Una giornata da sempre tanto attesa quanto vissuta con incontenibile emozione e tanta gioia. Non solo perché avevo per me l’attenzione di mamma e papà, cosa più unica che rara, ma anche perché potevo scegliere il modello che più mi piaceva, senza limiti o vincoli.
Poi c’è stato il periodo del tacco, “le brave signorine indossano sempre scarpe col tacco” era solita dire la zia Monica nei periodi estivi che trascorrevo con lei a Londra, tra un corso di cucito e uno di inglese.
Mezzo tacco, tacco alto, tacco altissimo, tacco 12. Anche in quel caso, una vera malattia più dettata dal fatto che lavoro nella moda e dalle amiche vere fashion-victim e soprattutto dal fatto che in certi ambienti la ballerina o la sneakers non erano ammesse, figurarsi. Salvo in una nota casa di moda che per gentile concessione, non si capisce bene il motivo, all’ufficio comunicazione insieme a pantalone elegante e giacca di rappresentanza ci fu concesso di indossare le New Balance rigorosamente nere, grigie e bianche.
Soldi e soldi spesi in scarpe, sandali con plateau, senza plateau, tacco largo, tacco a spillo, sabot, stivali, non mi sono fatta mancare nulla.
La scarpa col tacco effettivamente slancia la figura e dà quel certo stato di sicurezza che ti aiuta ad affrontare dall’alto dei tuoi tacchi, riunioni di difficile gestione, confrontarti con interlocutori particolarmente ostici e poco collaborativi, fare “vascate” in centro con una certa sicurezza e spavalderia da far spostare chiunque intralci il tuo cammino, sfrecciare per i corridoi dell’ufficio guardando i colleghi dall’alto in basso.
Salvo poi spaccarti la schiena, patire di dolori alla cervicale, a rischio di alluce valgo…orrore!
Poi c’è stato il periodo in cui mi sono occupata dell’ufficio comunicazione di un noto brand sportivo italiano, bandite le scarpe col tacco, benvenute sneakers. Una benedizione soprattutto in occasione di fiere impegnative come Pitti, Bread & Butter e in generale anche in ufficio nella vita di tutti i giorni. Riuscivo ad abbinarle perfino con i miei classici tubini neri e a sentirmi a mio agio nonostante il mio metro e 60.
Poi è iniziato il periodo del running, la fine della mia scarpiera e non solo di quella di Milano. Semino scarpe da running ovunque mi trovo, casa al mare, casa al lago, casa di mamma e papà, casa a Milano, una dipendenza simile mai successa in vita mia. Vero è che le scarpe da corsa hanno una durata limitata a seconda della tipologia di appoggio del piede o dei kilometri macinati, ma da quando mi sono “incriccata” e ho speso all’incirca un paio di mesi tra visite dall’ortopedico e in riabilitazione, presto molta più attenzione alla scelta delle scarpe e non appena ho la percezione che siano scariche, ne compro un paio nuovo che alterno e non solo per il look.
Ovviamente non ho cuore di buttare le scarpe usate, le prime scarpe da running, le prime scarpe della mezza, le prime scarpe della maratona, mi piace tenerle tutte come ricordi. Letteralmente sommersa. Non so più dove metterle e il bello è che ne compro di nuovi modelli in continuazione. Una malattia. Oggi poi che il running e le scarpe da running sono di moda da poterle usare non solo nella quotidianità dell’ ufficio, ma nelle riunioni, perfino ai vernissage e alle conferenza stampa e chi mi ferma più?
Ovvio che le scarpe tecniche le uso solo in occasione delle mie uscite o delle gare, ne sono gelosa e ho il terrore che si possano scaricare e crearmi danni a ginocchia, polpacci o altro.
Le mie preferite sono le Adidas, Ultraboost, Superglide, Energie Boost 3 ne ho di tutti i colori e appena posso le indosso. Le alterno alle Asics cumulus 17 che per l’allenamento generale e le mezze maratone sono una certezza.
Poi c’è il colpo di fulmine, il mio primo paio di scarpe da running, quelle che quando indossi cambi dimensione, quelle che mi fanno sentire esattamente come ai tempi della danza classica, quando indossavo le scarpe da ballerina prima del saggio di fine anno, scarpette di raso con punta di gesso, una sofferenza vera ma dopo pochi minuti è come se le avessi sempre avute ai piedi.
Le Brooks Adrenaline GTS 15 le ho usate per la mia prima maratona, “quella” prima maratona che mi resterà per sempre nel cuore e che mi spinge a correrne altre per provare ancora quella gioia infinita che provi al taglio del traguardo di quei “maledetti” 42 kilometri e 195 metri. New York.
Le Brooks sono comode, colorate, glamour, proteggono il piede e soprattutto sono ammortizzate, perfette per chi come me è una runner pronatrice e ha bisogno di sostengo e stabilità in corsa. Se indossi un paio di Brooks, senza dubbio sei una runner, non sono scarpe che si comprano ovunque, sono scarpe di ricerca e di nicchia vendute solo in posti specializzate dove runners più o meno esperti vanno a fare i loro acquisti.
Come le ho scoperte?
Il giorno in cui sono guarita dopo due mesi di fascite plantare causata da scarpe non adatte al running, errore da principiante, capita a tutti all’inizio, poi si impara. L’addetta vendita di questo negozio fantastico mi osservò camminare, mi fece alcune domande e poi tornò dal magazzino con una scatola contenente un bel paio di Brooks bianche e fucsia, il mio colore preferito. Fu subito amore. Le macinai, fino a quando fui costretta a cambiarle, controvoglia, ma ormai la suola era logora e consumata al limite, mi dissero che stavo correndo con dei ferri da stiro ai piedi e che presto ne avrei risentito con dolori alla schiena e alle ginocchia. Così fu.
Ne comprai molte altre paia da allora, di colori diversi, perfino all’isola di Weight, una settimana di agosto in cui avevo deciso di trascorrere le mie ferie in maniera alternativa, trovai un rivenditore Brooks e naturalmente non mi feci sfuggire l’occasione di comprarne un paio.
Da quando ho iniziato a correre sono passati un po’ di anni, sono diventata meno improvvisata e un po’ più esperta, volubile sull’abbigliamento, un po’ meno sulle scarpe. Preferisco andare sul sicuro. Le Brooks sono una certezza, la scorsa settimana ho deciso di provare le Ravenna 7. La sensazione che ho provato quando le ho indossate è la stessa di sempre, comode, stabili, forse meno rigide rispetto alle Adrenaline che spesso mi portano a correre troppo sulla punta del piede. Le Ravenna sono il giusto compromesso tra le calzature neutre e quelle con un supporto più specifico e marcato. Leggera quanto basta, avvolgente e ammortizzante, la suola segue il movimento del piede assecondando la falcata. A volte dimentico perfino che sto indossando un paio di scarpe e vi assicuro che sulle lunghe distanze avere un gran male ai piedi, o indossare scarpe non adatte ti compromette tutta la gara e ti toglie quella gioia e quella spensieratezza che correre una maratona regala. Ora che le ho provate e chi le molla più?
E per la prossima maratona? Ravenna 7.
18 Giugno Monza-Resegone, tosta, tostissima che si conclude con gli ultimi kilometri in salita fino a sfociare in una gara di trial, bella vero?
Due cambi look e cambi scarpe in previsione. Ultimi kilometri, impossibile correre con le Brooks ma con un nuovissimo paio di scarpe da trial. Ma questo è un altro capitolo.