Sempre più spesso è più forte l’urgenza di uscire dal mio “porto quiete” e dare retta a quella fiamma interiore che prevale sulla mancanza di soldi e appoggi. Un solletico irresistibile che mi spinge a sdraiarmi sul pavimento circondata da mille guide per poi farmi catturare da una meta insolita solo perché un’immagine, un toponimo, hanno fatto risuonare in me qualcosa e hanno solleticato in un istante la mia immaginazione.
Mi piace partire senza tanti schemi, senza neanche una sistemazione sicura, solo con zaino, taccuino e macchina fotografica. Decisa a svuotare il mio backpack di ogni retaggio occidentale, per lasciare posto a tutte le suggestioni che il Paese mi offre.
Sono un’amante degli imprevisti che, in un viaggio all’avventura, sono l’ingrediente principale: mi piace mischiarli a un briciolo di stupore, lasciarli rosolare fino a quando non trovo l’ispirazione per risolverli e poi servirli agli amici al mio ritorno, su un piatto di fragorose risate.
Perché… certo che mi piace viaggiare in solitaria, ma solo perché ho la fortuna di essere circondata da persone che mi aspettano impazienti a casa, amici ai quali cerco di riportare pezzettini del mio viaggio. Piego ogni suggestione perché si faccia piccola piccola, in modo da eludere la sicurezza dell’aeroporto e al mio ritorno la regalo a chi ha la sensibilità di comprenderla.
L’Armenia è stata un invito a spostarmi nel tempo, oltre che nello spazio, a scoprire luoghi fermi a epoche quasi remote, a seguire le testimonianze di tempi lontanissimi e mischiarle con le mie impronte. Impronte spesso incerte, alcune volte esitanti di fronte al nuovo, ma che trovano, nel profondo desiderio di scoperta, il coraggio di radicarsi a terra, per poi prendere la spinta per andare lontano.
Ma prima di tutto: dove sta di casa l’Armenia? Alzi la mano chi sa dove si trovi. I miei amici l’hanno collocata ovunque, persino in Medio Oriente! Qualcuno di loro mi invitava a fare scorte di cibo prima di partire per la carestia, altri mi suggerivano di portare il velo, altri ancora scambiavano l’Armenia con l’Ucraina.
Niente velo e nessuna dieta forzata! l’Armenia è un paese a maggioranza cristiana, vanta una tradizione antichissima, che risale al III secolo d.C- ed è considerata la prima nazione al mondo ad aver adottato, nel 301, il cristianesimo come religione ufficiale.
Ma soprattutto… Quale astinenza dal cibo? In Armenia si mangia benissimo! Un gustosissimo incontro tra le tradizioni culinarie di tutti quei popoli che hanno dimorato nel paese: dagli arabi ai russi, dai greci fino ai persiani.
Ma ora prendete tutti matita e carta –quella lucida, delle scuole medie- così disegniamo i confini del Paese.
Indipendente dal Caucaso meridionale, l’Armenia confina a ovest con la Turchia con cui è ancora aperta l’annosa disputa sul genocidio, a sud con l’Iran e l’exclave azera del Nakhchivan, a nord con la Georgia e a Est con l’Azerbaigian, con cui si contende la sovranità del Nagorno-Karabakh.
Proprio a pochi giorni dal mio ritorno è cessata la fragile tregua che durava dal 1994 e purtroppo è riscoppiato il conflitto.
Avrei mai potuto raggiungere il Paese in una comoda mattina di primavera? No! Sarebbe stato troppo facile… Sono atterrata a Yeravan alle 02.00 di notte. Ad aspettarmi all’aeroporto c’era Nabeel. Considerato l’orario di arrivo, avevo reputato opportuno prenotare un servizio di Pick-up. (6000 AMD – 11 euro – 25 min).
Nabeel mi ha accolta con un sorriso che conteneva un misto di entusiasmo, orgoglio e timidezza, e che mi ha permesso, non so ancora come, di riuscire a carpire anche i suoi suggerimenti, nonostante la barriera linguistica.
