Bene, sarò molto sincera: avevo già scritto l’attacco di questo pezzo e l’ho dovuto rifare. Il motivo è semplice: mi è venuta la brillante idea di leggere la mail e ho trovato la comunicazione che Victoria Beckham ha stretto un accordo con Estée Lauder per una Limited Edition di Make-up che uscirà in settembre.
In realtà la notizia non dovrebbe sorprendere più di tanto, soprattutto dopo che Isabella Rossellini, già primo volto Lancôme nel lontano 1983, è tornata, pochi giorni fa, a far parte della Maison francese come testimonial, ricucendo quel rapporto idilliaco che si era invece sgretolato nel 1997, quando l’attrice fu congedata perché troppo matura (per la cronaca, aveva SOLO quarant’anni).
In effetti, viene da chiedersi dove stia il problema, dato che la cugina L’Oréal Paris schiera nientemeno che ventidue celebrities, tra le quali non possiamo non ricordare la non più teen – ma sempre splendida – Jane Fonda.
Potremmo proseguire a lungo sul tema “celebrities come testimonial”, nel mondo beauty come negli altri. Basti pensare alle onnipresenti Michelle Hunziker e Belen Rodriguez, e per quest’ultima, per la sua capacità di dividere le masse, vale il concetto secondo cui “non importa se bene o male, purché se ne parli” – soprattutto a livello social.
Fatto sta che ora Antonio Banderas è diventato un mugnaio, George Clooney probabilmente soffre di insonnia cronica da overdose di caffeina, mentre l’espressione “Perché io valgo” è entrata nel linguaggio comune, in senso più o meno ironico, si intende.
Denominatore comune di tutto, è sempre la figura chiave del testimonial – ma a certe condizioni, altrimenti si ha un effetto boomerang per cui la celebrity “mangia” il prodotto, che passa in secondo piano, e questo è soltanto uno degli aspetti di cui tenere conto, come evidenziato da Top Star, il servizio di Ipsos interamente dedicato al monitoraggio della notorietà e dell’impatto emozionale di personaggi famosi.
Guai, infatti, se un’azienda scegliesse un personaggio poco adatto al prodotto X oppure lo volesse ingabbiare in un ruolo non coerente con la sua immagine: l’effetto sarebbe controproducente sia per il brand sia per la celebrity. Un po’ come era successo lo scorso autunno ad Anna Tatangelo, scelta incautamente dalla LILT per rappresentare la campagna Nastro Rosa: un autogol soprattutto per la LILT, rea di avere assoldato nientemeno che una donna col seno rifatto.
Oppure, pensiamo a Bruce Willis, che da duro a morire è ora ridotto a una macchietta in cerca di wi-fi come un rabdomante cerca l’acqua. O a Penelope Cruz: personalmente, con una borsa Carpisa non me la immagino proprio.
C’è infine una voce fuori dal coro: Dove, con la sua campagna Per la bellezza autentica, in cui compaiono donne comuni, normali, in opposizione alla bellezza aspirazionale delle dive-testimonial. Ma diciamolo tra di noi: chi di voi se ne ricordava?