Ascoltando Alain Morales si chiariscono tante idee, per esempio su cosa sia il talento e cosa sia l’arte, e la risposta che viene in mente ha qualcosa a che vedere con l’urgenza di dire e di fare o di dire facendo, nel caso di Alain: di dire ballando.
Vanno bene anche i talent, allora, perché chi ha quel fuoco lì ce lo ha comunque, da qualunque parte arrivi. Si capisce anche perché non si possano non amare questi ritmi e queste danze: perché raccontano di terre dove si decide di essere felici e sorridenti, quando va bene e quando va male, e quella energia arriva anche a noi, mentre affaticati e soddisfatti cerchiamo di stare dietro a chi ci insegna.
La salsa, poi, racconta di un altro carattere dell’America Latina che è un po’ come un pasto brasiliano, tudo misturado: tutto mescolato. Nei suoni di questo ballo trascinante c’è la storia e la vita di popoli nati dall’incontro fra persone, culture e tradizioni completamente diverse: la musica ha fuso europei, caraibici e africani oltre ogni distanza e oggi ciascuno ritrova in quei movimenti un po’ di sé, probabilmente la parte migliore.
Poi c’è la vita, che non è semplice perché il corpo e la danza richiedono rispetto e cura, perché la salsa fa di muscoli, braccia e gambe, il proprio strumento e chiede che vengano preservati. Che alla fine il bilancio sia molto più che positivo ci sembra evidente dalla scossa che Alain trasmette mentre balla. Come stiano davvero le cose, però, lo chiediamo a lui.
Cosa ha di speciale e di diverso la salsa rispetto agli altri stili di danza centro e sudamericani? “La Salsa Cubana racchiude in se un po’ tutti i ritmi cubani e dell’America latina. Si chiama Salsa per questo, perché al suo interno ha un po’ di tutto. Grazie a questa miscela così esplosiva, accontenta una fascia più ampia di persone e attira verso di sé anche chi non ama un genere musicale in particolare, ma nella salsa ritrova familiarità con il proprio gusto musicale arricchito da altri”.
Il mix di suggestioni e ritmi che la salsa porta con sé quanto rispecchia l’anima di Cuba? “Si dice che il popolo cubano sia uno dei più variegati al mondo. Le varie colonizzazioni, quella spagnola in modo particolare, gli schiavi africani dal Congo e dal Ghana, hanno fatto sì che in questa terra differenti etnie, religioni e culture si fondessero in una sola, dando vita alla cultura e alla storia di Cuba. La salsa cubana è esattamente la stessa cosa: una fusione, una miscela, una ricetta fatta di tanti ingredienti diversi tra loro, ma che insieme trovano un equilibrio totalmente diverso e affascinante che attrae le persone, come il carattere cubano. La salsa è una miscela ricca di culture differenti, di sentimenti contrastanti che però insieme rendono tutto misticamente affascinante”.
Perché gli italiani, gli europei, i nordamericani si sono innamorati di questi ritmi secondo te? “Sicuramente il movimento culturale della salsa ha unito e messo insieme diverse cose, tante culture e estrazioni sociali differenti si sono mischiate unendo cose che prima era impensabile unire. Il clima cordiale e divertente di questo movimento ha la capacità di far dimenticare la frenesia della vita occidentale. L’apparente vivere in maniera spensierata e sempre con il sorriso, spinge gli altri popoli a voler fare altrettanto e ridere di più e l’ambiente divertente della salsa porta a farlo facendo dimenticare alle persone, almeno per qualche ora o per il tempo di una canzone, le preoccupazioni o i problemi del vivere quotidiano. Per quanto riguarda la parte invece storica della Salsa ci tengo a dire che questo ritmo arriva negli Stati Uniti negli anni ’70 grazie a molti gruppi che espatriano dai confini latini. Tra i più importanti sicuramente la Fania All Stars diretto da Johnny Pacheco, che contava al suo interno vari componenti come Santana, all’epoca chitarrista di spicco della band, e, per la parte cubana, la grande Celia Cruz, divenuta famosa anche negli States e vincitrice di 3 Grammy Awards”.
