La moda che parla davvero tanti linguaggi. A volte anche i più singolari o meglio i più adatti (e ricettivi), ai tempi che corrono o che arriveranno. E per tempi che corrono, non si parla sempre di puro riferimento a trend o ad immagini (uguale) principalmente a vendite e bla bla bla… tutto in piena routine con il sistema.
Ma anche di filosofie che ci aiutano a vedere tutto più sano, più etico, più conforme -e in linea- con il concetto-rispetto: ambientale, morale e ripeto… etico.
Filosofie vegane per esempio, tradotte ora anche in moda e… accessorio. Nemanti questo pensiero lo ha fatto fortemente suo. Tanto da far nascere un vero discorso-stile di shoes per uomo e donna, che esprime appunto tale messaggio e … linguaggio.
Questa settimana – per Focus On – Paola Caracciolo (co-founder del marchio), mi racconta gli aspetti, dinamiche, ed evoluzione del loro progetto che ha già un grande successo.
Mi racconta che cosa è esattamente la moda vegana? Quando si parla di cruelty-free (o vegan) in ambito moda, si fa riferimento in gran parte ad una produzione che non utilizza componenti che abbiano comportato sofferenza per gli animali. Al posto di pelle, cuoio, colle di origine animali o polveri di cuoio si utilizzano materiali naturali, come il lino, il cotone, oppure materiali tecnici studiati a tavolino per avere caratteristiche specifiche in termini di traspirabilità, resistenza all’usura o impermeabilità. Per noi essere un brand vegan va però ben oltre questo, perché oltre al rispetto per gli animali poniamo grande attenzione al rispetto per l’ambiente e per le persone cercando sempre soluzioni nuove o anche innovative per ogni aspetto, anche il più banale.
Quando è com’è nato il progetto Nemanti? L’idea come spesso accade è nata da un’esigenza personale: scegliere di essere Veg * per me è stato un percorso, una presa di coscienza graduale che – giorno dopo giorno – ha richiesto sempre più coerenza e che ha toccato ogni ambito di vita. Diversi anni fa lavoravo come responsabile marketing per una catena di supermercati della grande distribuzione, mi capitava di trovarmi in difficoltà quando si trattava di abbinare ad un completo un paio di scarpe eleganti, puntualmente reperibili solo in pelle. Volevo un prodotto di alta qualità, ma senza componenti animali. Così me lo sono fatta da sola. A 25 anni ho iniziato a lavorare sull’idea di sviluppare calzature cruelty-free, e dopo qualche mese di studio e progettazione ho lanciato Veg Italian Style. Era una delle uniche 3 aziende italiane che si occupavano di scarpe Veg*. Purtroppo il mercato non era ancora maturo. Nel 2012, ho ricominciato a studiare l’offerta di prodotti cruelty-free e ho deciso di fare un master sui beni di lusso. Nel 2013 è nata così Opificio V, una linea di scarpe realizzate da maestri artigiani italiani utilizzando i migliori materiali disponibili sul mercato e soprattutto totalmente vegan. Da pochissimo abbiamo cambiato nome e logo per celebrare un nuovo capitolo della storia di questo marchio. Nemanti è la conseguenza di una tendenza più internazionale del brand già iniziata con Opificio V. Opificio V era un nome molto nostrano, di difficile comprensione a chi italiano non è. La scelta di rilanciare il brand e creare Nemanti è stata anche legata all’ingresso di un nuovo socio, Sebastiano Cossia Castiglioni, che da molti anni investe in diverse attività vegane in Italia e all’estero.
Come nasce una vostra collezione e da dove arriva la vostra ispirazione? Le nostre sono collezione classiche, con qualche nota più spigliata e mondana ma ci teniamo a creare dei prodotti che siano trasversali rispetto alle tendenze più modaiole e che possano durare negli anni.
Cosa significa oggi creare un business di vero lifestyle etico? E soprattutto in un mercato “saturo” di proposte, quali sono i vantaggi e gli svantaggi? Creare un vero lifestyle etico vuol dire riuscire a scardinare le vecchie logiche della moda, resettare totalmente abitudini e modi di pensare che il fast fashion ha negli anni imposto. Tornare a dare il vero valore agli oggetti, che sono il frutto del lavoro di altre persone; pensare all’impatto ambientale e alla sofferenza degli animali degli acquisti che facciamo… Oggi per fortuna la moda si sta sempre più orientando verso proposte via via più green ed etiche anche perché i consumatori sono molto più informati e attenti alle scelte che fanno. Internet e i social in particolare restituiscono una veloce presa di coscienza su quanto i nostri comportamenti di acquisto abbiano una concretezza su tutto l’indotto. I vantaggi ovviamente sono legati alla rarità di questo manifesto etico di cui ci facciamo portavoce, gli svantaggi sono legati alla difficoltà nello scardinare logiche di mercato date per scontate.
Quali sono i vostri principali mercati di riferimento e chi sono i vostri clienti? Attualmente il nostro mercato è principalmente quello europeo e americano. I nostri clienti? Dipende dal canale di vendita, mi spiego: Il nostro e-commerce vede prevalentemente l’alternarsi di professionisti vegan, persone attente soprattutto al benessere degli animali e ambientale. Mentre le vendite legate ai punti vendita fisici non sono così focalizzate, in quel frangente ciò che colpisce è la bellezza della scarpa e della collezione, l’eticità del brand è qualcosa che va a completare e impreziosisce la scarpa ma non è sicuramente l’elemento decisionale.
Quali sono i vostri prossimi progetti che mi può anticipare? Il nostro focus attualmente è legato allo sviluppo del brand con particolare focus sul mercato americano, che oggi ha qualche anno di anticipo sulle tendenze soprattutto legate al cruelty free. Stiamo lavorando anche sullo sviluppo di accessori e una nuova linea dedicata ai più giovani.
Il futuro della moda quindi secondo lei sarà sempre più vegano? Continuando a perpetrare stili di vita inquinanti, abitudini noncuranti e modelli di business orientati al profitto a ogni costo, si consegnerà alle future generazioni un mondo apocalittico, molto vicino alle avveniristiche pellicole hollywoodiane. A invertire questa tendenza, il settore dell’alta moda si sta già facendo portavoce di un manifesto etico, che si concretizza in azioni e comportamenti green, appoggiati anche da figure di spicco nel panorama artistico e sociale. Il business sostenibile non solo è possibile, ma è l’unico immaginabile da qui ai prossimi anni.