Parlare con Alessia Cipolla significa soprattutto ascoltare parole che non ti aspetteresti mai intorno al cibo. Il suo libro si intitola, ad esempio, Progettare la tavola e mette parecchia soggezione in chi già considera un’impresa epica preparare un pasto presentabile. Il gioco però funziona perché, guardando le cose da un nuovo punto di vista, chiamando azioni con parole nuove e scegliendo aggettivi da altri ambiti, improvvisamente si scopre che ci sono altri modi di avvicinarsi all’arte del buon mangiare e del buon bere, cioè all’arte del buon vivere.
La tavola si progetta perché occorre avere uno sguardo di insieme su tutte le sue componenti, perché ci sono regole matematiche e fisiche che fanno sì che si possa raggiungere l’obiettivo di tutti: una cena ben riuscita, fosse anche una cena per uno da gustare dopo una giornata di lavoro. Nessun algoritmo da trovare, ma capire certi meccanismi rende più efficace il buon senso e ci permette, alla fine, di conoscerci meglio e di gestire al meglio le nostre reazioni. Come ha fatto Alessia a immaginare questo nuovo modo di guardare la tavola?
Grazie al suo sguardo, eccezionalmente contemporaneo perché composito: da una parte architetto, dall’altra sommelier, da una parte il rigore che guida l’immaginazione e dall’altra il desiderio di gustare e assaporare. Parleremo di atti gustativi e di sinestesia, di spazio e distanze da tenere durante il pasto. Parleremo soprattutto del perché si sta bene, quando si sta bene, e di come far sì che questo succeda il più spesso possibile. Ecco le grandi direttrici e i piccoli segreti scoperti da Alessia nella sua lunga e intensa ricerca.
Qual è la condizione essenziale per la giusta mise en place e un errore che bisogna evitare? “Prendersi cura delle persone che partecipano al momento di convivialità deve essere l’obiettivo principale di ogni atto gustativo, di ogni pasto. Le persone che vivono tale momento, sentendosi a loro agio, infatti, riusciranno a rilassarsi, saranno più attive e reattive e vivranno gli stimoli sensoriali in maniera più sinestetica, cioè combinati gli uni con gli altri in un effetto complessivo che non si limita mai alla mera somma delle parti. Lo spazio dedicato a ciascun ospite, la cosiddetta ‘area individuale’ deve quindi essere comoda, simmetrica, ben organizzata e tale deve essere anche la distanza tra i partecipanti, che non deve risultare né troppo ridotta, cosa che provocherebbe una sensazione di disagio, né eccessiva, perché lascerebbe nei commensali un senso di smarrimento e vuoto”.
Progettare la tavola è il titolo del tuo libro. Quali tipi di pensieri servono per far sì che la tavola sia all’altezza del cibo? “Alla base del Progetto della tavola c’è sempre il benessere dei commensali. Il cibo e il piatto sono gli elementi centrali del progetto ma, come sempre, sono i dettagli a fare la differenza. In base al menu, ai colori presenti, alle consistenze e al tipo di ricetta bisognerà, in maniera coerente, pensare alla tovaglia, ai vini in abbinamento, quindi ai bicchieri, ai materiali da utilizzare, al ritmo della tavola, alle sue proporzioni e ai chiaroscuri per arrivare infine alle decorazioni”.
Quale è il ruolo dei colori nella tavola? “I colori sono fondamentali in qualsiasi progetto e in qualsiasi aspetto della vita. I colori legati alla tavola e soprattutto al cibo, che il cervello riconosce sempre come fonte di sopravvivenza, hanno una valenza che va oltre la pura immagine e il valore estetico della composizione: tutto ciò che ha a che fare con il cibo possiede infatti anche componenti psicologiche, antropologiche e sociologiche delle quali tener conto. Alcuni esempi: il blu non è considerato “appetibile” nei paesi mediterranei, in quanto ancestralmente legato all’idea di “muffa” e quindi di qualcosa di non commestibile al contrario del rosso che è invece un forte attivatore dell’appetito. Fino a qualche decennio fa era difficile trovare il colore grigio, nero o viola sulla tavola, soprattutto in Italia e in Europa, per l’aspetto “luttuoso” proprio di queste tonalità. Ora la contaminazione culturale con altre parti del mondo ha pesantemente influenzato il modo contemporaneo di utilizzare i colori nel cibo e a tavola”.
Sei architetto e sommelier, come sei arrivata a scoprire questi talenti e come li concili? “Dagli anni ’90 sono sia architetto che sommelier. Sono trascorsi, quindi, molti anni e molto è cambiato nell’architettura, nell’enogastronomia e naturalmente in me, nel frattempo. In tutti questi anni non ho tradito nessuno di questi due aspetti: li ho costruiti, migliorati, affinati e maturati con grande dedizione e cura. Divertendomi parecchio, devo ammettere. È stato ed è un bellissimo percorso. Non li vivo come talenti, ma come un’attitudine personale e costante a mantenere viva la curiosità e la ricerca continue. Sono due passioni forti che si intrecciano sempre più, all’interno delle quali si annidano sempre nuove emozioni, sensazioni, percezioni, difficoltà, ansie, delusioni ma anche desideri, piaceri, scoperte e sorprese: mi identifico profondamente sia nell’uno che nell’altro: non potrei pensare al progetto di uno spazio dedicato al vino senza essere sommelier come non potrei pensare ad una nuova etichetta senza essere architetto. Anche nella vita di tutti i giorni non posso apparecchiare una tavola senza essere l’uno e l’altro, una sintesi. Il libro Il progetto della tavola, sospeso tra architettura e enogastronomia, è il frutto di sei anni di ricerche ed è il campo dove questi due aspetti vivono in perfetto equilibrio”.
Quanto studio ci vuole per capire il vino? “Fondamentale è un corso approfondito e articolato sul vino che possa gettare delle buone basi sulle quali poi, però, deve essere costruita una ricerca continua di nuovi vini, nuove o sconosciute annate, produttori e soprattutto territori. Conoscere un vino vuol dire, infatti, andare nella vigna in cui è stato creato, ascoltandolo nella cantina in cui è stato affinato e scoprendone il racconto di vita dal produttore. Un impegno continuo, talvolta divertente, talvolta estenuante, ma sempre magnifico, che dura tutta una vita!
Quali sono i tessuti che preferisci per vestire la tavola? “La tovaglia uniforma e compatta la superficie del Tavolo creando una base sulla quale costruire il progetto, al contrario delle tovagliette all’americana o dei runner che ne frammentano lo spazio. Prima del tessuto bisogna quindi individuare il “vestito” della superficie adatto per cene conviviali o per momenti gustativi più informali e veloci. Ho una grande passione per il lino, ben stirato e steso sul piano, di ottima qualità anche al tatto, cosa fondamentale, e dai colori chiari e uniformi, ma l’uso di materiali decorati e dai colori più inusuali possono stimolare maggiormente il progettista della tavola nel creare ambienti e situazioni più audaci e contemporanei”.
Cinque regole semplici per una tavola essenziale ma impeccabile tutti i giorni. “Scegliere una ricetta e comporla armoniosamente sul piatto (anche se si tratta di una bistecca e di un contorno), proporre il vino in abbinamento, selezionare dei tessuti coordinati ai colori presenti sul piatto, apparecchiando con gusto, creare simmetria e ordine tra e negli spazi dei commensali, e soprattutto prendersi cura delle persone sedute al tavolo anticipando e soddisfando i loro bisogni e desideri. Preparare e offrire il cibo con amore: cosa c’è di più bello? Anche se si è da soli: una buona occasione di volersi bene”.