Se il mio primo innamoramento per la bici è stato di natura estetica, prima che sportiva, posso dire che Emanuele Barbaro è tra i più efficaci promotori di sport attraverso le immagini.
Le sue foto trasmettono adrenalina e passione, ma fanno anche intuire storie curiose. Insomma, nei suoi scatti c’è tutta la gioia della scoperta day by day del mondo della bici, in particolare della scatto fisso. Ci siamo così dati appuntamento per una chiacchierata… a base di velocità.
Prima domanda marzulliana: chi è Emanuele Barbaro? Emanuele è un curioso insaziabile, di tutto. Il mio lavoro principale è il massaggiatore sportivo e sono un operatore shiatsu.
Quindi sei entrato in contatto con il ciclismo attraverso la tua professione… Nasco da una famiglia di sportivi. Mio padre corre da quando è giovane… non sono proprio nato in una famiglia di sedentari. Questo mi ha aiutato molto, per me fare sport tutto l’anno è la normalità. La fotografia è diventata un secondo lavoro da poco. Da tre anni lo faccio abbastanza seriamente. Mi sono imposto di migliorare. Ho poi suonato per 15 anni in tre band. Sono percussionista e… sono appassionatissimissimo di piante e fiori. Grazie alla fotografia adesso viaggio molto. Sono infatti da poco il fotografo ufficiale di Iride Modena, squadra nazionale fixed. Molto contento di questo incarico… è stata un po’ una sorpresa ed è arrivata prima di quanto mi aspettassi.
Questa opportunità quindi ti consente di seguire il ciclismo da vicino e attuare quella ricerca che ti fa crescere professionalmente… Sì, assolutamente. Coltivando la fotografia posso entrare in contatto con tantissime persone e realtà diverse, facendomi così coinvolgere dalle tante storie ruotano intorno al ciclismo.
E questo tuo modo onnivoro di fruire le passioni è contagioso sai? Guardando le tue foto mi sono imbattuta in Rachele Barbieri, una che sembra andare proprio forte tra Red Hook e competizioni internazionali. L’ho contattata tramite i social e mi ha risposto dall’Australia dove ha corso il Tour Down Under. Si trovava a Melbourne per un criterium e per la Cadel Evans Race! Grazie alle tue foto ho quindi “scoperto” Rachele, che prossimamente intervisterò, e il vivace calendario australiano…
Tornando a noi ho per te una domanda difficile, sei pronto? Aspetta, vorrei solo aggiungere un particolare, per descrivere compiutamente chi sono e cosa faccio. Amo tantissimo anche scrivere. In particolare cronache di sport. E poi mi faccio influenzare. Dagli amori alla musica, dal teatro al cinema… tutto costituisce il mio bagaglio culturale e concorre a realizzare il tipo di fotografia e scrittura che faccio.
Ok. Adesso però non sfuggirai alla mia domanda tosta. Parlami del tuo concetto di velocità come ciclista e del tuo concetto di velocità come fotografo. Come vivi la velocità nell’uno e nell’altro caso?
Nel ciclismo è sfida e adrenalina. A cui seguono il rischio e il pericolo. Per quanto riguarda la fotografia è la velocità con cui riesco a catturare un’immagine, un istante. Quello che vedi o che ti passa in testa arriva poi nell’immagine.
Ti eserciti molto? Sì e sono poi molto critico nei miei confronti. Talvolta una foto appena fatta mi piace molto, dopo 10 minuti potrebbe non piacermi più. Sono instancabile nella ricerca e sono sempre insoddisfatto.
Anche come ciclista sei insoddisfatto? Vuoi sempre superarti? Eh… lavorando sempre con i giovani e con i professionisti è inevitabile rendersi conto di avere dei limiti! Un po’ per l’età e un po’ perché comunque non sono un campione. Vado, faccio tanti chilometri, però di fronte ai professionisti mi sono reso conto che… andare forte è un’altra cosa!
Parliamo di scatto fisso. Che mi sembra abbastanza un’idea fissa per quanto ti riguarda. Secondo te perché la scatto fisso oggi è tra le più amate? Perché piace così tanto, soprattutto ai giovani? Perché è una novità. E poi perché ruota intorno ad un mondo che non è quello del ciclismo convenzionale. La scatto fisso viene rappresentata come un fenomeno trendy, di moda, anche se oggi non è più soltanto una moda. Perché la scatto fisso ormai aggrega tanta gente che prima magari ha fatto skate o snowboard e che quindi è arrivata al ciclismo attraverso un preciso percorso sportivo. Nell’ambiente della scatto fisso si trovano poi bravi fotografi e buona musica. Tante sono le componenti che fanno diventare questo mondo divertente e curioso.
E quindi secondo te c’è spazio per il ritorno del ciclismo su pista? Assolutamente sì. È solo questione di tempo, ma questa tendenza è in continua crescita.
In Inghilterra ad esempio la pista sembra davvero ben avviata… Sì, loro sono un po’ più avanti di noi. Lo Stato ha investito molto nella pista e i risultati si vedono.
Un’ultima domanda, che vuole dare spazio alla fantasia… come sogni possa diventare il velodromo Vigorelli? Sogno che il Vigorelli diventi come i velodromi in Olanda, in Germania e in Inghilterra. Dove la gente va a farsi il sabato sera, si diverte, ascolta la musica ad alto volume e intanto i campioni girano. Invece di andare in discoteca si va al velodromo. Poi mi piacerebbe vedere il Vigorelli impegnato nello sviluppo didattico. Per trasmettere ai bambini e a i giovani questo sport. E infine mi piacerebbe vedere il Vigorelli come un centro di cultura del ciclismo.
E molto probabilmente la tua visione presto si potrà avverare, caro Emanuele, poiché è ormai la volontà di tutti riattivare veramente il Vigorelli… e si parla dell’apertura di un museo e della possibilità di aprire ad allenamenti, forse anche nella fase intermedia in cui il cantiere è ancora aperto, ma la pista è già pronta. E allora sì che il Vigorelli sarà un paradiso per i fotografi… amanti della velocità.
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