Ricordate il detto del poeta, scrittore e drammaturgo Vittorio Alfieri? Ovvero: “Vòlli, vòlli sempre, e fortissimamente volli…..”? Beh… nulla di più azzeccato (e nulla da me più pensato), quando ieri pomeriggio ho terminato la mia intervista-chiacchierata-incontro con Sabrina di Gennaro.
La stylist è di nuovo a Milano questi giorni. Ma solo per qualche giorno, per ultimare una ricerca di styling, mettere a punto dettagli, coordinare outfits, sbrigare gli ultimi impegni e appuntamenti, prima di ripartire per continuare a dedicarsi con sana, nuova e positiva energia, ai progetti che l’attendono. Quando si dice tenacia o forse “pugno d’acciaio in un guanto di velluto”.
E non ci si potrebbe aspettare altro da una donna (pugliese e quindi tosta, anzi tostissima), che è arrivata a Milano appena 18enne, con un Y10 carica di valigie e che in un solo giorno, riusciva ad essere allo stesso tempo e nella stessa giornata: studentessa all’Accademia di Belle Arti di Brera, con indirizzo scenografia, storia dell’arte e del costume, costume moda, teatro e fotografia. Ma anche – nello stesso giorno – booker part time in uno studio fotografico dove si realizzavano editoriali, campagne, advertising e preparazioni fitting sfilate. E ancora – sempre nello stesso giorno – il suo lavorare alla tesi tra un’ora libera e l’altra, le lezioni di aerobica in pausa pranzo e il Teatro di notte (“a metà del quinto anno dei miei studi, riuscii ad entrare al Piccolo Teatro Studio Strehler”).
“Non sono mai stata una grande dormigliona e mi annoio molto facilmente”, mi dice. Questo il suo background. E dopo ecco l’arrivo delle sue collaborazioni con le più importanti testate, o come qualcuno le chiama, riviste di moda… o come qualcun altro li chiama, Fashion Magazines. Ed ecco lo styling.
Questa settimana il mio incontro per Focus On è proprio con lei, una delle stylist più interessanti in circolazione, ed una delle stylist che osa, crea, ma non ostenta… proprio come la sua donna.
Iniziamo con una mia curiosità (rido). E’ vero che sei una vera e propria anarchica (così ti definisci)? Perché sai che non ci credo … mi sembri precisa e molto (e perfettamente) organizzata. Che cosa ti rende invece una ribelle? (Ride divertita alla mia domanda). Credi non possano coesistere precisione e anarchia, in una più o meno pacifica convivenza? Io sono anarchica solo verso chi impone il suo volere e le sue regole, se non condivise. Le mie le rispetto (ride ancora). Sono una persona dalle molteplici sfaccettature, non so neanche io di averne così tante, ma a tempo debito, in base alle diverse situazioni del quotidiano e le differenti vicende della vita che mi si presentano, ne scopro una. Sono sempre stata sin da piccola, un pò ribelle, e ho sempre provato una certa avversione verso chi assume posizioni di comando nei miei confronti. Dovresti intervistare la mia mamma o i miei ex per avere risposte più esaustive e dettagliate a riguardo (ride). Ma chi mi conosce bene, ormai sa come prendermi. Comunque sì, sono molto precisa nel mio lavoro, non maniacale, ma mi piace avere l’intera situazione sotto controllo, e ho quasi sempre le idee molto chiare su ciò che andrò a sviluppare. Un mio ex direttore, prima che partissi per il mio primo editoriale, mi disse: “Sabri, ricordati che dove non ci arrivano gli altri, devi arrivarci tu”. Se ci pensi, il vero senso di quella frase era: “Sabrina tu sei l’unica a non poter e dover fallire”. Un carico di responsabilità non indifferente. Ogni viaggio è come un esame da dover sempre superare a pieni voti. Non ti è concesso sbagliare. Da qui probabilmente il mio voler essere sempre precisa, a volte anche un pò rigida e molto esigente, ma questo solo con me stessa. Pensa che qualche settimana fa l’assistente di un fotografo, mi ha detto: “AUTORITARIA”. E non sai quanto ho riso. In realtà sono sempre molto tranquilla sul set, dopo aver espresso il mio volere e una volta capito che tutto è più o meno sotto controllo. Diciamo che mi piace lavorare in armonia.
