Scrivo questo post perché è sconcertante leggere e sentire, ancora oggi, che la gente della moda disconosce o non ricorda chi siano “i Sei di Anversa”. Ok, saperlo non cambierà il mondo però credo che la moda sia una cosa molto seria, e, dunque penso che studiare sia la cosa più giusta da fare.
Nel 1987 i francesi si erano appena ripresi dall’invasione dei giapponesi nella moda, quando a Londra ci fu un’altra rivoluzione. I sei di Anversa, ovvero Ann Demeulemeester, Drie van Noten, Dirk Bikkembergs, Walter van Beirendonck, Dirk van Saene e Marina Yee presentarono insieme le loro collezioni, guadagnandosi così la reputazione di “giovani selvaggi”.
Martin Margiela, da moltissimi considerato uno dei sei, lavorava già per Jean Paul Gaultier a Parigi, e dichiarò che i nuovi stilisti fossero “figli degli stilisti giapponesi, di Rei Kawakubo e di Yohji Yamamoto” (che comunque ebbero una relazione amorosa abbastanza lunga. ndr).
Grazie al loro stile incompiuto, i sei strapparono ai giapponesi il testimone dell’avanguardia e lo portano negli anni Novanta.
Diplomati tutti quanti nella stessa severissima Accademia reale di belle arti di Anversa e avevano in comune l’attenzione per i singoli capi, ciascuno dei quali costituiva una sorta di base per creare l’abbinamento desiderato.
Prima della loro apparizione, nessuno associava il Belgio al mondo della moda: questo aspetto rendeva difficile per i laureati dell’Accademia Reale (formati da Linda Loppa, oggi direttrice del Polimoda di Firenze e fondatrice nell’81 del dipartimento di fashion design della Royal Academy. ndr) farsi notare nel settore, quindi furono obbligati a costituire un gruppo, per presentarsi in maniera più convincente e decisa alla fiera della moda di Londra.
Noleggiarono un furgone, lo parcheggiarono in un campeggio e quel poco denaro rimasto lo spesero in pubblicità: i giornalisti e gli esperti persero la testa per via del loro approccio poco convenzionale e per lo stile avanguardistico.
Ecco chi sono i sei fashion designer di Anversa
Dries van Noten (nato nel ’58) è il più famoso dei sei, forse perché è il meno rivoluzionario. A dire il vero non ha fatto altro che portare avanti la tradizione di famiglia: bisnonno sarto, nonno vendeva abiti da uomo e il padre aveva aperto il primo negozio di moda internazionale ad Anversa. Dries fu anche il primo dei sei a fondare il marchio nel 1985. Si sa che se una collezione non convince prima di tutti i critici, è come se avesse fallito. Dal 1993 van Noten corre questo rischio due volte l’anno sfilando a Parigi. Diversamente dagli altri, infatti, Dries van Noten non ha mai creato abiti per stupire la stampa bensì faceva sfilare solo capi pensati per i negozi e che in seguito sarebbero stati venduti. Nonstante questo è sempre stato contrario ad ogni forma di pubblicità e i suoi affari sono sempre andati alla grande, forse perchè le sue creazioni non sono mai sembrate “fuori moda”: ciascun pezzo da l’impressione di avere alle spalle una lunga storia. Una filosofia di moda onesta, un valore duraturo per creazioni davvero poco convenzionali, addirittura uniche, eppure sono le più portabili tra quelle disegnate dai sei di Anversa: “Il mio obiettivo è creare una moda che abbia una certa neutralità, alla quale chiunque possa sovrapporre la propria personalità“.
