La Puglia. Terra natìa. Ma anche “Culla”, “Mamma” e solido “Pilastro” di crescita di Sergio Racanati, artista-regista-performer tra più interessanti del discorso creativo di oggi.
La Puglia come sua origine di espressione, come punto di partenza di un percorso progettuale che porta poi Racanati – nel tempo – a portare i suoi lavori a Milano, Miami, Berlino e a Novembre di quest’anno anche a Barcellona per LILA il film che presenta in prima internazionale all’Asia Film Festival.
Classe 1982 e cifra predominante della sua arte, del suo lavoro come lui stesso dice: “l’approfondimento, l’analisi delle pratiche creative relative al contesto urbano, sociale, politico ed architettonico”. E soprattutto un coinvolgimento continuo della sfera pubblica,e dei comportamenti politici delle comunità, oltre ai rapporti tra la memoria individuale e quella collettiva. Tutto viene raccontato man mano con quell’approccio-linguaggio che lo rende unico, approccio fatto e tradotto in performance, installazioni, video e film.
Ho incontrato Sergio Racanati questa settimana per Focus On.
Partiamo, facendo un passo indietro. Come si forma, cresce e si evolve in Puglia un bambino dallo spiccato senso creativo come il suo? Che ricordi ha e come è stato il suo percorso? Sono nato in Puglia, in una cittadina sul mare, Bisceglie. Ho frequentato il liceo artistico in un paese, non molto distante dal mio, ma senza il mare! Un paese ai piedi delle Murgie, con una fortissima vocazione agricola. Gli anni del liceo sono stati fondamentali per la mia crescita e per le mie prime esplorazioni del modo dell’arte. Ho avuto docenti illuminati che hanno saputo incoraggiarmi a spingermi oltre il “possibile”, ad indagare altri linguaggi, a iniziare a ipotizzare e realizzare progetti. Ma sono stati anni in cui ho anche sperimentato la negazione di alcuni linguaggi. Ricordo che detestavo le ore di noia mortale di disegno dal vero con tutte quelle terribili sanguigne gomme e matite HB dai numeri più impensabili! Volevo già fare grandi installazioni, occupare volumi impensabili, far scomparire oggetti e sfondare architetture con suoni ultra-cosmici. E ho realizzato gran parte di queste visioni! Per superare la noia della fisica e di geometria euclidea mi arrampicavo sugli alberi e sputavo sul terreno liquidi dai colori acidi immaginando di avere un fiume di gente intorno a me! Usavo colori per alimenti ed indossavo sgargianti gonne e scarpe da ginnastiche che compravo a Londra in estate! Questi erano i miei riferimenti! I miei immaginari sospesi tra il post industriale e proto rave! Dopo la maturità, conseguita lodevolmente, ho proseguito gli studi a Milano all’Istituto Europeo di Design perché affascinato ed interessato alla metodologia progettuale. Anche qui ho attivato riflessioni contro la mera produzione di oggetti finalizzati all’industrializzazione. Mi sono laureato con una tesi in cui ho mixato questioni legate all’ antropologia, alla fenomenologia degli stili, alla semiotica del linguaggio. Per la tesi ho realizzato un film! Iniziava con queste mie parole: Ultima fermata Bisceglie!…
Quali sono i tratti, che progetto dopo progetto guidano il suo lavoro e le sue performances e come si è evoluto il suo lavoro in questi anni? La cifra predominante del mio percorso artistico segue l’approfondimento e l’analisi delle pratiche creative afferenti il contesto urbano, sociale, politico ed architettonico. I miei progetti coinvolgono i temi della sfera pubblica, i comportamenti politici delle comunità, i rapporti tra memoria individuale e memoria collettiva, affrontati con gli strumenti di alcuni linguaggi artistici (performance, situazioni, installazioni, video, film). Sono sempre più interessato ad instaurare delle relazioni profonde con il territorio. Per me il territorio non è semplicemente una definizione geografica, è una costellazione di interazioni tra l’uomo e la natura antropizzata e non. Le riflessioni ricorrenti all’interno della mia ricerca artistica sono le metodologie e i sistemi di autoproduzioni, i meccanismi di conflitto con le istituzioni di potere, l’archivio, l’immaginario collettivo. Tutte queste riflessioni partono ed approdano a porre al centro di tutta la mia pratica artistica il corpo inteso come un vero e proprio political agent.
