La Maratona di Valencia l’ho preparata in quattro mesi con l’ambizioso obiettivo di finirla sotto le 4 ore.
Ho tagliato il traguardo in 4 ore e 5 minuti. Obiettivo mancato ma tanta gioia nel cuore, questa maratona la ricorderò come la corsa vissuta all’insegna dell’amicizia, amici vecchi, amici ritrovati, amici nuovi.
Una trasferta vissuta con un certo timore, nonostante il mio lavoro di PR, nella mia vita privata sono una persona piuttosto tranquilla e schiva, se c’è un obiettivo, sicuro mi nascondo piuttosto che essere fotografata e se lo faccio, lo faccio controvoglia. In un viaggio in India ho imparato che chi ti fotografa ti ruba l’anima, una cosa che mi è rimasta impressa fin da bambina e cosi preferisco scegliere con parsimonia da chi farmela rubare. Normale quindi che un weekend all’insegna della maratona di Valencia, in compagnia di altre 30 persone della società URBAN RUNNERS della quale faccio parte da circa un anno l’ho aspettato e vissuto con un certo “timore reverenziale”, spesso non è mai facile inserirsi in un gruppo già forte ed affiatato come riescono ad essere loro, ed invece si è rivelato uno dei week end migliori che abbia mai trascorso in compagnia di persone fantastiche, e lo hanno dimostrato i tempi e la serenità con la quale ho affrontato la mia quarta maratona.
Un allenamento sofferto soprattutto nelle ultime settimane in cui il dover uscire per forza ad eseguire le tabelle del mio super Coach diventava sempre più difficile, poca la voglia, molto lo scazzo, tanti gli impegni extra corsa, a volte troppi che si accumulavano in maniera incontrollata dalla mia voglia, e tanta voglia di correre questa maratona programmata dal mese di marzo.
Le rinunce e gli sforzi mattutini all’alba nel buio e nella nebbia milanese, alla lunga mi avevano logorato la testa e la voglia di allacciarsi le scarpe e uscire a correre, era sempre meno, forse tre maratone in otto mesi sono un impegno troppo grande per chi ha una vita cosi frenetica come la mia mi sono ripetuta tante volte. Balle. La corsa è la mia migliore alleata, la cosa che mi ha forgiato il carattere e mi ha dato fiducia in me stessa e negli altri, la corsa unisce e apre la mente e riesce a dare la carica per affrontare paure primordiali che mai avresti creduto di essere capace di superare.
Di questo week end ho amato tutto, dai compagni con i quali ho condiviso l’ appartamento, a quelli del gruppo, la paella, le tortillas, le passeggiate sotto la pioggia del lunedì post maratona, i nuovi amici e le nuove conoscenze, le emozioni e i ricordi che mi accompagneranno per sempre.
La mattina all’alba mentre ingurgitavo fette di tacchino arrosto e bevevo the addolcito col miele perché nell’euforia del giorno prima avevamo dimenticato di comprare caffè e zucchero cercavo di trovare dentro di me la motivazione che mi spinge a sacrificare le dormite e il relax domenicale in funzione di una corsa ininterrotta di 42 kilometri. Lo avrei scoperto di lì a poche ore.
La partenza della gara è prevista per le 8.30, il ritrovo con il resto del gruppo alle 7.30 per la foto di gruppo e poi, è subito caos per lasciare le sacche al deposito, che ovviamente, si trova dalla parte opposta di dove siamo noi, fare un minimo di stretching per scaldare i muscoli e portarsi nella griglia di partenza distante quasi un kilometro dalla nostra posizione attuale, il che, in condizioni normali non è poi una grande distanza, ecco, voi provate e farlo in mezzo a 15.000 persone che si muovono come palle impazzite in ogni direzione, senza un filo logico. Lo sguardo di un runner prima della partenza di una gara è come quello di un miope senza occhiali né lenti che ti guarda con l’espressione intelligente ed interessata in realtà sta pensando “forse questo lo conosco, ma non ho la minima idea di chi c..zzo sia!”.
E la pipì? Dobbiamo fare pipì prima di partire, i bagni chimici sono pochi e la coda infinita, ragazze, non importa ci infiliamo nella siepe a turno e si fa! Non c’è altra soluzione, sempre per lo stesso motivo di cui sopra, nessuno farà mai caso a te accucciata in una siepe di oleandri urticanti, anche perché loro quasi sicuramente sono intenti a fare la stessa cosa, c’è solo da sperare che lo facciano in direzione diversa da dove sei tu. Certo per i maschietti l’operazione è decisamente più facile e agevole!
Corriamo verso la nostra griglia, tenendoci per mano per paura di perderci in quel marasma di gente e sembra che l’ingresso non arrivi mai. Sono le 8.24 manca pochissimo allo start, manca solo che ci perdiamo la partenza e mandiamo a quel paese tutto quanto. Entriamo finalmente da un cancelletto e ritroviamo tutto il resto del gruppo.
Siamo un colpo d’occhio incredibile con le nostre divise nere logate e personalizzate. Giusto il tempo di darci un minimo di tattica di gara, partire piano, arrivare ai 21, incrementare fino ai 30 e poi vedere che succede, perché la maratona si sa, comincia dal 30° kilometro, stiamo sulla destra e cerchiamo di non perderci. Faccio mente locale e ripeto le raccomandazioni di Coach Tower, questa gara qua la voglio fare proprio bene e se riesco, togliere quel 4 li dal mio tempo finale. Ok vediamo come mi sento quando arrivo verso i 33, 34 kilometri. Fino ad allora cerco di non tirarmi il collo per non scoppiare cosi come già successo alla maratona di Milano.
