Ti piace vincere facile? Sì, ma mi piace anche perdere, finalmente. E così, indossare una bella maglia nera al Sellaronda Bike Day, se proprio non mi ha fatto fare salti di gioia, almeno ha prodotto una risposta concreta: no, non sono dotata di super-poteri e non sarei mai stata medaglia d’oro alle olimpiadi se mi fossi svegliata un po’ prima a fare bicicletta.
Sì perché stavo incominciando a pensare di aver proprio sbagliato tutto nella vita… altro che PR nel settore moda, con il mio talento potevo essere l’erede di Fiorenzo Magni e non sarebbe stato perdonabile l’aver ignorato questo sport a vent’anni, quando invece fumavo quei due pacchetti al giorno e non disdegnavo mai il superalcolico dopo cena. Dieci Cuba Libre? Ma sì, tanto sono immortale.
E allora ben venga ritrovarsi l’ultima del gruppetto dei Makaki, che sono un team veloce anche se si definiscono “tranquilli”, alla mia prima, fantastica esperienza al Sellaronda Bike Day. Ben venga perché finalmente ho capito di essere, rispetto a loro, un vero bradipo in salita e che non basta affatto la mia preparazione “fai da te”. Quella che, per intenderci, si basa sul pedalare quando si ha voglia e tempo. Tuttavia devo anche dire che, per quanto improvvisata e non certo definita con le famose tabelle, la mia preparazione era abbastanza buona e per andare al passo del mio gruppo mi sarebbe bastata una cadenza lievemente superiore. Cadenza che non ho voluto raggiungere perché, oltre al fiato, mi mancava la voglia di essere troppo veloce. Troppo bello il panorama per passarlo via senza la contemplazione che solo un ritmo tranquillo può regalare.
Certo, il Sellaronda Bike Day, che tanti vedono come una passeggiatina facile-facile, non è proprio come fare quattro passi – e mi si perdoni il facile gioco di parole.
In tutto sono qualche metro più di 50 km dove però i quattro valichi, che hanno anche dei bellissimi nomi ricchi di storia, una volta sommati tra loro producono la bellezza di 26,15 km di salita, con una pendenza media del 6,50%. E se contiamo gli strappetti e gli altipiani sparsi in giro ecco che viene fuori un conto davvero molto salato per un paio di gambette che salgono in Brianza una volta al mese al massimo. Ma alla consapevolezza di aver fatto del proprio meglio date le condizioni, si aggiunge un ulteriore stato di fatto: le Dolomiti sono pazzesche ed è tale la bellezza di questi posti che se anche fossi stata una mummia egizia mi sarei senz’altro risvegliata. E i bendaggi della mummia, metafora di fasce muscolari un po’ arrugginite, si sarebbero subito sciolti. È così. Pedali immerso in un sogno ad occhi aperti. Fai un tornante e non c’è l’angoscia di vedere un drittone noioso davanti a te, dove nulla è positivo e nulla ti incentiva. Fai un tornante e vedi una prospettiva di rocce che si stagliano nel cielo blu e sembrano una scultura, un’opera d’arte. Ne fai un altro e non fai in tempo a pensare alla fatica che subito vedi una teoria di alberi e prati che non possono che ispirarti la pace dei sensi.
Il tutto nel vero miracolo di strade completamente a disposizione dei ciclisti dove l’unico fastidio, se così si può dire, è dato dal ronzio di tante – pare sempre di più – mtb a pedalata assistita. Che poi forse il vero fastidio non è tanto nel verso da mosca che fanno, ma nel vedere la faccia riposata di chi le usa. Va detto, più donne che uomini. Direi forse mogli… che finalmente hanno la possibilità di pedinare mariti che, ahiloro, non riusciranno più ad affrancarsi grazie alle pendenze proibitive e saranno quindi potenzialmente colti in flagrante se più che il panorama soffermeranno lo sguardo sul bel sederino della tedesca davanti. “Ma no, cara, cosa dici, stavo solo controllando la postura… guarda anche tu che bell’impostazione che ha…”.
Ma i giochi di coppia non finiscono qui. Ne abbiamo veramente viste tante. Ci sono quelle vestite in modo gemellare, con la stessa tutina. Quelle che parlano di continuo e non si sa né in che lingua né da dove prendano il fiato. E c’era persino la coppia “legatissima”. Letteralmente: lui tirava lei con una bella cinghia tipo tapparella. Del resto perché rischiare di sbilanciarsi con la classica spintarella? E poi sul Sellaronda ci sono intere famiglie. Lui a sudare trainando il carrellino con pupo spesso in lacrime. Lei magari con la prolunga posteriore a cui si aggancia la biciclettina del ragazzino. Eroismo puro. Viene da chiedersi se hanno avuto la forza di affrontare tutti e quattro i passi. Insomma, la carovana in marcia è veramente varia e, soprattutto abbondante. In alcuni passaggi il traffico è tale che si rischia di mettersi in coda. Ed è però un bellissimo tipo di traffico, perché l’assenza di macchine è veramente priceless.