Sabrina, partiamo proprio dall’inizio. Come hai incominciato? Come è cresciuta in Puglia una bambina (tu) che prima voleva diventare stilista e che poi da grande è diventata stylist… Mi racconti la tua storia? Sono nata in Puglia e li ci ho vissuto fino all’età di 18 anni. La mia mamma, insegnava francese (di cui io non ne parlo mezza parola) fuori sede. Usciva prestissimo e rientrava tardissimo, la vedevo solo per la buonanotte. Ma ricordo il profumo che lasciava ogni mattina prima di andare via, e i suoi tailleur e completi stupendi, fine anni ’70, tutti griffati. E’ sempre stata una donna intelligente, elegante, molto vanitosa e più che avanti… direi oltre, per la sua grande forza e a tratti insopportabile caparbietà. Ero innamorata dei suoi abiti, delle sue scarpe e delle sue parrucche. Sin da piccola mi incantavo ad osservare tutto ciò che ai miei occhi risultava bello. Un volto, un corpo, una bambola, un disegno…qualsiasi cosa riuscisse a catturare la mia attenzione e la mia curiosità. Sono cresciuta giocando a campana nel mio giardino, frequentando una scuola di danza moderna, e passando ore ed ore a disegnare volti e corpi di donne, abiti e scarpe. Volevo fare la stilista… I miei amici erano tutti un pò alternativi. C’era il poeta, il batterista, il cantante, il pittore e lo scrittore… poi quello che si “ammazzava” di canne dalla mattina appena sveglio, “rollando” nel suo letto alla ricerca della canna perfetta. Una forma d’arte anche quella (ride). Stavano per arrivare i 18 anni e la voglia di esplorare nuove realtà mi stava divorando. Unica indecisione Roma o Milano? Preparai le mie valigie non quelle di cartone chiuse con spago (ride), caricai tutto sulla mia Y10 e venni a Milano. Il mio amore per l’arte mi ha portata a frequentare 5 anni di Accademia di Belle Arti di Brera, con indirizzo Scenografia, Storia dell’arte e del costume, Costume moda e teatro e Fotografia. A metà del quinto anno riuscii ad entrare al Piccolo Teatro Studio Strehler. Non credo di ricordare ambiente più maschilista. Comunque ne fui felice ed orgogliosa. Orari assurdi, si lavorava di notte fino alle 6 del mattino. Finito l’ultimo anno di Brera, mi misi a preparare la tesi sul periodo romantico inglese e tedesco. Avevo più tempo, così mi fu proposto di lavorare come booker part time in uno studio fotografico in cui si realizzavano diversi editoriali, campagne, advertising e preparazioni fitting sfilate. Accettai. Riuscivo comunque a fare tutto: Booking di giorno, tesi tra un’ora libera e l’altra, lezioni di aerobica in pausa pranzo e Teatro di notte. Non sono mai stata una grande dormigliona e mi annoio molto facilmente. Parlando con te, mi tornano in mente scene e fatti che avevo ormai archiviato in chissà quale file. In breve. Tra i tanti vari personaggi di passaggio presso gli studi fotografici, conobbi Edoardo Marchiori, a cui devo probabilmente la mia svolta e il cambiamento professionale. Diventammo subito amici e mi fece entrare come assistente nella sua, all’epoca storica, agenzia di stylist e fotografi: Itaca. Qui cominciai a seguire Milva Gigli e Carlo Alberto Pregnolato su campagne e sfilate. Non ci stetti a ragionare per più di due secondi, seguii il mio istinto con l’incoscienza dettata dalla mia impulsività che da sempre mi contraddistingue, amplificata ancor più dai miei 25 anni, e ne fui felice. Ringraziai regista e scenografi del Piccolo per avermi insegnato a segare, battere chiodi e montare pannelli di compensato e tavole di truciolato, e andai…. Mi venne subito in mente Franco Moschino. Anche lui scenografo, figlio di Brera, e poi genio indiscusso di un periodo che è storia. Da li a breve, riuscii ad entrare nella redazione del settimanale Anna. Dopo pochi mesi, senza non pochi sforzi e sacrifici, mi trasferii alla redazione di Glamour. Dopo un anno ancora, “emigrai” e approdai al nuovo progetto Mondadori:Flair. Qualcuno ancora si ricorda di me, per quella che correva tutto il giorno come una matta per i corridoi del più famoso palazzo di Segrate, mentre qualcun altro simpaticamente mi ha chiesto da poco scusa per avermi svegliato nel cuore della notte (alle 03:00 da NY), per sapere se il #45 ci veniva confermato. Dopo anni mi ha fatto molto ridere, ma soprattutto ho gradito le sue scuse. (Quasi) nessuno in questo ambiente chiede mai scusa. Non avevo trovato ancora ciò che realmente cercavo. Cambiai ancora, e ancora una volta un mensile. Il mio mensile. Marie Claire.