A Yerevan ho utilizzato come base un Backpackers hostel. (Envoj Hostel ( 7000 AMD – 13,00 Euro circa a notte in camerata). Nonostante non sia più una ventenne squattrinata, continuo a ritenere la formula ostello la più vantaggiosa, non solo per una questione economica, ma anche per la posizione strategica in cui generalmente sono collocati e per la possibilità di scambiare suggerimenti e informazioni con altri viaggiatori. Dopo qualche ora di riposo, taccuino e macchina fotografica alla mano, è iniziata l’esplorazione della capitale.
Giorno 1
Yerevan, protetta da colline, sfoggia incantevoli chiese e diversi musei, tutti collocati in centro e perfettamente raggiungibili a piedi. Nonostante le dimensioni ridotte, Yerevan vanta una vita culturale intensa. È una città dai mille cuori, tanti piccoli organi pulsanti di linfa: dall’imponente Teatro dell’Opera, alla maestosa scalinata Kascad, da Piazza della Repubblica (HANRAPETUTYAN HRAPARAK), con le sue fontane danzanti, fino a Matendaran, la biblioteca custode degli antichi preziosi manoscritti armeni.
Mi ero ripromessa che la mia visita sarebbe cominciata da Tsitsernakaberd, Museo e Monumento del Genocidio Armeno, volto a commemorare le vittime dello sterminio avvenuto tra il 1915 e il 1922: un bunker sotterrano in pietra, anticipato da un filare di alberi piantati simbolicamente dai leader stranieri che hanno riconosciuto il massacro.
Un autobus cittadino mi ha lasciata sulla strada accanto al monumento, una breve camminata prima di raggiungerlo mi ha permesso di predisporre l’animo a vedere le toccanti immagini e ad ascoltare le testimonianze di ciò che qui chiamano “Metz Yeghern” (il Grande Male).
Giorno 2
Il secondo giorno, la sveglia è suonata all’alba: in programma c’è la parte settentrionale del Paese. Nonostante gli spostamenti non siano agevoli, perché il territorio è in buona parte montuoso, avevo deciso di utilizzare i mezzi pubblici: non mi piacciono le scorciatoie! Il viaggio mi ha sempre costretta ad avere fiducia negli sconosciuti, a liberarmi dai pregiudizi e tutto ciò non può prescindere da una totale immedesimazione nel paese e nei sui ritmi.
In Armenia, al contrario, non è sempre stato possibile utilizzare i trasporti locali. La rete viaria non è ben sviluppata e, il più delle volte, le località non sono direttamente collegate. Senza un’auto, la soluzione può essere affidarsi ai tour organizzati dagli ostelli. (TOUR 8 ORE Armenia Settentrionale: Sevanank – Hayravank- Noratus- Geghard Monastery- Garni Temple. Envoj Hostel AMD 16.00 – 30 Euro circa)
Al monastero di Sevanank, con il suo magnifico panorama sul lago Sevan, sono arrivata con un minibus gestito dal mio ostello. Del complesso fanno parte tre chiese: Arakelots , SURP Astvatsatsin e SURP Harutyn, situata sul punto più elevato della penisola. Originarie dell’874 e recentemente restaurate, sono anticipate da un suggestivo cortile di Khatchkar.
Il Khatchkar è uno degli elementi più significativi dell’arte antica armena. Si tratta di croci di pietra raffiguranti a bassorilievo effigi di Cristo, scene bibliche o iscrizioni di passi evangelici in antico armeno. Queste stele votive, che ho trovato molto spesso lungo il viaggio, hanno contribuito a farmi sentire forte il carattere spirituale del Paese, avvolto da riti di devozione, leggende e saggi tramandati dagli ashug, antichi trovatori armeni.
A 30 km a sud di SEVAN, si trova l’incantevole Hayravank un tipico monastero di tufo che ha 1100 anni. Anticipato da un vastissimo cimitero disseminato di Khatchkar, conserva sepolture che risalgono all’età del ferro.
