Tutto a volte sembra predisposto dal destino. Così, semplice come apparecchiare la tavola. Un ordine naturale, dettato dal bon ton che a volte fa dire, ancora e nonostante siamo ormai nell’era dell’inciviltà, “prego, si accomodi, passi prima lei, ci mancherebbe”. Ecco. È in questa affermazione, scongelata da un frigor degli anni ‘50, che mi sono immaginata Samantha Profumo e Valentina Canzi, le due antagoniste che avrei dovuto/potuto incontrare alla gara in linea del 69° Campionato Nazionale Giornalisti Ciclisti e che, sul più bello, hanno invece dato forfait.
Così… semplicemente, ho vinto io. Sono la sessantanovesima campionessa nazionale giornalista ciclista.
Vero è che ho accettato di partecipare, disertando L’Ambrosiana ciclostorica di Milano, proprio per garantire la presenza minimissima di una quota rosa. Una sola donna. Tutti uomini e tutti, ad una prima occhiata, belli allenati.
È con Alfredo Zini, consigliere FCI e divisa giallo/blu del Corriere della Sera, campione assoluto in carica, che approdo al gazebo di registrazione. Il mio numero sarà il 51 e subito sotto il mio ahimè vedo registrato il nome di Valentina. Ohibò. “Quanti anni ha lei?” Chiedo un po’ in ansia. Ma come, penso, non dovevo rappresentare io sola il mio genere? “Ehhh è un po’ più giovane di te!” mi risponde con un tono che non posso non definire impertinente l’uomo della lista. Ok. Calma. Me la giocherò. E già accendo lo scanner. Gli adduttori come stanno? Mi garantiranno una bella pedalata rotonda? Un po’ di stretching non guasta e… forza! Roteare le caviglie! Sì è tutto ok. Alla chiusura della ‘revisione dei motori’ m’imbatto finalmente nel presidente Roberto Ronchi. “Ho visto che c’è questa Valentina Canzi…”. “Ah no purtroppo non viene. Dice che sotto i 200 km non si diverte”. Ohhh che peccato! E mentre il cielo del Ghisallo sembra diventare più azzurro del manto della Madonna, sento già dissolta la lieve tensione che, lo so, avrebbe cambiato la mia prestazione. In meglio o in peggio, chissà. Nel frattempo ecco subito palesarsi il nuovo obiettivo: non essere la maglia nera. Magni non è Malabrocca. Magni al Ghisallo è un cognome a cui si è devoti ed io sono chiamata quindi a farmi onore. Devo battere assolutamente qualche uomo.
Siamo in tutto 31. E il percorso dal Ghisallo al Ghisallo è un giù/su che si profila divertente.
Discesona lunghissima fino a Canzo e poi verso Ponte Lambro ed Albavilla, giro di boa e… si risale! Ma non ci saranno quelli che si sbattono giù a 70 km/h come ho visto fare da Moser? Certo. Ci sarebbero. Ma la scelta dell’organizzatore prevede la macchina che controlla. Al massimo 50/55 km/h per tutti. La bagarre potrà scatenarsi solo in salita.
Sventola la bandierina a scacchi e via! Partiti. Sono concentrata. Sono nella nuvola del gruppo e, nonostante in Velodromo Parco Nord non abbia più paura della vicinanza estrema tra ciclista e ciclista qui è diverso. Qui c’è più adrenalina, anche se tutti ostentano una compassata indifferenza che sa tanto di pre-tattica. C’è però quella strana premonizione, che ogni ciclista ben conosce nella discesa che precede la salita, che s’infila nelle fibre muscolari delle gambe. Gambe che non possono ancora spingere, ma di cui già si immaginano le future tensioni.
Discesa infinita. Non se ne può più. E allora eccomi subito accontentata. Ci sono gli strappetti di cui mi aveva parlato Alfredo. E mi piacciono. Riguadagno qualcosina che avevo perso in discesa per prudenza. Ma il giro di boa è vicino e il plotone spinge. Tutti non vedono l’ora di menare. Così rassicurata dalla presenza di “qualcuno” che sento ancora alle spalle, mi ritrovo a giocare con Eddy e Antonio. Che si spalleggiano a vicenda ed io sono un po’ il terzo incomodo. E se poi Eddy mi stacca riesco tuttavia a non mollare Antonio.
Per un po’ sono ancora nel primo quarto d’ora della gara, ma ecco che, di nuovo a Ponte Lambro, c’è la macchina fine corsa che inesorabilmente mi passa. E con l’ambulanza subito a ruota ecco che sento chiudersi inesorabilmente la finestra dei 15 minuti di gloria. Non certo quelli di Warhol, ma quelli del futuro campione nazionale (uomo) che arriverà al Ghisallo per primo e che, con la sua andatura, detta il ritmo della carovana.