Che cosa fa lo stylist esattamente? E come pensi questo lavoro sia cambiato negli ultimi anni? Cosa fa esattamente uno stylist? Oddio, questa è la domanda a cui faccio sempre una gran fatica a rispondere. I miei ad oggi, credo non abbiano ancora ben capito cosa faccio (rido)! Si finisce sempre per essere molto riduttivi nel dare una risposta. Intanto, sono fermamente convinta che non esista alcuna scuola per un lavoro fatto di grande sensibilità per tutto ciò che ruota attorno al bello e al sublime. Quel tipo di sensibilità ce l’hai o non ce l’hai, nessuno può insegnartela. E’ un lavoro di continua ricerca. Se non sei un curioso non lo fai. E’ una ricerca che ti porta oltre: a rovistare in vecchi armadi, librerie, edicole, andare indietro nel tempo, nella storia e non solo della moda. Ti fa viaggiare e non solo con la fantasia. Fa lavorare e stimola la tua creatività anche mentre sei seduta al gate in attesa che imbarchino il tuo volo, osservando le diverse etnie. Ti ispiri guardando “la bagnante” dipinta da Ingres, o guardando un film di Anderson. O più semplicemente, ascoltando le tue emozioni del momento. E’ un lavoro di fantasia, fervida immaginazione, creatività. E’ un lavoro visionario fatto soprattutto di equilibri e nessuno di questi ultimi può vacillare. Devi capire quale donna possa interpretare al meglio la tua storia ed esaltarne la moda. Qual è il trucco e quale il capello da fare. E’ un gioco di equilibri, volumi e proporzioni, come in un quadro, (Se esasperi da una parte, rimani più limitato dall’altra). E’ un lavoro che trova poi il massimo della sua esaltazione nei giusti abbinamenti, nella giusta location, con la giusta modella, con la giusta luce etc. Un lavoro fatto anche di imprevisti e improvvisazioni sul momento. Può capitare per esempio, che durante un viaggio di lavoro non ti arrivino delle valigie con dentro gli abiti per le tue storie. Se te ne arrivano solo 3? O 2 colme di accessori vari e una con pezzi più disparati da underwear a giacche maschili, longuette e lunghi abiti sera, cosa fai mandi a monte una produzione di migliaia e migliaia di euro? No. Se vuoi vai in bagno dai due craniate contro il muro, ma poi ti rialzi, risistemi la tua criniera, inspiri ed espiri, e ti ripeti “osa e crea”. Questo è in sintesi e ciò che un VERO Fashion Editor deve essere. Ultimamente credo ci sia un pò di confusione sui vari ruoli che ruotano attorno al fashion system. Credo di essere stata molto fortunata nella mia crescita e formazione. E nonostante “varie ed eventuali”, io dico GRAZIE a chi ha reso me oggi ciò che sono. Mi hanno resa responsabile e sicura. Non hanno mai interferito con le mie scelte abusando del loro potere. Hanno sempre avuto la capacità di entrare nella mia testa e comprendere – anche grazie ai moodboard le mie proposte, non imponendomi niente, solo consigli di chi ha più esperienza e dati unicamente con un unico fine: condividere il loro sapere e le loro esperienze. Chapeau. Rare figure. La professione del Fashion Editor è nata pochi decenni fa e per questo credo sia destinata a scomparire perché a breve non più in linea con i nuovi cambiamenti. E’ come dire prima c’era la velina, poi le blogger e ora gli influencer. Ne sono dispiaciuta. A tratti è alienante pensare a tanto duro lavoro e sacrifici per una professione che in pochi ancora riconoscono, a favore di “professioni” create dal nulla assoluto. Ma ne parlo anche con un pò di invidia per