Ammetto di essere, qui e ora, pronta ad ascoltare Omar Di Felice, senza essermi minimamente preparata sull’argomento. E ciò mi piace. Perché prepararsi implica fare tutto questo, e cioè scrivere questa rubrica, di mestiere. Invece la bici per me, con tutto quello che a lei è correlato, deve assolutamente rimanere divertimento puro, distaccato da ogni senso di obbligo.
Così eccomi ospite da Federico e Gianluca di Equilibrio Urbano, che cito rigorosamente in ordine alfabetico, ricordandone l’efficace dote di essere diversi e quindi complementari, proprio come, da me in agenzia, la mia partner Anna ed io. Sul lavoro non c’è niente di meglio che trovarsi un socio in grado di bilanciare le tue attitudini mettendone in campo altre. L’importante è che la visione sia unica e che la mission sia sostenuta da entrambi con la medesima forza.
La mission di Equilibrio Urbano è aggregativa ed al tempo stesso divulgativa. Eh no, a loro non basta venderti una bicicletta. Te ne accorgi quando passi in negozio per ciò che ritieni possa essere un rapido scambio di pareri e ne esci circa 40 minuti dopo. La profondità non si può sintetizzare. Non si può liquidare in 5 minuti…
Federico e Gianluca lo sanno e così, da tempo, organizzano incontri dedicati a tanti temi diversi, naturalmente e sempre correlati alla bici. Così si è creata intorno a loro una piccola community che è anche un’ASD e che è anche, ahinoi, una chat su Whatsapp da cui più di una volta sono stata tentata di scappare… ma come si fa? E chi se li vuole perdere gli scambi chiacchierini di tanti appassionati ciclisti? Se Davide ha forato due volte in pochi giorni ecco che scatta l’esilarante scambio in cui ognuno dice la sua. È il freddo? No, semplicemente la s**ga…
Ma torniamo alla diretta, ci siamo. Omar è quello con il pizzetto, mi dicono. Non è certo quel tipo di atleta che ti aspetti di vedere. Fisico minuto, in apparenza nessun muscolo guizzante sotto i vestiti. Eppure il video che viene avviato sullo schermo rimanda le immagini di un ciclista solitario che sfida neve e ghiaccio, con una forza impressionante, quasi sempre in piedi sulla sella. Finalmente capisco chi ho davanti. Omar Di Felice è un “ultracyclist”, cioè quel tipo particolare di ciclista che macina km su km, con il minimo delle soste, in gare o in percorsi solitari che a volte sembrano sfidare la logica della sopravvivenza.
Si mangia durante queste “avventure”? Così lui ama definirle. Quasi mai. Diciamo che ci si nutre. Si dorme? Non proprio… il micro-sonno è una tecnica che si affina con l’esperienza. Si pedala fino a che non si crolla e poi, dopo una quindicina di minuti di sonno profondo, si ritorna in sella, sperando che l’avversario che ti precede non ti abbia troppo distanziato e quello che ti insegue non sia già pronto a succhiarti la ruota.
Un po’ di ansia questa idea di pedalare no stop a me francamente la mette, ma Omar trasmette una felicità nel raccontare la sua esperienza che non ha uguali. L’ultracycling per lui è un sogno avverato e non un gesto sportivo. La bici è diventata il mezzo con cui si esprime, come un pittore usa il pennello.
Le ruote nel suo caso disegnano percorsi su mappe infinite. Dove la gioia più profonda consiste nel traformare quel segno geografico in vera scia registrata su Strava. Sì perché Omar su Strava naturalmente c’è. E con non poca soddisfazione, iniziando a seguirlo, vedo che questa settimana ha fatto meno km di me! Ma solo se sfoglio le giornate precedenti vedo che le medie sono impressionanti.
Il bello è che Omar adora pedalare con ogni clima e in ogni stagione. È proprio questo che, fin da ragazzino, lo ha fatto desistere dal ciclismo agonistico classico. L’obbligo del fermo invernale lo snervava. La palestra pure. E le regole? Anche. Omar è il ciclista che prima di tutto ha imparato ad ascoltare il proprio corpo e a regolarsi di conseguenza, per la gioia del suo coach, Fabio, che lo segue con amore, senza tuttavia imporre nulla. Tutto è rivedibile e aggiustabile in corso d’opera. E infatti l’ultracycling è così. È l’imprevisto, è il calcolo sbagliato, o meglio, è l’incalcolabile somma tra cuore e mente, che non sempre può dare lo stesso risultato.
