Gabriele Acerbo è un giornalista di Sky Cinema e un autore, cioè una persona che di mestiere pensa cosa è un racconto per immagini e spesso lo costruisce a sua volta.
Nella grande divisione dei ruoli e dei lavori che ha determinato l’uscita dell’uomo dalle caverne qualche annetto fa, c’è infatti chi si innamora del cinema e sceglie di rimanere da questo lato del grande schermo, quello con le poltrone, per capirlo e raccontarlo, senza nessuna lunga barba grigia e astrusità ma con l’entusiasmo di chi ti raccomanda cosa davvero non puoi perdere e dove girare gli occhi per vedere quel dettaglio che lui ha colto alla centesima visione, quella a cui noi comuni mortali non arriveremo mai.
E siccome ogni tanto bisogna fare un tagliando e controllare che la libera interpretazione non sia diventata produzione incontrollata di opinioni a caso, eccoci qui a chiacchierare con Gabriele, per scoprire cosa mettere in agenda nel piatto ricco dei film di fine anno e per capire che oggi le dimensioni, dello schermo, probabilmente davvero non contano.
Intervista a Gabriele Acerbo, giornalista di Sky Cinema
Cosa sta per arrivare: i tuoi tre imperdibili da qui a fine anno. “Sono tre gioielli visti all’ultima edizione della Mostra di Venezia, festival sempre più all’avanguardia nella scoperta di quanto di nuovo si muove nel cinema mainstream. Dopo aver contribuito ad affermare negli anni precedenti tre film che hanno trionfato agli Oscar (Gravity, Birdman e Il caso Spotlight) nel 2016 ha portato alla ribalta del concorso tre film made in Usa che reputo, per ragioni diverse, magnifici. Sono ‘Animali Notturni’ di Tom Ford, con la coppia Amy Adams e Jake Gyllenhaal, ‘La La land’, con Emma Stone e Ryan Gosling, e il mio preferito in assoluto cioé ‘Arrival’ di Denis Villeneuve, ossia ‘Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo’ che incrocia ‘Inception’, starring una formidabile Amy Adams. Tre opere completamente differenti che giocano con tre generi iper-classici (rispettivamente il thriller, il musical e la fantascienza) ma li reinventano o li sovvertono, creando così qualcosa di assolutamente nuovo. O ti mettono in moto il cervello o ti fanno battere il cuore oppure ti annientano il sistema nervoso: provare per credere. Anche se gioca una partita diversa, devo citare ‘The Young Pope’. Non esce in sala ma sugli schermi di Sky, è una serie tv ma è in realtà è un film di dieci ore ipnotico e divertente con un Jude Law diabolicamente seducente nel ruolo di un papa bello, fumatore e reazionario, e uno splendido Silvio Orlando nelle vesti talari di un cardinale tifoso del Napoli. Il ruolo della sua vita”.
Una bella sorpresa e una delusione nel 2016 (al cinema, s’intende). “Devo fare una premessa. Di solito esco dalla sala frustrato e deluso. Il cinema si mostra spesso inadeguato rispetto alla forma romanzesca contemporanea che è la serialità televisiva. Molte serie – ho citato ‘The Young Pope’ ma non posso tacere di ‘True Detective’, ‘Stranger Things’, ‘Breaking Bad’ o ‘Gomorra’ – sono imbattibili grazie al grado di profondità nella scrittura dei personaggi e alla complessità delle storie che narrano. Hanno dalla loro parte quel che un film al cinema non può avere: il tempo, tanto tempo. Al cinema hai due ore per conquistare lo spettatore. Non è molto. Quest’anno ci sono riusciti due film, due belle sorprese: ‘Lo chiamavano Jeeg Robot’ e ‘Perfetti Sconosciuti’. Il primo ha resuscitato il cinema di genere in Italia, il secondo ha affrontato in modo non banale un tema universale, la fiducia nell’era dello smartphone, facendoci riflettere e sorridere a denti stretti. Una delusione? ‘Suicide Squad’. Vedendo il trailer, stupendo, avevo altissime aspettative, tutte miseramente frustrate per colpa di una sceneggiatura piatta a servizio di una messinscena sontuosa”.
Cosa significa oggi andare al cinema? Il modo di vedere un film ne cambia in qualche modo il senso? “Non credo più che la magia del cinema equivalga ad assistere alla proiezione di un film in sala: è feticismo da grande schermo. Moltissimi film che mi sono rimasti nel cuore io li ho visti in tv, addirittura in vhs. Quando sono stato fortunato mi è capitato di rivederli al cinema (mi è successo di recente con una copia restaurata e scintillante di ‘Profondo Rosso’) e se mi sono emozionato è perché ho rivissuto quanto ho provato la prima volta. Oggi più che mai il cinema si fruisce non solo in tv, ma sui pc e i tablet. Va bene così, l’importante è che la cultura cinematografica e la passione per le belle storie si diffondano e si espandano, non importa su quale mezzo”.
Da cosa parti per parlare di un film? Ci sono più regole o più emozioni? “Non ci sono regole. Funziona allo stesso modo di un colpo di fulmine. Perdi letteralmente la testa e le emozioni ti guidano, nel bene e nel male. Per questo mi è più facile parlare o scrivere di un film che ho adorato alla follia oppure, all’inverso, di un film che ho detestato con tutte le mie forze”.
Tre film di qualsiasi epoca che sintetizzano cosa è il cinema per te e perché. “Questa domanda non può che essere autobiografica, quindi i film che cito hanno un grande significato per me ma rischiano di non dire niente a tutti gli altri. Il primo è ‘Punto Zero’ di Deran Serafian, un road movie oggi considerato cult da Tarantino in giù, zeppo di violenza e nudità varie, visto per sbaglio all’età di sei anni in un cinema di seconda visione. Al tempo facevano il doppio spettacolo, due film al posto di uno e potevi entrare in sala in qualsiasi momento, non come adesso che una volta iniziata la proiezione l’accesso è vietato. Mi accompagnò mia nonna, convinta di portarmi a vedere una commedia di Franco e Ciccio, non un exploitation-movie vietato ai minori di 18 anni. Il secondo è ‘Velluto Blu’ di David Lynch. Me lo noleggiai in vhs, lo vidi e, più che turbarmi, mi rese perplesso. Me lo riguardai da capo, cercando di capire perché fosse così diverso da tutto quello che avevo visto finora. Tieni conto che eravamo nella seconda metà degli anni ’80, tutto quello che vedevo era puro intrattenimento al cento per cento, che fosse ‘ET’ o le commedie sexy con Alvaro Vitali e Bombolo. Non avevo alcuna cultura cinematografica alternativa, non pensavo neanche esistesse il concetto di cinema come ‘arte’, non avevo mai visto un Antonioni, un Tarkovskij o un Fellini. Ecco, quel film geniale, conturbante, sgradevole e attraente al tempo stesso mi ha definitivamente fatto capire l’altra faccia del cinema. L’ultimo è il primo film di Paolo Virzì, ‘La Bella Vita’. Lo girò a Piombino, la mia città natale e io, come metà degli abitanti, feci la comparsa. Ebbi la fortuna di condividere la scena con l’allora sconosciuta Sabrina Ferilli, una vera emozione. Ecco: questi tre film sono i film della mia vita. Grazie a essi sono diventato quello che sono, un fanatico di film che ha fatto diventare la sua passione un mestiere. Quindi, per rispondere con un filo di retorica alla tua domanda, per me il cinema è tutta la mia vita”.