Nell’antico villaggio di Noratus, tra i brulli altopiani di Gegharkunik, una famiglia ci ha ospitato per il pranzo, cucinando specialità casalinghe preparate secondo ricette secolari. Dall’Ishkhan Khoravats, la trota del lago Sevan cotta alla griglia al Lavash appena sfornato, passando da assaggi di formaggi salati fino ai dolma. Quando sono arrivata ai Kartofel atari graki mej che possiamo tradurre simpaticamente in “patate al forno cucinate in sterco di mucca”, ho pensato che la mia immersione nel paese poteva ritenersi completa anche senza questa esperienza culinaria.
Visitato il Tempio di Garni, abbiamo percorso altri 7 km circa per raggiungere il Monastero di Geghard (XII-XIII secoli). Situato in uno spettacolare canyon, il complesso risale al IV secolo e prende il nome dalla lancia sacra che, si tramanda, trafisse il costato di Cristo.
Giorno 3
Tour – Echmiadzin. Quando si viaggia all’avventura è vietato dormire, se non all’aperto. Ed è così che anche il secondo giorno ho visto Yerevan illuminarsi del chiarore tenue del breve crepuscolo mattutino. Alle 7 ero già su un altro minibus messo a disposizione dall’ostello, diretta, in compagnia di una sapiente guida, alla città santa di Echmiadzin, il Vaticano della chiesa apostolica Armena.
Ad accompagnarmi, lungo tutto il tragitto, c’era il profilo del monte Ararat, il monte biblico su cui approdò l’Arca di Noè.
Celebrare la Pasqua in Armenia è una delle cose più belle che potessero capitarmi. Nella cattedrale principale di Mayr Tachar ho assistito alla suggestiva messa del giorno di Pasqua chiamata “messa delle candele”: una corrente ordinata di fedeli, impegnati a proteggere con le mani la loro candela accesa. Per i cristiani Armeni, Echmiadzin (Discesa del figlio unigenito di Dio) ha un’importanza suprema e lo si capisce non appena varcata la soglia della cattedrale: basta osservare lo sguardo devoto delle persone, la compostezza emozionata delle famiglie e le mani spesso intrecciate con quelle del vicino, in una manifestazione di fiducia commuovente.
Con il cuore ancora pieno delle suggestioni di Echmiadzin, mi sono fermata a pranzo da una famiglia locale che festeggiava la Zatic, la Pasqua armena. È cosi che ho scoperto la loro tradizione di dipingere le uova, ma non con decorazioni colorate alle quali siamo abituati, ma con immagini tratte dalla Passione.
La padrona di casa ci ha timidamente invitati a provare l’usanza armena di far scontrare le uova come in battaglia. Senza esitazione, tutti noi ci siamo immersi in questa antica usanza, tra sorsi bollenti di caffè, assaggi di baklava e altri dolci casalinghi.
Giorno 4
Dopo un viaggio di circa 40 minuti percorso su una Marshrutky, il minibus locale, lungo una strada piena di buche e paesaggi mossi e disabitati, ho raggiunto il Monastero di Krov Virap (30 km a sud di Yerevan) ai piedi del monte Ararat. (ADM 400, circa 75 centesimi).
In questo luogo di pellegrinaggio, ho fatto la conoscenza di una delle figure più care agli armeni: San Gregorio Illuminatore. Qui si trova infatti il pozzo dove si narra che San Gregorio rimase prigioniero per 13 anni prima di guarire il re Pagano Tridate III e condurre la popolazione verso il Cristianesimo.
Mi sono calata nel pozzo di 7 metri attraverso una scala di metallo, più o meno sicura, determinata a raccogliere ogni impressione di questo luogo leggendario. La collinetta su cui sorge il monastero sembra magica: avvolta da vigneti e pascoli, regala una vista incantevole. Da qui è ancora possibile vedere i nidi di cicogne.
Il pomeriggio è trascorso con la visita al complesso monastico di Noravank (Nuovo Monastero). La chiesa principale di SURP Astvatsatsin si raggiunge attraverso una stretta e vertiginosa scalinata in pietra, posizionata all’esterno della facciata.