Vedere Omar e il suo coach affiancati è sorprendente. Uno sembra un cavaliere medievale, l’altro il suo scudiero. Indovinate dove si nasconde l’atleta? Sotto l’armatura? No-no, è lo scudiero. È l’uomo sottile che ad un’altezza di 175 cm abbina un prodigioso cavallo di 85. “Abbiamo notato la lunghezza spropositata del canotto che regge la sella della tua bici” esclama uno dal pubblico “è sulla tua misura vero?“. Così si scopre che Omar ha dei muscoli lunghissimi. Se l’occhio non mi inganna ci saranno almeno 40 cm di divario tra l’altezza della sella e il punto più basso dove appoggiano le mani. Una distanza incredibile almeno quanto i due punti geografici che sulla mappa riesce a congiungere dopo 10 ore in sella.
Ricorda le prime esperienze. Attraversare i 700 km nella Lapponia, una delle sue prime avventure, è stata, per lui che ragazzino adorava le imprese degli esploratori artici, la rivelazione che il sogno può tradursi in realtà. Passando attraverso gli errori, come ad esempio scoprire che i freni possono ghiacciarsi e che i copertoni, senza chiodi, non ti permettono di fare neppure un metro. E qui si scopre che l’ultracycling, almeno per come lo intende Omar, è quel tipo di sport che ti inventi da solo e che affronti in modo totalmente empirico. Non è il prodotto artificiale delle marche che supportano l’atleta, bensì il risultato che s’inventa day by day, usando solo ed esclusivamente prodotti di serie, alla portata di chiunque, acquistabili in qualsiasi negozio.
Che guanti speciali indossi? Quelli che puoi comprare anche tu, magari da Decathlon… E la borsa sotto la sella? Omar c’è arrivato dopo che, per migliaia di km, si era ostinato a portare tutto nello zaino in spalla. Era l’immagine dell’esploratore che inseguiva fin da piccolo… salvo poi scoprire sulla sua pelle che dolori e formicolii erano troppo incalzanti per insistere a ricreare la bella immagine di sè che aveva in testa. Così non c’è la tecnologia della Nasa che lo supporta, ma il semplice equipaggiamento dell’amatore.
“È pericoloso per un ciclista avventurarsi da solo nell’ultracycling? Cosa consigli?” è la domanda che arriva dal pubblico. Sì, può essere pericoloso, risponde Omar all’unisono con il suo coach. È il proprio limite che bisogna imparare gradualmente a conoscere. Scoprirlo lungo la strada può essere sconvolgente. È molto facile ritirarsi durante una gara di ultracycling. Sulle lunghe distanze il minimo errore di valutazione delle proprie risorse fisiche e mentali si può pagare con svariate ore di ritardo. Al tempo stesso ciò che può sembrare incolmabile talvolta si riesce a superare con gli interessi. “Nel percorso celebrativo del Giro d’Italia – racconta Omar – avevo 3.500 km da percorrere in 9 giorni. Dovevo quindi passare il 90% del tempo in sella. A Ortisei avevo accumulato un ritardo di circa 8 ore. Un numero che avrebbe potuto abbattere persino un entusiasta come me. Ho deciso allora di dormire 3 ore. Reset. Al risveglio sono ripartito che ero freschissimo. Così ho recuperato le 8 ore e ho ripreso vantaggio sulla tabella di marcia: +4! Quando senti che la tua testa riesce a mandarti avanti, diventi il motore di te stesso. Nel superare la crisi mi carico tantissimo nel vedere come la testa possa superare, prima ancora del corpo, le situazioni più avverse.”
Lancio un’occhiata alla mia amica Sarah, che da un po’ accarezza il sogno dell’ultracycling e nell’attentissimo ascolto delle parole di Omar sembra caduta in trance. Al soltizio d’inverno farà, in notturna, il giro del Lago di Garda. Circa 200 km di pedalata. Brava Sarah! Tutta la mia stima. E come incoraggiamento dedico a te e a tutti gli avventurieri ultracyclist in pectore queste sacrosante parole di Omar Di Felice: “Quando non nasci campione, quello che puoi fare è affidarti ai sogni. E lanciarti al loro inseguimento, con coraggio e follia“.
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