Alzi la mano chi ha letto un libro di poesie nell’ultimo anno. Probabilmente nessuno, sicuramente pochi, o forse no. Magari il cerchio si sta chiudendo riportandoci al punto di partenza, dopo che l’era digitale ci ha restituito alla scrittura senza che ce ne rendessimo conto.
Alla fine, è più quotidiano di quanto non pensiamo lo sforzo di cesellare le parole, magari semplicemente per far stare quello che desideriamo in 140 caratteri, che sta alla poesia come i surgelati stanno all’alta cucina ma da qualche parte bisogna cominciare. Per fare il salto, forse, serve l’urgenza di raccontare una seconda vita delle parole che non vuole trasferire un’informazione ma suggerire l’esistenza di uno sfondo sul quale tutti ci muoviamo, che incornicia e dà senso al nostro alzarci tutti i giorni ma che non si vuole o non si può vedere, ci vuole troppo tempo e abbiamo da fare, probabilmente.
Per fare il salto servono anche il piacere e la voglia di rimescolare le cose, di scandalizzare un po’ dicendo quello che si dice poco o semplicemente dicendo in un altro modo. Lo si può fare anche guardando il mondo da un balcone sul Naviglio Grande, scelto e raggiunto dopo anni da nomade, con semplicità e fermezza, e chi mi ama mi legga e agli altri una buona giornata. Abbiamo parlato di poesia con Raffaele Azzi.
Pare che nessuno abbia mai tempo. Alcuni giornali indicano il tempo di lettura degli articoli. Che relazione c’è fra la poesia e il tempo quando la si scrive e quando la si legge? “A questo proposito “qualcuno” ha scritto tanto tempo fa “…tempo, amaro suicida sotto i nostri lucidi tacchi a spillo…”. Trovo questa pratica indicante il tempo di lettura sinceramente irritante: ma è un gioco, si dice. Va bene, ma perché un altro dovrebbe dirmi quanto tempo dovrei impiegare per leggere una cosa? Non ti sembra che ce ne venga rubato già fin troppo, di tempo?…ma questo sono io, rischio di entrare subito in polemica col mondo, lasciamo stare. I miei lavori vengono scritti di getto, ovunque io sia, poi tolgo gli inutili orpelli della banale pateticità quotidiana, taglio tutto, e taglio ancora, li rimiro come quadri dipinti, e li appendo all’eternità, chè una poesia per essere considerata tale non ha tempo. La leggi tutta la vita: in cinque minuti prima di andare…o magari seduto in un angolo di casa, accarezzandotela come un gatto tutta la giornata, ma ogni volta scendi in un torpore estatico, e la tieni lì, fra i tuoi testi sacri sempre pronti sullo scaffale ogni volta che ne hai bisogno”.
Come si impara, se si impara, la poesia? Che ruolo hanno i Maestri e chi sono, in generale e in particolare per te? “Dietro questa semplicità del tuo chiedere, credo si nasconda una domanda alla quale solo un vero Maestro saprebbe ben rispondere, io sono un semplice scribacchino camminante. I maestri sono molto importanti, non puoi farne a meno. Per trovare i giusti codici espressivi per arrivare alla testa e al cuore della gente bisogna studiare tutta la vita, ma esserci anche catapultato, e affogato dentro, a questa vita. Non so se mi sono spiegato. Viceversa siamo degli ottimi utilizzatori di una tecnica specifica che impariamo a Lettere e Filosofia: avere una eccelsa proprietà di linguaggio non vuol dire essere un poeta. Per la mia formazione da strada, i miei maestri spaziano fortemente in ambienti di controcultura, sono lontano dal linguaggio dei classici, ma aspiro a diventare un classico. Una poesia di Gregory Corso, un sberleffo funky di James Chance, un’immagine sfuggente di Glauber Rocha lungo un muro, un’impalpabile stratificazione di colori di Rothko che irradiano la tromba di Chet, cozzando col carrello degli Einsturzende Neubaten mentre faccio la spesa. Fantasmi. i Tuoi fantasmi. Che m’incontrano e creano la poesia. Chi può fare a meno di questi?”.
