Dopo le vacanze non poteva esserci migliore risveglio all’idea urbana del ciclismo di Suicide Track, il meeting-evento-gara organizzato da un gruppo di cultori della scatto fisso che per l’occasione ha prenotato in esclusiva il Velodromo Parco Nord nel pomeriggio di chiusura al pubblico alla domenica.

Così, appena scesa dalle montagne, dopo passi e arrampicate durissime all’11% e più di media, eccomi proiettata nella piatta padanità della pianura milanese, desiderosa di testare i muscoletti forgiati in alta quota finalmente anche su geografie meno verticali.

Il politically correct è di casa. Dalla locandina, al telaio…

L’avevo detto, Velodromo arrivoooo, e così fu: domenica consacrata a sciogliere i “tronchetti” come dice giustamente l’amico Muazi, messenger-gentiluomo.

Chiaramente non c’é storia con chi sfodera la bellezza di 40 Km/h di media fissa, ma nel mio piccolo ho scorrazzato su e giù con un bel 32 Km/h costanti che, se raggiunti fuori dal trenino dei pistard che tagliano l’aria, è un traguardo più che onesto per una della mia taglia, peso, età ecc ecc

Il Velodromo poi domenica scorsa era magnifico. Non posso dire “tutto in fiore” perché ormai volgiamo all’autunno e il prato è un po’ bruciato, ma la nitidezza del cielo finalmente aperto dopo un sabato intero di pioggia con annesso primo freddo, lo rendeva brillante come una pietra preziosa e fresco come un bouquet.

E poi vogliamo parlare della gioia di incontrare gli amici dopo tanto tempo, ascoltare i loro racconti di vacanza e descrivere le proprie gesta eroiche in montagna? Qualcuno che sopporta senza sbuffare la storia del QOM nella salita di Starleggia: priceless!

Insomma, il quadro è preciso è trasuderebbe consuetudine e tradizione. Senonché, a rompere le righe e a coronare un ritorno al ciclismo urbano al 100%, era attesa nel pomeriggio la Suicide Track. Come definire questo meeting? Una sfida? Una singolar tenzone tra cavalieri su due ruote? Sì… forse questa è la descrizione più attinente perché in pista la gara delle gare, la sfida più esaltante, è quella a due.

Ognuno parte da solo. E da solo dovrà correre buttando l’occhio all’avversario dall’altra parte della pista…

I contendenti si piazzano ai lati opposti della pista, al centro del lato lungo dell’ovale del tracciato, e via! Partono contemporaneamente e s’inseguono a distanza. In tre giri per vincere devi tagliare per primo il “tuo” traguardo. E se vai veloce come il fulmine c’è rischio di arrivare a mordere la gomma del tuo antagonista.

Così, curiosa di vedere gli indomiti cavalieri-suicidi in azione, terminato il mio ciclismo praticato, decido di fermarmi e di sperimentarmi anche come spettatrice. Cosa rarissima. Neppure al Giro d’Italia riesco ad astenermi dal pedalare anch’io.

Le cartoline nei raggi. Un must!

Ma la scatto fisso non perdona. Impensabile cimentarmi con questa strana creatura, tutta un fascio di nervi, leggera, libera, senza fronzoli e, soprattutto, senza freni. La sua estetica è decisamente affascinante e i protagonisti della kermesse rispecchiano in pieno tutte le leggende che il web rimanda senza posa. Ci sono adesivi di ogni tipo, cartoline infilate nei raggi, manopole tempestate di teschietti in rilievo e guarniture ultra leggere. E al “cavallo” si abbina una cavaliere che, all’opposto, tende alla sobrietà dei colori kaki, verdi militari, nuances per lo più scure. La gamma dei grigi è molto amata. Del resto il dress code dell’evento recitava chiaro: no tutine. Quindi il casual imperava con volumi ampi e pantaloncini di cui mi chiedevo: ci sarà o no il fondello? Vebbé, per soli tre giri non sarà certo una tragedia.

Il tattoo è imperativo

C’è comunque sempre qualche eccezione… tra i concorrenti spicca infatti la maglia “creativa” di uno dei semifinalisti che, vedendo poi i lusinghieri risultati in pista, ha decisamente saputo convertire le parole in fatti: “Keep Kalm… un ca**o!”. Lo stile british è un evergreen dell’eleganza maschile e dona sicurezza e portamento a chi lo indossa. Ma non basta per vincere. Perché alla fine sarà Simone, che di look è il meno urban e indossa una sana e attillata maglia tecnica da bici da corsa, che riesce a sbaragliare la concorrenza portando a casa la vittoria a mani basse. O meglio, a mani alte.

Simone ha vinto la sfida

L’atmosfera è comunque giocosa. C’é il senso della gara, ma con lo spirito giusto, senza eccessi. E finalmente ho modo di vedere dal vivo, fatta da chi la sa fare, la vera skiddata, ovvero la frenata con la fixed che è fatta di sola forza sui pedali, bloccando di colpo la ruota posteriore fino a farne scivolare il copertone sull’asfalto. Si capisce che con un tipo di stop così di gomme se ne brucino parecchie ed è quindi forse meglio, semplicemente, non frenare affatto. Se si può, nel traffico… Ma qui siamo tutti nel Parco, accolti dal grande abbraccio della pista, la migliore amica del ciclista. Così è bello immergersi totalmente nello stile rilassato e informale della crew: “che morbido questo nastro”, “cos’hai montato di corona?”.

Le conversazioni sono fluide e scorrevoli come una ruota lenticolare sull’asfalto.

C’è la gara, ma senza tensioni

A fare gli onori di casa Patrizio Marano e Edo Belt, rider dei Balanders’ CREW, con rappresentanza di bottiglie del Birrificio Camuno al seguito. Naturalmente la divina bevanda è… calda! Forse quindi, nell’ottica di un coinvolgimento urbano del Velodromo Parco Nord, prima ancora dei servizi igienici ci sarebbe davvero bisogno di allestire un bel bar/chiringuito! Mettiamo ai voti?

PER VEDERE TUTTE LE FOTO DELL’EVENTO REALIZZATE DA WLADIMIR CAIAZZA, clicca qui

Nelle belle foto di Wladimir Caiazza, da sinistra, Marco Muazi, Edo Belt, il castello del Birrificio Camuno, adesivi e sponsor
Teschietti e “motti cavallereschi”: è come un torneo medievale!
Foto di gruppo di Wladimir Caiazza. Ci sono anch’io! L’unica fuori tonalità…

 

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