Iler Melioli è un ragazzo emiliano del 1949 che sta passando la vita a cercare un pensiero capace di diventare forma. Dai leggendari Stati Uniti degli anni ’60 ha importato le suggestioni più silenziose e interrogative che sono diventate alberi stilizzati, ondosauri, e linee sfuggenti quando, fra la fine degli anni ’80 e i ’90, il suo lavoro è diventato protagonista di mostre e iniziative che cercavano di raccogliere chi stava ragionando con immagini e colori sulla fine di un mondo e l’inizio dell’era digitale.
La cosa bizzarra è che quel gioco di linee, geometrie, circuiti che Iler Melioli aveva cominciato a raccontare con tele e sculture è oggi una eccezionale rappresentazione delle iperconnessioni che ci abbracciano dovunque, comunque e sempre, a volte trasmettendoci amicizia e vicinanza, a volte con la grazia di un boa constrictor. Probabilmente è questo che fanno gli artisti: intuiscono un po’ prima di tutti dove stiamo andando e ce lo raccontano con colori e sculture; a noi sembrano folli fino a che, con la giusta distanza, ci accorgiamo di quanto ci siano familiari.
Il 1° dicembre inaugura a Vicenza una nuova mostra personale di Iler Melioli che si chiama Res Extensa e che si snoda proprio fra connessioni ipertrofiche ed energie in circolo, con linee e colori che escono dai limiti di ogni singola opera e invadono le pareti. Abbiamo suggerito a Iler Melioli alcune parole che ci sono venute in mente osservando le immagini del making of della mostra (consigliatissima): questo è il risultato.
MISURA
Nell’ambito della mia ricerca artistica non posso considerare il concetto di “misura” come un ente separato dalla forma. Forma e misura non solo sono al fondamento della mia ricerca, ma, di fatto, reggono tutte le nostre principali modalità percettive, i nostri linguaggi e le nostre processualità cognitive (ordinare, collegare, descrivere, astrarre, connettere, progettare ecc. ecc.) nascono attraverso le reti neurali che danno forma ai nostri pensieri. Se poi guardiamo ad un più vasto contesto antropologico-culturale non possiamo dimenticare che all’origine della cultura occidentale, nel quadro della Grecia antica, l’uomo era métron, “misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono” (Protagora). Oggi non siamo più legati alla metafisica antica e non possiamo più assegnare alla bellezza (paradigma sensibile della misura) un fondamento ontologico. La misura fa oggi parte di un mondo fondato sulla tecnica, sulla precisione, sui sistemi che investono la comunicazione e questi caratteri che connotano l’età della tecnica in cui siamo gettati producono dei loro effetti di ricaduta nel quadro della produzione simbolica, pertanto, anche nell’ambito delle arti visive. La mia ricerca registra al suo interno il carattere che la misura assume nel quadro del nostro tempo. Lontano dal mondo della metafisica la mia opera esibisce quell’aspetto di formatività individuato da Luigi Pareyson, di “un fare che mentre fa inventa il modo di fare” (arte come esperienza).
DIREZIONE
Questo è un termine che sento datato e anacronistico in quanto troppo legato ad una visione lineare del tempo che ha connotato la storia dell’età moderna ma non quella dell’età contemporanea. Noi oggi viviamo una percezione del tempo non più circolare (età antica), non più lineare (età moderna), non più monodirezionale. Viviamo piuttosto una simultaneità del tempo dovuta allo sviluppo esponenziale della comunicazione e dell’informazione che schiaccia sul presente il dato di realtà. Viviamo inabissati in un eterno presente.
NATURA
Questo termine mi riporta alla mente quanto aveva affermato Aristotele a proposito della mimesis nell’arte: “L’arte crea come la natura crea”. Una tesi molto interessante che decadde con la nascita del simbolo nell’ambito del Cristianesimo, mentre rimase inalterata negli sviluppi dell’arte in Cina. Noi oggi non possiamo più concepire l’arte come mimesis in quanto l’arte da oltre un secolo non è più eteronoma, non è più imitazione o rappresentazione della natura o della storia, in quanto ha rifondato i propri statuti. L’arte oggi è un atto linguistico-espressivo, è un processo in grado di decostruire e rifondare il linguaggio. Il termine “natura” non è più assimilabile oggi attraverso la contemplazione, ma entra nell’arte attraverso l’uso dei materiali e delle forme che assumono il valore di interfaccia tra il piano intelligibile e quello sensibile.
EMILIA
Penso di avere assimilato alcuni essenziali caratteri dell’emilianità: propensione all’ascolto, all’apertura dialogica, all’accoglienza, rispetto per il diverso. Mi sento emiliano su di un piano più sentimentale che culturale. In quanto all’arte aveva ragion d’essere un’arte emiliana, un’arte lombarda o un’arte toscana, in epoche che hanno preceduto la rivoluzione industriale.
LEGAMI
Non riesco bene a calibrare una risposta o una forma di narrazione su questo termine in quanto potrebbe riguardare, da un lato, la sfera della mia vita privata e, dall’altro, l’ambito del mio lavoro se considerato da un punto di vista della poetica e delle sue relative contiguità con le linee della ricerca artistica contemporanea. Se assumiamo come congruo questo orizzonte di senso il problema si pone in questi termini. Penso che ogni artista debba necessariamente individuare e sviluppare la propria poetica attraverso l’adozione di processualità tecniche il più possibile sinergiche al pensiero, e l’adozione di un meta-pensiero, di uno sguardo di sorvolo che sia in grado di leggere il carattere identitario della propria poetica in relazione ad un più vasto ambito della produzione artistica. In fondo, il ruolo di un’artista visivo è sempre stato quello di inaugurare attraverso il proprio lavoro un nuovo e diverso sguardo rivolto alle cose.
LIMITE
Questo è un termine che investe la nostra stessa finitudine: un tema che Martin Heidegger ha ben esplicitato filosoficamente in Essere e tempo. Da un punto di vista dell’arte, intesa come esperienza, possiamo riconoscerla come assimilabile alla condizione di uno stato nascente, per ciò stesso, come un processo del “sentire” che supera il limite del “già sentito” nel momento stesso in cui può avventurarsi nei territori ancora inesplorati del linguaggio.