Non faccio in tempo a sentirmi sola che arriva un plotone di cavalieri. Altri ciclisti? Magari! I nuovi compagni di viaggio sono la quintessenza del rumore. Sono Harleysti. Almeno una trentina. Tutti molto inferociti per la velocità ridotta imposta dalla gara, là davanti, oltre la macchina fine corsa. Intrappolata così nell’elemento estraneo faccio buon viso a cattivo gioco. Una ragazza mi incoraggia tutta entusiasta. Indossa come tutti il gilet del club e ha dipinto in faccia un macabro sorriso a punti di sutura come fosse un pupazzo di Tim Burton. Caccio fuori tutta la lingua e drizzo le corna in una posa rock da Kiss, ed in realtà il vero significato del mio gesto è quello che, data la situazione, si può ben immaginare. Lei naturalmente non coglie la sfumatura e mi scatta foto tutta contenta. Intanto io aspiro bene ciò che esce dal tubo del motociclettone che guida il suo fidanzato.
Un’altra coppia attempata, ma agghindata ‘da giovane’ come gli altri, senza alcun senso del ridicolo, mi manda a quel paese perché intralcio il passaggio. Io rispondo, ma la frustrazione è che in tutto quell’assordante frastuono i miei insulti non si sentono. Prima di Canzo grazie a dio sono tutti svaniti. Certo, mi hanno frenata non poco, accidenti a loro! Mi ritrovo con Antonio alle prime salite e ho le gambe che scalpitano. E allungo. Scusa-scusa ma devo riprendere il mio passo. I motociclisti mi hanno deconcentrata. Ora devo ritrovarmi.
Così mi pare di volare. Da Canzo a Barni in un soffio.
Ed anche il drittone finale al 10% mi pare quasi leggero. Due ciclisti, non della nostra gara, arrancano quasi a zig zag. Io me la cavo con una cadenza bella regolare e sto tra i 10 e i 15 km/h. Mica male! Li raggiungo e, anche se a certe andature da bradipo il verbo non è così centrato, li svernicio senza pietà.
Nessuno davanti e nessuno neppure dietro, dei nostri. Eppure sento di avere lasciato qualcuno alle mie spalle. E ció mi è di grandissimo incentivo. Non saró ultima!
Al congiungimento della variante di Barni mi si affianca un chiacchierone in mtb. E oltre a chiacchierare (è simpatico ma…) mi si attacca alla ruota dietro. Ehi… mi rovini l’estetica dell’arrivo! Dai mollami! È una gara e merito di arrivare da sola. La capisce per fortuna. Così ecco il traguardo. Ed io sono proprio fresca.
Nessuno mi vede arrivare e allora caccio qualche urlo per farmi riconoscere. Ehi laggiù, sono io! (Come se stessi citofonando alla mamma…) Sto arrivando! I due signori con la paletta si animano e i fotografi puntano. Ci siamo. Lo striscione è sopra di me. Le braccia alzate? Mi chiede Carlo Ottolina di Ciclismoinrosa.com. Io sono il suo unico soggetto. Non posso deluderlo. Rifacciamo. Guarda peró che tutte e due le mani alzate non sono capace. Una ti basta? Rewind: la donna che visse due traguardi.
E che premio trovare tanti amici anche inaspettati di passaggio e giunti al momento giusto chissà fino a che punto per caso. C’è Stefano con la Milly, c’è Fabio che mi fa un’intervistina con la videocamera, c’è Gianluca di Equilibrio Urbano che il giorno prima, last minute, mi ha fatto lavare nel suo negozio una catena a dir poco ricoperta di pece. Che festa! E allora Matilde, come fosse una magnum di Berlucchi, strappa la busta Enervit dei momenti speciali, la R2, quella con gli aminoacidi che come formichine operose ti aiutano a ricostruire il muscolo distrutto in salita. Ora sono pronta a indossare il tricolore.
La scena? Interno del Museo del Ciclismo Ghisallo, tante personalità e un’unica vincitrice. Diciamo solo unica, senza vera vittoria, ma con la soddisfazione di aver battuto, alla fine, ben sette uomini.
D’ora in poi chiamatemi Ammazzasette.
Non sono mosche né giganti, come nella celebre fiaba, ma giornalisti. Quindi una razza veramente dura a morire. Luciana Rota, responsabile della comunicazione del Museo, mi aiuta ad indossare la maglia. È proprio come al Giro e al Tour! E così quella componente alla zelig che vive in me si appropria subito della gestualità corretta. Mano sul cuore per l’inno, targa-premio in bella mostra come a Sanremo, mazzo di fiori sventolato a braccio alzato. E due boys a darmi il bacetto sincronizzato lasciandomi un velo di rossetto sulle guance. Ah non c’erano? E tanto meno due boys avrebbero il rossetto? Beh… è stato bello, e un po’ irriverente, immaginarlo.
Ora il mio nome è scritto nella storia di questa bellissima manifestazione. E sarà fantastico, almeno per me, ricordare che una Magni, da meno di due anni in sella ad una bici da corsa, è riuscita a guadagnarsi un pizzico di umana gloria nel tempio del ciclismo fondato dall’omonimo, grandissimo, Fiorenzo.
L’album fotografico dei momenti più emozionanti del 69° Campionato Nazionale Giornalisti Ciclisti
Con il patrocinio della Federazione Ciclistica Italiana, Touring Club Italiano, Regione Lombardia, Provincia di Como, Comune di Magreglio e di Bellagio.
Sponsor: Berlucchi, Enervit, Faema, Ti-Rex Bike
Da sinistra la vittoria assoluta di Leonardo Olmi, inseguito da Marcello Valoncini. E a destra il mio solitario taglio del traguardo, davanti a sette uomini!