Ann Demeulemeester (nata nel ’59), a differenza di van Noten, non utilizza né colori, né motivi, eppure anche le sue collezioni permettono a chi le indossa di esprimere tutto il proprio stile. Cerca di fuggire al clamore della stampa e ha sempre ritenuto che per ottenere l’apprezzamento del pubblico il marketing sia meno importante della sensazione tattile di un abito, cosa che verifica con mano dal momento che è sempre la prima a portare i suoi abiti. Usa solo materiali naturali come pelle, lana e flanella. All’inizio il suo stile fu giudicato androgino e severo, ma la stratificazione dei tessuti e il modo in cui si avvolgevano attorno alla silhouette, insieme all’accostamento dei materiali hanno diffuso un nuovo concetto di femminilità. Spesso viene considerata la fondatrice del grunge, perché i punti a vista e le cuciture irregolari contribuivano a dare l’impressione di incompiuto, facendo riferimento anche ai giapponesi. In poco tempo la stampa riconobbe la fragile poesia dietro l’apparenza marziale dei suoi abiti e riservarono recensioni entustiastiche sia per la stilista che per le sue creazioni. Con una lettera scritta a mano e firmata anonimamente con una ‘x’, lo scorso novembre Ann Demeulemeester ha lasciato la sua griffe, fondata nel 1985, per motivazioni personali. Il brand è rimasto in mano al marito Patrick Robyn e alla managing director Anne Chapelle.”Mi piacciono le silhouette semplici e amo vestire le donne nello stesso modo in cui apparecchierei la tavola“
Walter van Beirendonck (nato nel ’57) ama presentarsi come enfant terible, ma la sua lunga barba e i mille gioielli che indossa nascondono un pensatore creativo molto arguto. Ha scritto libri, realizzato costumi per il teatro, abiti per bambini e per uno dei tuor degli U2. Beirendonck adora decorare i suoi abiti in maglia molto sbarazzini, come berretti di lana e maglioni con lo slogan “safer sex”; inoltre utilizza in modo spregiudicato e senza senso disegni assurdi e colori squillanti. Le sue creazioni si trovano ad Anversa nel negozio Walter, che dal ’98 gestiste insieme a Dirk van Saene.
Dirk van Saene (nato nel ’59) non ha mai realizzato collezioni complete. Dopo la laurea ad Anversa aprì un piccolo negozio in città dove vendeva i suoi abiti realizzati a mano. Tra i sei è quello che meno di tutti ama il successo: le sue collezioni sono troppo assortite, saltano da un tema all’altro e rendono difficile una classificazione. Dal 1990 le sue sfilate a Parigi sono sempre originali e diverse. Anche se questo comportamento incoerente cattura l’interesse del pubblico, non gli permette di avere un fedele seguito di sostenitori, ma credo che la cosa non gli importi molto: Dirk van Saene trova ispirazione in coloro che inseguono con decisione la propria idea di bellezza, anche quando il mondo intorno sembra crollare.
Dirk Bikkembergs si firma con quelle doppie cuciture destinate a durare nel tempo. All’inizio le usò per decorare le scarpe, ma poi ne fece la base della sua cifra stilistica. Oggi il doppio punto è il marchio caratteristico degli abiti maschili e femminili, dei jeans e dell’abbigliamento sportivo. Nato da genitori che lavoravano nell’esercito, Dirk crebbe circondato da uniformi funzionali dal taglio severo. Adottò queste stesse caratteristiche anche per i suoi abiti, aggiungendo però un tocco di erotismo, soprattutto nei vestiti in pelle in stile fetish. Benessere, sport e sesso sono i suoi interessi maggiori impersonificati da calciatori. Mentre gli altri di Anversa hanno preferito Parigi, Bikkembergs si trasferì a Milano dove realizzò anche la divisa per una squadra di calcio.
Dirk Bikkembergs nel 2010 ha venduto a Zeis Excelsa, azienda calzaturiera di Montegranaro che produceva in licenza le scarpe del brand. Nel 2012 lo stilista belga ha poi lasciato il ruolo di direttore creativo e si è ritirato in Sud Africa.
Marina Yee (nata nel ’58), di origine cinese crebbe in Belgio dove frequentò l’Accademia di Anversa. Nel 1986 presentò la sua prima collezione, finanziata da un buyer giapponese, ma non volendo piegarsi alle pressioni commerciali, fece un passo indietro nel mondo della moda. Tornò alla ribalta nel 1992, dopo la nascita del figlio Tzara; da allora si è concentrata sul riciclo di abiti di seconda mano, combinando tessuti grezzi con materiali delicati.
I sei di Anversa sono ormai entrati nella leggenda della moda e hanno così aperto la strada ad altri giovani designer, soprattutto belgi o comunque formati ad Anversa. Detto questo, spero di non sentire più, almeno tra la gente che si vanta di essere alla moda, di avere stile, di essere super seguito, di essere Dio, e che nella moda soprattutto ci lavora, affermazioni del tipo: “No, Margiela è il più famoso tra i sei di Anversa” oppure “Anche gli altri di Anversa faranno una cosa con H&M come ha fatto Margiela”.