A Novembre arriva la presentazione in prima internazionale all’Asia Film Festival del suo film Lila, come è nato il progetto? L’ultimo mio progetto è il film intitolato LILA. La realizzazione è avvenuta nella Valle di Parvati, nel villaggio di Kalga, India, a 4500 metri di altitudine sull’Himalaya, durante la residenza sperimentale Kyta curata da Shazeb Sherif . Sono stato invitato a presentare il film in prima internazionale nella sezione Discoveries all’Asia Film Festival a Barcellona diretto da Menene Gras Balaguer dal 2 al 12 novembre 2017. Il film è rivolto alla dimensione dello spazio e del tempo sociale, ai sistemi di potere e di persuasione che le forme del visibile o dell’invisibile esercitano nel quotidiano. Il sostantivo femminile sanscrito līlā indica “gioco”, “distrazione”, “passatempo”, “grazia”, “fascino” ma anche “mera apparenza”, “simulazione”. Secondo la tradizione induista sottintende la spontanea venuta ad essere manifestazione dell’universo e del suo dissolvimento. Avere a che fare con līlā, così come avere a che fare con il «gioco del mondo», porta uno sconvolgimento inevitabile. Il film esplora delle narrative insite nella comunità e auspica ad un possibile modello di fruizione del territorio producendo un corto circuito tra localismo e (post)globalismo. E’ una sequenza di narrazioni altre dalla quale emergono storie inascoltate o nuove istanze proiettate all’interno di un territorio che diventa performativo e sperimentale. E’ un viaggio attraversando un territorio marginale; dove il territorio diviene sinistra evocazione del proprio stesso crollo che racchiude le tracce di un era programmata per la propria distruzione. Un’ introspezione all’interno dell’abbondante nichilismo quotidiano in cui l’ uomo è condannato a vivere un presente che è già memoria del presente stesso. Il film è composto da azioni che ha definito in dissoluzione, discrezione, dilatazione e dissolvenza. Non voglio aggiungere altro ! Svelerei troppo! Vi invito a venire a vederlo!
Lei vive tra Milano e Miami. Come organizza il suo lavoro e come pensa si stiamo evolvendo il mondo dell’arte in Italia? Mi piace organizzare e lavorare nelle residenze artistiche. Credo molto nelle possibilità di creazione e di produzione nelle residenze. Quelle vere! Negli ultimi anni, e mi riferisco veramente agli ultimi 5 anni, ne sono nate una miriade, molte delle quali , non sono realmente interessanti, perché o reiterano i meccanismi accademici oppure emulano le mostre patinate da galleria. Ho vissuto a Miami per un periodo significativo quando ho vinto il premio MOVIN’UP conferito dal MIBACT e dal GAI. Assisto all’evoluzione o involuzione del mondo dell’arte! L’Italia è dentro al “mondo” o forse fuori dal “mondo”! Dal 2008 ad oggi, durante questi anni di crisi economica, l’arte contemporanea ha avuto tanto successo e seguaci. Assistiamo ad un proliferare di fiere, musei, festival, biennali. Tali attrattori, passatemi la brutale definizione, continuano a muovere i flussi di compratori, collezionisti e visitatori appassionati. Questo è un segnale interessante, ma I linguaggi della contemporaneità a volte scardinano anche le logiche più radicali. Se dovessi far riferimento al sistema italiano, pochissimi sono gli investimenti che ricadono nella ricerca, quella vera! Sono interessato a queste questioni.
A quali tra i suoi colleghi si sente particolarmente legato? Non sono particolarmente legato a colleghi. Mi interessano i lavori, le opere i progetti di qualità con un forte e spiccato segno di autenticità. Due caratteristiche ormai quasi del tutto perdute nell’oceano del mordi e fuggi, della bulimia produttiva di eventi, di mostre, di presentazioni.
Quali sono i suoi prossimi progetti? Adoro questa domanda! A gennaio sarò impegnato in una sessione di residenza in Francia, nello specifico a Marsiglia, presso Vernacular/Oracular curata da Emmanuelle Luciani, i cui esisti saranno presentati in una mostra collettiva al Museo di Sevignin e successivamente in Italia presso la Fondazione SoutHeritage a Matera con un progetto a cura del direttore artistico Angelo Bianco nell’ambito di “Matera Capitale Europea della Cultura 2019”, all’interno del programma della fondazione denominato “Committenza Contemporanea”.