Ci sono tanti gruppi, tutti con la maglia ufficiale, e ci sono i lupi solitari o le coppie di duellanti, che in piedi sulla sella affrontano il giro come una granfondo.
Si perderanno il panorama ma tant’è, magari sono di queste parti e lo sanno a memoria. Tanti sbuffano, ma pochi sembrano in difficoltà. L’impressione è di un popolo ben allenato. E c’è persino una nicchia che osa sfidare i monti pallidi con la urbanissima, very british, Brompton. Visto che questi strani personaggi (ce n’era una anche in gonna) si sono concentrati tra Campolongo e il passo Gardena, ho pensato ad un’abile operazione di marketing. Chissà. Certo è che mai e poi mai, neppure se me ne regalassero una, mi cimenterei in una simile sfida. Va bene dimostrare che anche una Brompton rampega, ma lo stile chi lo ripaga? Come pensare di promuovere la Smart alle Mille Miglia. Carina, sì, ma cosa ci fa accanto alla Lancia Lambda? Insomma come tutti dovrebbero sapere la vera eleganza è la conformità al contesto.
E l’idea che infatti in questa occasione tutti siano vestiti a festa è tangibile. Nel mio gruppo ho una bella esibizione di stile. Ci sono i Makaki Deborah, Tony e Alessandro con la divisa ufficiale del team, Stefano e Cisco che hanno optato per una livrea total black molto chic e c’è Milly che ha colto l’occasione per testare i nuovi arrivi del suo ancor più nuovo brand di abbigliamento. “No Gods No Masters” è un vero inno alla consapevolezza femminile e prima che una collezione di capi specificatamente studiata per le donne, è un appello a credere in sé stesse, senza dei a cui essere devote o maestri da seguire. In tutto ciò la più chiassosa sono io che ho scelto una nuova maglia di Cycology che, tra le più sobrie di questo brand disegnato in Australia, è una costellazione di pseudo-tattoo a tema ciclistico. Non dico che spacco come un Cipollini con la sua celebre tuta muscolare, ma poco ci manca… Ed è poi un bene perché così, sempre sotto di almeno 2 o 3 tornanti nella migliore delle ipotesi, i compagni di viaggio mi individuano subito e si sanno regolare quanto dovranno aspettarmi. Bravi che mi avete aspettata… ma ignoratemi, per favore. Se sento i vostri incitamenti mi deprimo. La mia motivazione è tutta interiore e non c’è “Vai Laura!” che tenga. Quel grido mi piace sentirlo solo al traguardo. Comunque tutto bene. E l’idea psicologica di dover scollinare quattro valichi si supera presto.
Partire da Arabba si è rivelata infatti una scelta azzeccata.
Da questo micro-paesino che in lingua ladina di chiama Rèba si affronta per primo il passo più “bruttino” e meno famoso, ovvero Campolongo, che risulta anche il più tosto sebbene il più breve. Così i muscoli, ancora freddi, hanno subito uno shock salutare. Ma poi, superato questo primo sforzo, ecco la meravigliosa planata su Corvara e l’ascesa irresistibile sul passo più lungo e più dolce, il Gardena. Dopodiché arrivano il Sella e il mio preferito, il Pordoi. Sarà che c’era il monumento a Coppi, sarà che l’arrivo era più in alto di tutti, ed io adoro i prati in quota senza alberi, ma il Pordoi mi ha proprio colpito al cuore. E non dimenticherò mai la lunga teoria di ciclisti-formichine che salivano negli ultimi tornanti. Una vista spettacolare. Così, dopo la posa fotografica al monumento del Campionissimo, che l’amico Giuliano Leonetti ha commentato su Facebook con “è passato più di mezzo secolo da quando non si vedeva un Magni davanti a un Coppi” ecco che mi sono spuntate finalmente le ali e in discesa ho messo il turbo fino ad Arabba. Bella forza, qualcuno dirà… in discesa! Sì ma la discesa è strepitosa quando ci si sente “tecnici” dentro. E si seguono traiettorie impercettibili e codici di geometria esistenziale, come cantava Franco Battiato. Così arrivare al gonfiabile finale fa uno strano effetto: oh… già finito? E come un bimbo alle giostre ti viene quasi da pensare: “facciamo un altro giro?”