Domani 25 novembre verrà celebrata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E mentre i media ricordano le tante iniziative in atto, mentre si parla di scarpe rosse, muri di bambole e discorsi illustri, forse sarebbe opportuno fare un passo indietro. Molto indietro.
C’è un luogo comune che purtroppo spesso ho sentito tra i neogenitori. “Meglio un figlio maschio, i maschi hanno vita più facile”. I maschi. Quelli che riceveranno vantaggi sul lavoro. Che non dovranno scegliere tra carriera e maternità. Che non dovranno fare i conti con orari vincolanti e famiglia da portare avanti. Maschi che guadagnano di più. Maschi che forse non verranno molestati, aggrediti, mortificati.
Ma siamo davvero sicuri?
Oggi nelle scuole medie e persino primarie si tengono conferenze ed interventi mirati a far crescere una generazione responsabile. Una generazione futura che possa essere attenta all’ambiente, che possa combattere gli stereotipi, che possa essere libera nel suo insieme. Libera di crescere, e produrre. Libera di diventare ciò che più ha a cuore. Libera di poter figliare senza vincoli. La responsabilità che tutti poniamo sulle spalle dei nostri figli è tanta. Davvero tanta. Forse troppa.
Combattiamo il bullismo e la violenza in ogni suo genere. Questo cercando di insegnare con metodi alternativi. E da lì che arrivano i vari metodi Montessori e le famose “scuole nel bosco”. Bambini ieri quasi emarginati, per metodi che oggi appaiono sempre più consoni.
Mamme e papà oggi hanno un compito grande, grandissimo. Insegnare alle loro figlie a farsi valere. Ad avere rispetto per il proprio corpo ed il proprio intelletto. Insegnare ai maschietti ad avere rispetto per la figura femminile “una donna non si tocca, nemmeno con un fiore”.
E nel mentre si insegna ad entrambi l’uguaglianza tra i generi, tra i sessi, forse anche qui bisognerebbe insegnare anche ai maschietti ad avere rispetto per il proprio intelletto ed il proprio corpo, mentre alle femmine di ricordare che “anche i maschi non si toccano, nemmeno con un fiore”.
E quando i telegiornali sono impegnati a ricordare i vari femminicidi, le “donne dell’acido”, e i vari e innumerevoli casi di molestie sulle donne da Weinstein fino ai casi italiani, forse anche qui bisognerebbe fare un passo indietro.
Fare un passo indietro nella battaglia che ogni giorno portiamo avanti con i nostri ragazzi, con i nostri bambini.
Fare un passo indietro, rimanendo in silenzio e guardando le immagini di quel’asilo di Vercelli. Che poi, è solo “uno dei tanti”.
Fare un passo indietro cercando per quanto possibile di sostenere la visione di queste immagini.
Fare un passo indietro e pensare: a cosa servono i muri di bambole, a cosa servono le scarpe rosse, a cosa servono la mediatizzazione dei casi di molestie, se la violenza, anzi La Violenza, viene insegnata lì, proprio a scuola, tutti i giorni.
Se questa violenza viene associata al primo approccio con la scuola. Al primi approccio con l’autorità esterna. Con l’autorevolezza.
Se ad insegnare questa violenza sono proprio quelli che dovrebbero darti le basi per crescere e diventare grande, non in famiglia, ma nella società.
Forse è il caso di fare un passo indietro. E anziché puntare sui tanti (troppi) servizi sui bambini addestrati a fare la guerra, concentrare su quei tanti, tantissimi, troppi, a cui viene insegnato l’odio, ogni giorno, e nel silenzio.