Il vintage è un tipo di estetica che è facilissimo conoscere male. Chi di noi non ha un capo acquistato in un mercatino o recuperato in casa da un baule? La fascinazione per la vita che i segni del tempo su quel capo o quell’oggetto raccontano è irresistibile e immediata.
Saper interpretare e riconoscere quei segni, riuscire a farli rivivere nel nostro guardaroba quotidiano, dare loro un senso nuovo che mescoli passato, presente e futuro supera l’istintiva attrazione e diventa competenza: un saper fare che può diventare un mestiere e sicuramente può dare spessore a una passione.
Milano Vintage Week è nata così: un progetto per dare spazio al vintage di qualità e alla cultura del vintage, dedicato a appassionati e addetti ai lavori.
Da quella esperienza esattamente un anno fa è nato Vintage System, corso di specializzazione per diventare professionisti del vintage realizzato in collaborazione con IED Milano e dedicato a tutti quelli che hanno voglia di capire un settore della moda e del costume da cui oggi pesca buona parte del nostro immaginario e farne, perché no, un mestiere.
Sta per partire la nuova edizione del corso e ce ne parla Francesca Zurlo, coordinatrice di Vintage System e co-founder Milano Vintage Week.
IED Milano sta per varare il secondo corso ‘Vintage System’ ideato in collaborazione con Milano Vintage Week. Quali sono le peculiarità del corso e a chi lo consiglieresti? Il corso vuole formare una figura non ancora presente in Italia e, per farlo, si avvale di una parte prevalentemente teorica, con lezioni di storia della moda e del design, semiotica e sociologia, trend e tendenze, marketing, comunicazione, diritto, e di un’altra estremamente pratica, nella quale vengono messe in atto le conoscenze apprese con la realizzazione di un progetto creativo conclusivo. Che può riguardare il re-brand di un marchio appannato, la customizzazione di capi del passato, la creazione di una propria capsule, l’apertura di un’attività di vendita, una ricerca storica, una consulenza etc. Si delinea, così, una figura sfaccettata che riesce a utilizzare il passato per anticipare il futuro e che diventa fondamentale per qualsiasi azienda capace di riconoscere l’importanza di un dialogo diretto con il proprio consumatore: l’unico modo per progredire è raccontare storie di valore.
Quali connessioni genera il vintage? Quale relazione c’è fra l’ambito più analogico che conosciamo e la struttura ipertestuale della rete? Il vintage è ricerca, ritorno alle origini filtrato attraverso lo sguardo curioso di oggi, le nostre esigenze, i nuovi valori: non è recupero nostalgico o, come ancora mi capita di sentire, una modalità di acquisto per chi ha scarse risorse, ma una leva di comunicazione, racconto privilegiato in un sistema, come quello attuale, che vuole la moda come contenitore di contenuti prima ancora che di prodotti. L’armadio della nonna diventa, quindi, un luogo magico, un archivio emotivo in cui ritrovare forme e valori perduti da recuperare per raccontare una storia; un approccio vincente come dimostrano i fashion brand più in voga del momento. Questa riscoperta diventa un modo per raccontare, mentre il vintage un collegamento tra quello che stai vivendo e vivrai e ciò che è già stato vissuto. In questo salto temporale la rete permette di accedere a contenuti variegati, consentendo una visione molto più ampia e senza confini.
Che ruolo ha il brand, il logo, la firma nel mondo del vintage? Quanto è importante distinguere il vero dal falso? Sinceramente penso che il brand sia irrilevante o meglio, che lo sia nel senso in cui lo intendiamo oggi. Certo, ci sono capi o accessori d’autore, vale a dire di griffe internazionali, il cui valore negli anni è cresciuto a dismisura (proprio come nel caso del vino d’annata) e davanti ai quali non si può che mostrare la propria ammirazione, ma ci sono anche moltissimi pezzi di sartoria o di aziende non più attive, che hanno valore proprio per la rarità e irripetibilità che li caratterizza. Ovviamente, non tutto ciò che è datato può definirsi vintage. Detto questo, anche nel vintage sono entrati i falsi, sempre legati a firme note, che non hanno alcun valore perché semplici riproduzioni di pezzi recenti, che al massimo, se fossero autentici, potrebbero essere classificati come second season ma non come vintage.
Quali sono le professionalità legate al mondo del vintage? Il vintage è parte integrate del lavoro di differenti figure professionali che si aggiungono alla classica figura del venditore: chi si occupa di ricerca per le aziende di moda e design, chi fa parte del team di progettazione e sviluppo delle collezioni, ma anche interior decorator, visual designer, stylist, buyer e, soprattutto, quanti lavorano nell’ambito della comunicazione. Perché, in fondo, il vintage altro non è che una leva di comunicazione, un racconto di contenuto prima ancora che di prodotto.
Milano Vintage Week è un evento e un insieme di attività legate al vintage di qualità. Esiste una declinazione milanese del vintage? Direi che Milano Vintage Week ha cercato di dare un’impronta contemporanea al vintage, offrendo una modalità alternativa al classico mercato o alla fiera di settore e proponendo una visione di sistema, come per la moda, scandita dai trend e dalla stagionalità.
Che ruolo ha la comunicazione nel racconto del passato che non passa mai di moda? Quali sono i canali privilegiati? L’estetica del passato è sempre stata presente nella quotidianità, non solo nella moda e nel design (ambiti nei quali è più evidente tale presenza) ma anche nella comunicazione, perché il passato con le sue forme e i suoi valori è rassicurante, ci appartiene, riporta alla memoria emozioni e sensazioni che fanno parte della nostra storia, anche se non le abbiamo vissute direttamente. Ed è proprio questo contenuto immateriale a dare forza e valore al vintage. Dunque vintage non è solo un oggetto, ma anche un’interpretazione, un contesto, un contenuto caratteristici di un’epoca e riscoperti in chiave contemporanea per la loro attualità, perché capaci di far rivivere un mood, uno stato d’animo che non ha tempo, che è senza tempo.