Non posso negare di essermela cercata.
Mesi di giretti minimal, casa-ufficio ufficio-casa, e neppure tanto di frequente, complice maltempo e scarsotempo; un po’ di cene pesanti e pranzi abbondanti; la mancanza di palestra (tanto vado in bici) ed ecco servita la famigerata “cotta”, ovvero la temuta e repentina mancanza di benzina che ha colpito tutti i ciclisti, anche quelli leggendari. Forse persino Coppi e Bartali. O Anquetil e Poulidor.
Non potevo crederci e, soprattutto, mentre succedeva non conoscevo ancora il suo nome “tecnico”. È stato il mio papà, ciclista espertissimo, a illuminarmi: “ah… ti è venuta la cotta!”, “…come?”, “sì, la cotta. Quando non ce n’è più”, “ma fanno male i muscoli delle gambe tremendamente?”, “certo: è la cotta!”.
Quindi la cocente umiliazione subita a Cassina de’ Pecchi, dove la fermata della metro è vicina alla ciclabile almeno quanto le sirene alle orecchie di Ulisse, poteva anche essere, in parte, giustificata. Certo che caricare la bici sul treno e tornare mestamente a casa dopo una gioiosa galappata fino a Crespi d’Adda senza neppure sentire la catena, non è stato un bel momento. Soprattutto a causa della cotta.
Inizia tutto con un pensiero strisciante: ma quale rapporto ho messo? Seguito subito da un secondo, davvero irrazionale: sono in salita? Sì… qui c’è una lieve salita.
La pedalata lunga che ti fa volare al mattino appena hai riscaldato i muscoli sembra un lontano ricordo.
Ogni giro di pedale pare interminabile e, intanto, incomincia a farsi sentire il muscolo. O meglio, i muscoli. Tutti quelli che contano! Nel mio caso ho visto che si trattava del quadricipite femorale, il vasto laterale e il vasto mediale. Ovvero la coscia nella sua scoraggiante totalità. Il mio gruppo muscolare più forte, quello allenato allo sci da sempre.
Un duro colpo psicologico quindi avvertire i primi doloretti da quelle parti. Se la coscia mi lascia dove vado?
La prima contromisura adottata è stata quella di alleggerire il rapporto del cambio. Pedalate più corte e rapide contro il lungo giro da pianura. Così cala la velocità dell’andatura e non hai bisogno di spingere. Un po’ di sollievo e la sensazione che il muscolo si stia sgonfiando.
Dopo qualche chilometro il sintomo però ritorna ed ecco che appare chiara la realtà. Non si può ancora alleggerire il rapporto, pena la sensazione di correre su una biciclettina da circo, con le gambe a ritmo accelerato e la bici praticamente ferma…!
Così Cassina de’ Pecchi diventa il miraggio nel deserto. Adesso arrivo, adesso arrivo… prendo il biglietto, carico la bici sulla seconda carrozza, adesso arrivo, adesso arrivo… Un mantra tristissimo! Con la vocina di chi so io che in controcanto ripete: ” ecco! Hai voluto strafare e…”.
Seduta sulla panca ad aspettare il treno (appena passato quello che mi avrebbe salvata subito) dopo aver fatto le scale con una rigidità degna del rigor mortis, ecco che si scatena l’inferno. Credo quindi nella mia vita di non aver mai sperimentato prima, veramente, l’effetto dell’acido lattico.
Sudori freddi, tremori diffusi, caldo bruciante e un dolore infinito, sottile e avvolgente. Che paralizza i sensi. “…e tutta in sudore e tremante com’erba patita scoloro”. Una poesia d’amore? Certo! Mi son presa una cotta..!
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