Quanto c’è di istinto e quanto c’è di tecnica nella tua scrittura poetica? “Considero l’istinto una delle migliori virtù, purtroppo ormai quasi completamente soffocata dal “controllo”. La tecnica ci deve essere per forza, ricordandosi però che è solo uno strumento. Oggi negli ambienti di “poesia” tantissimi giovani scrivono formalmente in maniera eccelsa, ma non c’è poesia nei loro scritti, solo retorico virtuosismo che si avvita su se stesso, lo stesso ancora peggio dicasi dei contenuti. Mi annoiano mortalmente, quasi tutti. I moti dell’anima sono già stati ampiamente dibattuti dai maestri romantici e crepuscolari, parliamo d’altro adesso. Io voglio tornare alle radici dei problemi per estirparli, non voglio continuare ad innaffiare le mie piante malate. Ribellione, non omologazione all’intimismo e alla depressione sociale”.
Esiste l’ispirazione? “E questa deve essere la vera ispirazione: camminare nel nuovo mondo a guardarsi intorno e scrivere di quello che c’è là fuori. Adesso. un poeta, un artista, deve utilizzare dei codici di lettura e di interpretazione comprensibili dalla contemporaneità, e magari pure anticiparla, altrimenti accetta il ghetto della nicchia, dell’élite culturale. So che questo è molto più difficile, ma bisogna abbandonare la visione adolescenziale della vita e diventare adulti per poter guardare la spazzatura e l’osceno in maniera oggettiva, trasformandolo in antidoto poetico e, anche se tragico, in bellezza. La Tua poesia non ti salverà, ma può aiutare altri a farlo”.
Ogni forma di espressione ha le sue peculiarità, cosa ha il linguaggio poetico di diverso rispetto, ad esempio, a quello pittorico, secondo te? Ci sono argomenti, emozioni, idee che ha senso esprimere con un linguaggio specifico oppure no? “Anni fa dipingevo, poi ho momentaneamente accantonato questa attività. Ciò ha fatto sì che il mio linguaggio poetico si muovesse in direzioni nuove, più sperimentali. Adesso, forse, la mia poesia è riuscita a fondersi con la pittura che avevo in testa, somigliando molto ad un espressionismo astratto, e di ciò sono contento. Resta ovvio che nella poesia le immagini devi costituirle tu e con le parole catturarle e rimandarle (quasi) intatte al lettore. Il linguaggio poetico è molto difficile ed è per questo che è esaltante cimentarsi con lui: è una lotta all’arma bianca, devi essere veloce e silenzioso. Per esprimere la tua emozione, l’incontro, l’urto con la vita, puoi usare la vernice. Ma se vuoi che il Tuo odio o il Tuo amore, proprio lui e nessun altro, risponda alla finestra, devi chiamarlo per nome. Ti servono le parole. A questo serve la poesia. Non so se ti ho risposto, ma spero di aver detto qualcosa”.
Hai pubblicato dei video-reading dove la poesia si unisce all’immagine e alle immagini, ai suoni, della tua voce e del mare, ad esempio. Come vedi la relazione fra poesia e immagine, fra poesia e linguaggio visivo? “Non sono stato molto a pensare quando ho fatto quei video-reading. Girando prendo appunto dei luoghi che ritengo adatti, poi ritorno sui miei passi con il testo scelto e “giro” con una semplice macchinetta in presa diretta, recitando con alcuni suoni volutamente infantili, ma arcaici. Anche il rumore di fondo è “scelto” e va benissimo, talvolta lo aspetto proprio. Spero di approcciare la materia in tutta umiltà. Un video, un film, dà più tracce da seguire lungo il giusto sentiero che pensi tu, un po’ come pollicino che lascia i sassolini bianchi per ritornare a casa. La parola ti lascia lì da solo. Nei miei ultimi scritti ho cercato di ricreare proprio questo, sia in me stesso che negli altri che mi leggeranno (i coraggiosi). Un arcipelago di isole di parole che creano lo spaesamento interiore, forse senza scampo, dell’uomo contemporaneo. Solo i coraggiosi che affronteranno la furia del mare riusciranno a toccarle tutte, guardarle negli occhi e, alla fine, scoprire la verità, se una ce n’è”.
reading ‘No Milano’