Le sue immagini sono apparse su alcune tra le più quotate, lette, ambite, cercate, vendute, imitate, seguite … testate internazionali.
Da “Le Monde”, al New York Times, o il “Courrier International”. Ed ancora Marie Claire – nelle sue varie edizioni internazionali – ovvero da quella italiana, a quella francese. Ed ancora Elle, L’Espresso e molte molte altre….
Il suo lavoro, le sue visioni e i suoi concetti – tradotti fotograficamente – sono state esposte in numerose collettive internazionali – penso a Parigi, New York, Barcellona – ed ora saranno fino al 7 di Aprile, a Charlotte (North Carolina). La collettiva, tutta femminile ed in mostra alla Light Factory, si chiama Lilith “che per gli antichi ebrei” – come lei stessa mi racconta – “era la prima moglie di Adamo, ripudiata perché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla”.
E’ la donna quindi. Sono le donne quindi, in un moto continuo di storie e messaggi e passaggi, quelli tra un progetto e l’altro, che Guia Besana sviluppa e traccia progetto dopo progetto, su foto. Le donne e la loro anima. E attraverso le donne, emergono con profonda forza, tematica e impegno sociale … penso per esempio a Poison, per riflettere e capire l’intorno a noi. Guia Besana ( www.guiabesana.com ) questa settimana è la protagonista di Focus On.
Partiamo da un “lontano” italiano… Ormai lei vive fra Parigi e Barcellona. Che ricordi ha però di Torino dove è cresciuta, si è formata e dove forse è nato il suo “occhio” fotografico? Torino è stata la città da cui sono partita. Città con un impianto a scacchiera che nasconde moltissime stratificazioni … direi che un po’ mi assomiglia perché quando a distanza penso a Torino come concetto il fatto che sia duplice mi interessa. La duplicità o meglio il confine fra due pensieri è un tema che ritrovo nel mio lavoro personale. L’interesse per la fotografia non è direttamente collegato. Lo colloco nelle scatole di foto di famiglia che da piccola guardavo e riguardavo perché le foto di famiglia sono le prime immagini che ti restituiscono l’idea di te e di una memoria esterna. Essendo una persona più predisposta alle arti e alla manualità la fotografia è stato il mezzo con il quale mi sembrava possibile restituire a mia volta i miei pensieri.
Guia le sue immagini mostrano progetto dopo progetto, il suo “focus” principale verso una tematica – impegnata e profonda – rivolta alla donna. Penso per esempio al lavoro su Istanbul, ad Under Pressure o a Baby Blues. Perché la sua scelta di muoversi in questa direzione? Banalmente perché sono una donna e mi interessa in modo naturale il tema femminile. E’ il mio vissuto e lo porto in quello che esprimo. Baby Blues in particolare nasce come lavoro catartico dal mio momento post-maternità segnando l’inizio di un percorso più personale durante il quale ho sentito l’urgenza di raccontarmi direttamente.
Come nascono nello specifico i suoi progetti? E come si evolvono e si legano in quel filo di continuità che li accomuna? Qual è l’iter che segue? Nascono da quei pensieri che persistono più di altri nella testa. E’ un mix di tormento, fissazione, immagini impossibili da realizzare nella realtà ma dalle quali riesco a estrapolare e mantenere qualcosa. Ho una mente piuttosto visionaria quindi ho sempre in mente un’idea precisa, poi il risultato è diverso ma esprime comunque il punto di partenza. Il filo conduttore è dettato dalla forma fotografica che per me assomiglia alla scrittura.
In questi giorni a Charlotte – negli Stati Uniti – viene inaugurata Lilith, il suo ultimo lavoro, una collettiva fatta totalmente di fotografe donne. Mi racconta meglio il progetto? La mostra nasce dall’idea di una curatrice americana, Jonell Logan, che ha voluto riunire alcuni lavori di fotografe (fra cui: Jodi Bieber, Maxine Helfman, Allison Janae Hamilton, and Donna Cooper Hurt) che trattano la femminilità attraverso temi come la storia, l’identità e il potere. Mi ha contattata via mail attraverso il mio sito ed é nata così la collaborazione. La mostra prende il nome da “Lilith” che per gli antichi ebrei era la prima moglie di Adamo, ripudiata perché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.
Poison invece è il suo ultimo lavoro personale? Com’è nato? Poison nasce in Grecia con l’immagine di alcune api morte sulla tovaglia della trattoria in cui stavo mangiando. Ero in una terrazza all’aperto mentre il vento trascinava sciami di api addormentate e lente nei movimenti. A causa dei pesticidi quell’anno le api sembravano davvero avvelenate e confuse. Ho pensato all’immagine di una donna morta, simbolo della fertilità, di fianco a queste api “cadute”. Volevo raccontare a modo mio la crisi della biodiversità e la fragilità dell’ecosistema. Le donne sono l’aspetto autobiografico nel senso che rappresentano i miei pensieri pertanto impersonati da figure femminili ed ognuna di loro rappresenta una tematica differente nella serie.
Quali sono invece i tratti, gli elementi, il plus che caratterizzano le sue immagini e il suo “occhio” fotografico? Credo che solo lo spettatore può sapere se c’è un elemento che caratterizza le mie immagini e definirlo. Personalmente cerco di creare l’alchimia che possa farlo nascere ma in un processo sicuramente inconscio.
Come pensa sia cambiata la fotografia in questi ultimi 20 anni? Arrivando dalla pellicola ho assistito alla transizione fra analogico e digitale. Questo non ha impedito che io cominciassi delle serie in analogico per poi terminarle in digitale nei capitoli seguenti. Per me quello che conta è il processo di concezione e creazione di un’immagine mentale prima che fisica. La fotografia di fatto non è cambiata. E’ cambiato il pubblico, è cambiata la possibilità di diffonderla e di registrare un’immagine. La fotografia è più accessibile, è aumentata la produzione e la qualità è più alta; Questo può generare confusione e indurre, per poter lavorare meglio, ad eliminare tutta questa saturazione di immagini esterne per concentrarsi solo sulla propria progettazione.
A quale tra i suoi colleghi si sente particolarmente legata da un gusto comune dell’immagine? Più che gusto comune prediligerei il processo: fiction, mise en scène… I fotografi che come me hanno un’idea in mente e la fabbricano sono quelli che più mi interessano. Cindy Sherman, Gregory Crewdson, Viviane Sassen, Alex Prager, Holly Andres …
Quali sono i suoi prossimi progetti? Sto imbastendo adesso una nuova serie ma non ho ancora iniziato a scattare foto quindi è un po’ presto per anticipare. Mi piacerebbe lavorare su diversi temi ma non so quale prevaricherà.