non essere riuscita ad essere io così smart (ride). Pensavo a questo, proprio oggi guardando schizzi, disegni e foto della mostra al Pac di Milano di Jean-Paul Goude. Guardavo la qualità delle foto, della stampa, della ricerca su tutto, e piacevolmente scioccata dai moodboard e storyboard che lui disegnava prima di un qualsiasi shooting. Ma guardavo e pensavo anche che per una campagna di un celebre profumo hanno per esempio ricostruito l’intera facciata di un palazzo. Pensavo che solo per girare Ben-Hur si fosse arrivato a tanto (rido). Scherzo. Posso comunque dirti che fino a dieci anni fa, si partiva per scattare 2 storie stando via quasi 10 gg tra viaggio, location e shooting. Oggi invece si fa quasi tutto senza viaggio e in 2 giorni. Oggi tutto è immediato e subito a portata di “online”, il cartaceo non serve più, il mondo online brucia i tempi. Ciò che prima vedevi dopo mesi su un giornale e nei negozi, oggi è visibile ancora prima di sfilare, nei backstage che vanno online sui vari social facendo il giro del mondo. Se prima eravamo solo noi del settore ad arrivare alla stagione in corso ed essere già nauseati da tutte le collezioni che avevamo sotto al naso già da 6 mesi, ora lo sono tutti. Così è una corsa a creare sempre più collezioni: la pre fall, la fall, la resort, la spring, la capsule e non si sa più cosa inventare. Come può un creativo disegnare migliaia di pezzi senza mai prendere respiro e ricaricarsi di ispirazioni nuove? E’ come chiedere a Michelangelo di dipingere una Sistina dietro l’altra senza sosta e tutte diverse l’una dall’ altra.
Qual è il percorso vincente per far sì che un servizio funzioni davvero, che renda visibile, forte ed incisivo i look di un brand e di conseguenza crei un trend? Non so dirti se c’è davvero un unico “percorso vincente”, così come lo chiami tu, per far sì che un servizio funzioni davvero. Alla fine, soprattutto se lavori in location, tutto può cambiare all’ultimo momento. Per un temporale, per il tuo volo bloccato, per la modella annullata all’ultimo minuto e rimpiazzata da una che non riesci a vedere nella tua storia etc… Intanto credo che ogni Fashion Editor abbia un suo percorso vincente. Ognuno di noi si caratterizza e distingue per un proprio stile. Per esempio per me è inevitabile fare riferimento sempre a qualcosa inerente e che abbia a che fare con l’arte. Intanto credo che il mio lavoro sia una forma di comunicazione, diversa dallo scrivere, dal dipingere etc ma pur sempre una mia forma di comunicazione. C’è sempre un contatto con il tuo stato interiore nel momento in cui devi pensare ad una storia, e per cercare ispirazione ti lasci andare spesso al tuo sentire, e spesso è proprio lui che ti avvicina ad una ispirazione che poi puoi riportare e di conseguenza costruirci la tua storia riadattandola ai nostri tempi (ma con il tuo stile), e alle collezioni del momento. Una storia deve accogliere la lettrice, stupirla con gentilezza, senza aggressioni e senza offendere il suo essere donna. Deve poi farla sognare in quei pochi minuti che si dedica sfogliando la tua storia. Da lettrice e donna, posso dirti che non mi piacciono le donne prive di carattere e personalità, le donne che cercano di apparire e che ostentano, le donne convinte che per essere sensuali basti un push up e un tacco 12, spuntato, con plateau. Poi io sono la prima a scattare donne con seno scoperto, ma cerco sempre un equilibrio nel contesto dell’immagine….