Si narra che un tempo Novarank custodisse un frammento della vera croce macchiata con il sangue di Cristo.
Mi sono fermata in questo luogo magico fino al tramonto, incantata a osservare il lento calare del sole sulle montagne. Paesaggi brulli, a tratti selvaggi, che restituiscono immagini così soavi e ammalianti da rendere difficile scostare lo sguardo.
Giorno 5
Per il penultimo giorno, ho raggiunto con una marshrutky la piccola provincia di Ashtarak, lungo la gola del fiume Kasagh. (marshrutky) 250 AMD – 0,50 Euro.
Dopo varie contrattazioni con un tassista che poteva essere il nonno di mio nonno, ho ottenuto di farmi accompagnare in macchina a Saghmosavanank, un delizioso monastero che vanta cupole e tamburi risalenti al XIII secolo. Da qui ho intrapreso un sentiero a piedi di circa un’ora e mezza che mi ha portata al monastero di Hovahannavank, posizionato sull’orlo della gola e famoso per le incisioni decorative del VII secolo.
Quando non si parla la stessa lingua, ci si capisce con la determinazione degli sguardi e con la gestualità.
Ad aspettarmi ho trovato infatti il mio tassista nonnino, fiero e puntuale, come da accordi. Con una scarica di sorrisi e sguardi supplicanti, ho chiesto di concedermi ancora un’oretta per vagabondare nel vicino villaggio di Ohanavan tra bimbi saltellanti, cavalli nelle corti e galline che scorrazzavano libere all’ombra di antiche Khatchkar disseminate dappertutto.
Giorno 6
Yerevan, al suo risveglio, mi è sembrata quasi familiare, nel suo stare in equilibrio tra il passato sovietico, riconoscibile nel profilo di alcuni palazzi, e il suo sforzo incessante verso il futuro.
Dedicare l’ultimo giorno alla visita dei musei cittadini si è rivelata un’ottima idea. Ho scelto, tra i numerosissimi, il “Museo di Storia di Armenia”, Matenadaran – L’Istituto dei Manoscritti Antichi e l’eccentrica casa-museo del regista Sergei Parajanov, conosciuto il tutto il modo per l’originalità dei lavori e per la sorprendente multiformità della sua attività artistica.
Le ultime ore le ho spese al “Vernissage Market”, il mercato cittadino, il luogo che più di ogni altro riflette le diverse anime che abitano la città.
Un variopinto affresco che raccoglie suonatori di Duduk, artigiani, artisti ancora intenti a dipingere le tele, anziane che abitano il mercato solo per il piacere di sorridere delle contrattazioni, facce severe che, dietro al fumo del sigaro, nascondono tutta la pazienza necessaria a spiegarmi la preziosità di una pietra, o come riconoscere il pregio di una ciotola di bronzo o di un monile.
In conclusione… Viaggiare in solitaria si può, aiuta a misurare il proprio coraggio, ad aumentare la fiducia negli altri, a non perdere concentrazione, e a trovare insoliti nuovi compagni di viaggio.
In questi sei giorni di viaggio, non mi sono sentita sola nemmeno per un istante, perché sapevo che, mentre una parte di me vagava per i sentieri armeni, un’altra albergava nel cuore di qualcuno che mi aspettava a casa.E sto parlando dei miei più cari amici, che non vedevano l’ora di riabbracciarmi, per mille motivi.
Per sentirmi raccontare di sguardi fieri sotto le più arruffate delle sopracciglia. Per vedermi disegnare con un dito profili di montagne che si tingono di carminio all’imbrunire, ricordandomi che è l’ora di riposare. Per ascoltarmi mentre descrivo dolci madri che pettinano le loro bimbe affinché possano “venire bene” nella foto che sto per scattare.
Per sentirmi parlare della grande umanità di un mercato che ti chiude strette le mani nelle sue, per salutarti, come se ci si dovesse incontrare altre mille volte. Ma, soprattutto, per vedere i miei occhi accendersi, parlando di un Paese con tanta sofferenza alla spalle, ma che ha tantissima voglia di accoglierti con il più luminoso dei sorrisi.