera discesa e si… non è un miraggio quello laggiù è il mare! Un ragazzo vicino a me sospira e grida “finalmente la salita è finita!” lo guardo sorrido e dico “ehcheccazzz! Era ora!”, scoppiamo a ridere e manca poco, ci siamo!
Al 20 kilometro, dopo tanta desolazione finalmente un gruppo di persone che applaude e che ci incita, e poi un altro poco più avanti, è un toccasana che ti riporta alla vita dal torpore e dalla disperazione in cui mi ero chiusa, e inizia la passerella dell’ultimo kilometro, transenne, tappeto, e la bandiera dei 21 kilometri, la guardo e come sempre mi succede, inizio a piangere, di gioia, di disperazione, di dolore, non so, quel cartello e il gonfiabile del traguardo sono come un miraggio nel deserto dopo giorni alla ricerca dell’acqua, sono il limite che segna la fine tra la mia sofferenza e la mia felicità. Ce l’ho fatta, ho tagliato il traguardo con cattiveria e con le poche forze che ancora mi erano rimaste. 2 ore e 01 minuti, non benissimo, obbiettivo fallito, ma non importa, la mia vittoria personale è stata quella di non aver mollato e avere combattuto contro i miei demoni che mi spingevano a mollare.
Roma Ostia 2016 archiviata, al traguardo guardando Coach Rondelli ho gridato presa dallo sconforto: “mai piu!”. Ora a distanza di un paio di giorni dico, magari ancora, ho un conto in sospeso, chissà che non riesca a chiuderl(a) in 1.53 il prossimo anno?