Quali sono i tratti invece che caratterizzano il tuo stile personale e lo styling di Sabrina Di Gennaro? Mi piacciono i colori, le stampe, gli abiti maschili e le divise, gli abiti da sera, i jeans e le camicie da uomo (azzurra e possibilmente in mussola di cotone). Mi piace l’abbigliamento sportivo e i lunghi abiti da sera, le forme e i volumi. Amo tutti i tipi di accessori, gioielli compresi, ma messi con cognizione di causa. Cerco di non scambiarli per addobbi natalizi. Ho scattato per esempio un servizio nero, sera, con gioielli e tacchi a spillo, in una palestra di pilates ricostruita in studio a Brooklyn. Oppure una storia gym con diamanti in giro per Bangkok, e ancora una storia di abiti da sera nel mare adriatico della mia amata Puglia ecc. ecc … C’è sempre qualcosa di sbagliato in tutte le storie e questo è la vera forza che esalta il tutto. La mia donna osa con disinvoltura, non ostenta. E’ lei che esalta il mood e trend della moda e dei brand e non il contrario.
Tu sei conosciuta per rendere – nel tuo lavoro – la donna bella, forte, un po’ stravagante, ma sempre con quel tocco decisamente elegante e low profile… senza mai esagerazioni, senza scadere in femminilità volgari … da qui ti chiedo che cosa è la grazia e l’eleganza in una donna? La grazia in una donna credo di avertela appena descritta, ma concludo con questa citazione tratta da uno dei più celebri testi di Ernest Hemingway, me ne sono innamorata e l’ho fatta subito mia: “Courage is grace under pressure“. E l’eleganza così come la sensibilità e la grazia, è innata. E’ un atteggiamento e un porsi di cui spesso non si è nemmeno consapevoli. E’ quell’attitudine innata che ti porta a mostrare e a far splendere il vero che c’è in una donna, ciò che realmente è in grado di catturare i sensi.
Chi tra i tuoi colleghi e chi tra i fotografi stimi particolarmente? Ho stimato molto i miei mentori, i miei come dire “educatori” in questo mio lungo percorso, i miei maestri guida che mi hanno insegnato a 360 gradi una professione, rendendomi responsabile, indipendente e capace di dribblare qualsiasi ostacolo. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa. Qualcuno di loro mi ha dato tanto e tolto altrettanto, ma le sono comunque grato.
La donna (un’attrice, una top, una cantante), con la quale vorresti lavorare perché pensi di poterla trasformare con il tuo gusto in qualcos’altro? Ed invece la donna sempre tra le celebrities che quando la guardi dici: Wow è la donna in perfetto styling Sabrina Di Gennaro. Mah, guardando oggi la mostra di Jean-Paul Goude ti direi sicuramente Grace Jones, una vera opera d’arte con una forza che esprime in tutta la sua fattezza: dallo sguardo, alla sua più che presente fisicità. Wow. E poi una top sicuramente come Tatjana Patitz, una donna versatile come poche e di una bellezza non perfetta in tutte le sue forme. Ma del resto il bello, nell’arte, nel pensiero e nell’azione, non è mai derivato da un’armonia perfetta, ma, come ti accennavo prima, dallo splendore del vero.
Farai sempre questo lavoro? Quali sono i tuoi prossimi progetti? Non so se farò per sempre questo lavoro. Sto pensando molto in questo periodo, più del solito a dire il vero, ma con molto più raziocinio e ponendomi domande mirate. Sto maturando idee… Ti aggiornerò a breve (ride).
La moda a volte è un lavoro 24 ore al giorno. Perché non si smette mai di pensare, di trovare un’ispirazione.. come ti rilassi? E soprattutto fuori dalla moda cosa ti piace fare? E’ vero la mia testa è in continuo andare. Mi sveglio molto presto la mattina. Naturalmente, senza puntare alcuna sveglia. L’alba è il momento della giornata che amo di più. Prendo un caffè e vado subito al parco per una corsa di un’oretta, cercando di liberare la mente. Ma spesso è proprio correndo che visualizzo cose, per cui è difficile staccare, ma mi aiuta a rilassarmi e a ricaricarmi di endorfine. Fuori dalla moda dici? Mi piace trascorrere del tempo con me stessa e mi piace la mia compagnia. Potrei passare interi weekend con me stessa. Mi porto al parco o in palestra e poi ore ed ore a guardare film. Poi però c’è sempre qualcuno dei miei pochi ma buoni amici che viene a stanarmi. E ancora mi piace evadere, andare via da Milano, anche se ultimamente lo sto facendo meno. Vado molto a momenti…
Un’ultima domanda. Che cosa oggi ti fa felice? Al momento è la mia forza a rendermi felice.