Sguardi molto perplessi al largo delle sale di molti musei di arte contemporanea. Enormi punti interrogativi davanti a oggetti abbandonati nell’angolo di una delle sale di quella famosa esposizione, stai quasi per raccoglierli e portarli al custode quando vedi la targhetta con nome, cognome e titolo e ti salvi in corner dal far suonare per lunghi minuti l’allarme e per il resto della tua vita le trombe della vergogna.
Confesso di aver fatto lunghe riflessioni sull’angolo scollato di un poster salvo scoprire che era…scollato. Eppure neanche la più evidente delle umiliazioni tiene lontana la curiosità e il piacere di quelle grandi sale dove osservare opere che, nella loro apparente mancanza di senso, ti regalano un sacco di spazio per inventarti qualsiasi significato. Siccome però per giocare con le regole bisogna conoscerle, meglio prima fare due chiacchiere con chi di mestiere di arte contemporanea si occupa e con le regole ha già cominciato a divertirsi, sovvertendole e sperimentando. Maria Yvonne Pugliese è una gallerista speciale, con uno sguardo a Oriente.
Ci vuole una galleria per essere una gallerista? “In teoria chiamarsi gallerista presuppone avere una galleria, in pratica potrei anche cambiare nome visto che posso benissimo fare a meno del luogo fisso chiamato galleria. Gallerista, curatore, critico sono ruoli che si mescolano, gli elementi fissi sono sempre meno e il legame rigido con uno spazio ormai è sostituito con il ruotare di spazi pubblici e privati. Da una parte, sono ormai pochissime le persone abituate a frequentare le gallerie, a visitarle periodicamente. Dall’altra, è sempre più importante che il gallerista si muova e crei relazioni, veda Musei e spazi, si lasci contaminare. Questo vale anche per gli artisti, che devono immaginare le loro opere in luoghi con caratteristiche differenti e da questa varietà possono essere a loro volta stimolati”.
‘Lo potevo fare anch’io’ è il titolo di un libro e una reazione comune davanti a un’opera d’arte contemporanea. Cosa distingue un’opera da un oggetto, secondo te? “Un giorno un visitatore davanti al dipinto di una colomba di Picasso disse ‘Questo lo posso fare anch’io’. ‘No’ disse Picasso ‘Lei non può fare questo dipinto.’ ‘Ma certo che posso’ insistette l’uomo ‘No, non può fare questo dipinto, non vede che è già stato fatto?’. L’oggetto può essere rifatto uguale, ha delle regole costruttive ripetibili. L’opera d’arte no, è il frutto di un processo creativo, è la reliquia di un processo creativo”.
Contemporanea, ok. A cosa? “È contemporaneo l’artista che non si guarda indietro, in qualsiasi epoca. Raffaello è andato oltre l’arte del Medioevo, così come Caravaggio è andato oltre quella del Rinascimento. Ogni artista rappresenta il sentire del momento in cui vive, agisce nel presente, crea una forma intorno a un tempo”.
A cosa servono le mostre? Serve più spettacolo o più silenzio per la loro riuscita? “L’arte ha bisogno di essere mostrata, diventa arte nello sguardo del pubblico. All’arte serve di più il silenzio perché parla con il silenzio che è dentro di noi. Lo spettacolo serve a portare persone e sguardi, è funzionale alla comunicazione ma non incide sulla lettura della poetica”.
L’arte può essere utile? A cosa o a chi serve l’arte? “L’arte è inutile e c’è un valore prezioso nella sua inutilità, nel non avere una funzione precisa. Può avere però degli effetti. La mostra Flow – Arte Contemporanea Italiana e Cinese in dialogo che ho curato nel 2015 alla Basilica Palladiana di Vicenza è nata per creare, ad esempio, una piattaforma di dialogo fra i due Paesi. L’artista è colui che rompe il linguaggio abituale e così aiuta a comprendere che esistono visioni altre. Senza questa azione avremmo solo la mera comunicazione della e nella nostra lingua, senza avere la possibilità di uno scarto, di una differenza. Il nostro Paese ormai è compenetrato da molte altre culture, è indispensabile un’educazione alla coesistenza di visioni diverse del mondo: la frequentazione dell’arte e del suo rompere gli schemi in questo senso è una vera àncora di salvezza”.
L’arte è negli occhi di chi guarda? Un’opera ha un significato o dipende dai punti di vista? “La comunicazione con qualsiasi media ha il compito di trasferire uno ed un solo messaggio che il ricevente ha solo il compito di cogliere per comportarsi di conseguenza. L’arte accoglie il punto di vista di chi la guarda, che crea un dialogo con l’opera e contribuisce a costruire il suo senso. Tutto cambierà a seconda dell’educazione, della storia e dello sguardo di chi osserva l’opera. Al di là delle letture dei critici, ognuno deve essere libero di dare la propria interpretazione. Chiaramente, per poterlo fare occorre avere tempo e la pazienza di arrivare preparati davanti all’opera, avendo letto magari qualcosa sull’autore o sul contesto”.
Tre nomi di artisti italiani contemporanei che fanno pensare bene, in tutti i sensi. “Iler Melioli: artista geometrico e rigoroso nelle forme, ludico nei colori. Cristina Treppo: trasforma materiali come il cemente in opere di una raffinatezza unica. Tamara Repetto: è fantasmagorica, crea strutture oniriche che uniscono esperienze olfattive e tecnologia. Fanno proprio pensare bene in tutti i sensi, sono tutti artisti che ogni giorno nel loro linguaggio muovono verso nuove forme. Apprezzo la creatività verticale della loro ricerca: un elevarsi all’interno di regole che si sono dati. Sono artisti generosi che creano installazioni complesse e si danno completamente alla loro idea, senza piegarsi a logiche di mercato”.
Flow, arte contemporanea italiana e cinese in dialogo, che abbiamo già citato, è la mostra che hai curato nel 2015 a Vicenza. Dalla diplomazia del ping pong a quella commerciale, i contatti con la Cina sono ormai solidi e quotidiani. Cosa può aggiungere l’arte? “Credo sia importante provare, anche nel mio piccolo, a salvaguardare l’arte italiana nel panorama internazionale contemporaneo. Non è che non ci siano artisti capaci, è che non abbiamo – neanche in questo campo – grandi strutture in grado di competere con i colossi mondiali. Nello specifico, in Cina il Governo è in prima linea nel finanziare e promuovere l’arte nazionale, con la potenza che si può immaginare. Nella cultura cinese la relazione è scambio e su questo filone muove Flow, una mostra che vuole essere una piattaforma di dialogo che, passando attraverso l’arte contemporanea, possa accogliere altre istanze di confronto, anche in ambito commerciale. Perché? Perché è vero che i rapporti commerciali fra i due Paesi sono ormai consolidati, ma è anche vero che spesso sorgono problemi e intoppi che nascono dalla mancanza di conoscenza della cultura dell’altro, del modo con cui intende una parola o un gesto o la natura di un accordo. Flow da voce ad artisti e filosofi per imparare che esistono e convivono diversi punti di vista del mondo e che il nostro è solo uni di questi. Flow è un progetto lungimirante perché disegna una modalità di relazione, aspettiamo e vediamo l’evoluzione e le prossime tappe”.