Gli architetti che conosco si manifestano con una molteplicità di vite possibili veramente sorprendente. Li trovi nelle fila degli stilisti, dei giornalisti, degli artisti, dei fotografi.
Si travestono da qualche altra cosa, ma sotto sotto restano comunque, e per fortuna, meravigliosamente architetti cioè custodi di quell’irresistibile e cocciuta tendenza a costruire cose mettendo insieme elementi diversi e lavorando fino a raggiungere fra di loro la perfetta armonia. Emanuela Sala, ideatrice di Piatto Unico, applica perfettamente questo principio creativo che inventa il nuovo mettendo in ordine cose che non c’entrano niente.
I suoi ingredienti sono ceramiche d’epoca e stoviglie vintage sommate a illustrazioni con soggetti d’altri tempi ma non solo, che si incontrano nobilitandosi reciprocamente e aggiungendo una doppia vita anche al piatto: strumento per mangiare o oggetto da guardare, a seconda di come è stato realizzato, e che ognuno faccia il suo gioco.
A noi l’idea è piaciuta e abbiamo inseguito Emanuela nel suo buen retiro sulle rive del lago per farle un po’ di domande, per vedere dove nasce Piatto Unico e cominciare a entrare nel clima della Milan Design Week (a proposito, Piatto Unico sarà da Bloft alla Casa dello Zecchiere nel distretto delle 5 vie – via Bollo 3 dal 4 al 9 aprile, just in case).
Cosa ti affascina del passato? “Non mi affascina in sé il passato, ma i segni del tempo che passa e contemporaneamente la sua ciclicità. Il tempo è qualcosa che ci sfugge, assoluto e relativo insieme, è un enigma pazzesco!”
Ogni piatto è una piccola opera d’arte, come suggerisci di usarlo? Quando lo crei lo pensi su una tavola o appeso a una parete? “Sì, ogni piatto è una micro storia, se ne trovi uno che ti parla semplicemente scatta qualcosa e lo vuoi avere con te. Pensavo che i miei pezzi diventassero complementi d’arredo (centrotavola, svuota-tasche, porta gioie su un comodino) invece spesso vengono appesi alle pareti, a quanto sento è una moda mai tramontata. Si cercano pezzi che, per quanto provenienti dal passato, parlino al nostro presente, con grafiche nuove, non necessariamente legate alla tradizione. Poi c’è la serie limitata di Piatto Unico, pensata espressamente per la tavola, perché le ceramiche utilizzate, pur preziose e fatte a mano, vanno anche in lavastoviglie”.
Come è nato il primo Piatto Unico? “Non lo so! Non è nato a tavolino, ma dalla voglia di fissare un’idea su una vecchia ciotola di ceramica, per averla sempre sott’occhio all’ingresso della casa in campagna. Poi un’idea tira l’altra…”
Chi sono i clienti di Piatto Unico? Come li immagini? Come immagini la loro cucina o la loro casa? “I clienti dei pezzi unici sono per la maggior parte uomini, la serie limitata invece piace alle donne. Hanno le età più diverse e quelli a cui ho venduto direttamente sono tutte persone con cui uscirei volentieri a pranzo, sono persone originali, c’è sintonia”.
Se dovessi definire il tuo mestiere che parole useresti? “Designer, maker. Non mi sento degna di essere chiamata artigiana perché non padroneggio nessuna tecnica manuale con totale maestria, anche se faccio diverse cose, sui mobili oltre che sui miei piatti. Amo progettare e realizzare velocemente quanto pensato, in fondo sono pur sempre architetto”.
Hai un pensatoio, un luogo dove immaginare le tue creazioni con calma prima di realizzarle? “Incorporo di continuo stimoli visivi ed emotivi, cerco sempre ceramiche e vecchi libri, poi nel fine settimana, col silenzio intorno, tiro fuori un po’ di cose su un grande tavolo di cristallo e comincio a fermare qualche idea, che poi, con pazienza, prende vita sulla ceramica giusta”.