Cosa significa essere un ballerino professionista? Come è la tua vita? “Essere un ballerino professionista vuol dire tante cose, prima fra tutte lavorare con il proprio corpo. Per questo bisogna avere ben chiaro cosa significano sacrificio, impegno e allenarsi costantemente, ballare anche quando hai male a un piede, quando i crociati ti fanno male e anche quando hai uno spettacolo importante e il cane di un vicino ti ha morso proprio il piede… Questo naturalmente è quello che c’è dietro ad uno spettacolo, un congresso, diciamo dietro il sipario, ma la parte che preferisco è naturalmente la gratificazione che arriva da una lacrima del pubblico che si è emozionato dopo il tuo show, dalla signora che ti abbraccia come fossi suo figlio, perché in qualche modo le hai trasmesso delle emozioni, o il messaggio che arriva da un tuo allievo che vuole dirti semplicemente “grazie”. Ecco, tutte queste cose non hanno prezzo e ti danno sempre più forza per fare di più e spingerti oltre, anche quando chiedi alla tua famiglia di supportarti e di sopportare tante lontananze: un mix tra un sacrificio immenso e costante e un ritorno di sentimenti che sono la vera gratificazione”.
Cosa significa per te il termine folclore? “Il folclore lo descriverei come l’anima del popolo, la parte istintiva di ogni ballerino. Il folclore è un bambino che balla per strada senza scarpe, senza sapere come faccia a farlo. Si parla di tradizioni che hanno fatto un viaggio lunghissimo, come è stato per esempio per noi cubani perché molti balli sono arrivati da lontano: la rumba si chiamava ‘rumbo’ quando è arrivata dalla Spagna, indicava la ‘donna di strada’ e nelle strade questa danza era nata poi a Cuba, soprattutto nella provincia di Matanza, ha trovato una nuova vita; lo stile Afro lo abbiamo ereditato dagli schiavi del Congo e del Ghana. Il folclore è una serie di eredità che ci giungono da chi c’era prima di noi e che nei secoli si sono tramandate tra la gente comune, divenendo qualcosa di estremamente identificativo. E devo dire che tra noi cubani il folclore ha un’influenza davvero molto forte nella vita di tutti i giorni”.
In Norvegia ti hanno scelto come giudice di Talent Show KLM, l’equivalente di Italia’s Got Talent: quanto ti diverti e cosa pensi che porti le persone a cercare di dimostrare il proprio talento? “Io mi diverto davvero in qualsiasi ruolo abbia a che fare con il ballo. Quando rivesto i panni del giudice mi piace vedere la gente sognare e la grinta e la tenacia che investono per farcela, in un certo senso è come se ballassi anche io attraverso di loro. L’artista in generale ha l’esigenza di ballare, di provare il suo talento, per questo credo che le persone che si avvicinano ad un Talent, lo facciano perché hanno questo senso artistico maggiormente sviluppato. L’artista ha un vulcano dentro sé che lo spinge ad esprimersi in mille maniere e nel caso del ballo è ballare per se stessi e per gli altri, esprimendo tutto attraverso la musica e i movimenti del corpo”.
Michael Jackson ti ha fatto scoprire la danza. Cosa hai trovato ballando? “Micheal Jackson mi ha fatto scoprire la danza a 360 gradi. Tutti lo conoscono come il Re del Pop, ma molti non sanno che lui era un ballerino completo e maestro dell’espressione allo stato puro, uno dei codici più importanti per un ballerino. Attraverso di lui, cercando di carpirne i movimenti, sono andato sempre più a fondo facendo crescere giorno dopo giorno l’amore per la danza. A lui nel 2007 ho dedicato uno dei miei spettacoli che prevedeva una fusione di uno dei sui temi più famosi, Billie Jean, con la salsa. Ballare sul palco imitandolo è stato davvero emozionante. A lui, come anche ai grandi maestri che ho incontrato nel mio percorso devo davvero quella che oggi è la mia vita. Per me come per qualsiasi ballerino, il ballo è qualcosa di imprescindibile dalla propria vita”.