Partiamo, siamo in 5, io Barbara, Chiara, Giorgia e Irene, senza metterci nemmeno d’accordo, ci schieriamo una affianco all’altra, con passo deciso e iniziamo il nostro viaggio. L’entusiasmo e l’emozione spesso ci portano ad andare più veloci del previsto, ci pensa Barbara a redarguirci bonariamente e a farci rientrare nei tempi stabiliti. Siamo in sintonia anche ai rifornimenti, viene spontaneo passarci la bottiglietta d’acqua, dare precedenza per prendere il bicchiere dei sali, cercarsi tra la folla e aspettarsi per ricompattare il gruppetto.
Tutto fila liscio fino al 28° kilometro, poi cominciano i primi cedimenti, era normale, lo avevamo previsto, quello che chiamano il muro puntualmente si è presentato, mi guardo in giro e cerco uno spunto di distrazione, lo dicono anche i cartelli tenuti dalla folla che ci supporta lungo tutto il percorso “No Ay Muro!”, ok no panic, rallentiamo sensibilmente la corsa, è il momento di riassettare la testa, distrarsi quanto più possibile e non farsi trascinare nel vortice dello sconforto e mollare. Noi no. Ci facciamo forza a vicenda e continuiamo la nostra corsa, dritte verso la fine. Si affianca un ragazzo italiano e ci grida “ragazze siete fantastiche, avete mantenuto una costanza nei tempi e nella corsa davvero incredibili. Brave!”.
Quanto basta per darci la carica.
Al 35 ° altro momento di sconforto generale, Barbara già provata da una influenza e da una tosse che non le ha dato tregua per tutta la corsa lamenta dolori alla pancia e allo stomaco, rallentiamo il ritmo, al successivo ristoro ci fermiamo, rifiatiamo, beviamo con calma e riprendiamo la corsa, è quasi fatta e non possiamo arrenderci ora che siamo alla fine.
Al ristoro ci perdiamo un po’ tutte di vista, colpa della stanchezza che tende a far perdere di lucidità, e mentre Chiara, Barbara e Giorgia si ricompattano, io decido di raggiungere Irene che nel frattempo ci aveva leggermente distaccato e aveva ripreso la sua corsa. Mi affianco e decido di finire la corsa con lei, non avevo ancora abbandonato l’idea di chiuderla sotto le 4 ore, ma in quel preciso momento ho deciso che l’avrei chiusa insieme alle mie amiche. Corriamo e mentre corriamo, chiacchieriamo, buon segno, la testa è lucida e il fiato non ci manca.
Optiamo di comune accordo di arrivare fino al 40° e da lì capire se incrementare o no la velocità nel corso degli ultimi 2 kilometri. Pochi minuti dopo vedo il cartello dei 40, mi commuovo ma cerco di trattenere le lacrime e l’emozione ma ecco il solito groppo in gola, respiro a fatica, emetto versi strani nel tentativo di riprendermi e ritrovare la normalità. Irene è al mio fianco, accusa dolore al ginocchio, la guardo e le dico. “Ok da ora è tutto una questione di testa, concentrati sul tifo e sulla folla, dimentica tutti i dolori e pensa ad altro!”. Di fronte a noi una doppia fila di persone in festa, gente che grida il mio nome leggendolo sulla maglia, li guardo tutti uno a uno, sorrido e stringo mani, batto il cinque ai bambini che mi guardano con occhi di ammirazione o forse solo perché glielo hanno detto i genitori, e proseguo la mia corsa.
E’ una sensazione fantastica. Vedo in lontananza l’arco gonfiabile con la scritta FINISH mi giro verso Irene e grido: “lo vedi? Dai che è fatta!!”. Curva a sinistra ed ecco la folla acclamante, inizia la passerella azzurra di fronte alle tribune, è il nostro momento, ce lo godiamo ogni singolo centimetro, abbiamo perfino la forza di farci scattare una foto in corsa con le mani al cielo.
Tagliamo il traguardo, guardo in alto sopra le nostre teste, il cronometro segna 4 ore 5 minuti e 09 secondi. E’ un attimo, Irene mi abbraccia e scoppiamo in un pianto liberatorio di felicità, “grazie” mi sussurra in un orecchio, “grazie di avermi accompagnato fino alla fine!”. Mi giro e vedo Giorgia subito dopo di noi, poi Barbara e Chiara tagliano il traguardo insieme. Ci corriamo incontro e ci stringiamo in un abbraccio collettivo. L’emozione è infinita così come la stanchezza, perfino i ragazzi della sicurezza si complimentano con noi e quasi con timore ci dicono che dobbiamo sgomberare la pista per fare largo agli altri runners che stanno sopraggiungendo.
E’ fatta! Sacrifici ripagati.
Grazie Valencia, grazie ragazze per aver condiviso con me un viaggio meraviglioso lungo 42 kilometri e quasi 500 metri. Non lo dimenticherò mai e lo porterò sempre nel cuore.