Se c’è una cosa che mi piace del neo-campione italiano Elia Viviani è il suo dualismo. In lui convivono ragione e sentimento. Vederlo in tv è stato davvero molto emozionante e tre sono le fasi della sua vittoria che mi sono rimaste stampate nella mente. Quando non ha perso un cm alla ruota di un Pozzovivo che scompostamente cercava di staccarlo nell’ultimo strappo e lui no, incollato alla sella, non mollava.
Quando accerchiato dal duo Merida era tutto uno scatto e un controscatto. E infine nella lunga sequenza della premiazione. Lì Elia ha raggiunto autentiche e sublimi vette. Prima nell’intervista con Alessandra De Stefano dimostra quanto lucidamente ha gestito la gara, confermando che è la testa che fa il campione più che le gambe. E che per un velocista come lui lo svantaggio era sì grande, ma è stato colmato dalla coscienza di sé, ovvero dalla consapevolezza del limite e dall’incontenibile voglia di superarlo. Poi, ed è qui che il campione Viviani si è definitivamente rivelato, nelle vibranti scene in cui indossa la maglia tricolore.
Appena chiusa la zip della maglia tricolore se la stira addosso con le mani. La guarda.
Controlla che non ci siano piegoline inestetiche. Sistema collo e maniche. Di nuovo le mani la stendono e allisciano… Insomma, la maglia lo trasfigura. È una seconda pelle che sembra accarezzata da mille invisibili mani. Sembra farlo lievitare in una sorta di luce mistica. La medaglia d’oro olimpica, la maglia ciclamino al Giro e tutte le 14 vittorie di una stagione davvero positiva, sembrano svanire. Oggi è campione d’Italia ed era questa la conferma che cercava. Ed è in questa sequenza della premiazione che Viviani rivela il dualismo che fa di lui il campione da amare. Razionalità ed emozione implodono all’unisono nell’immagine sul palco dove i gesti commossi sono la diretta conseguenza di quanta intelligenza c’è voluta per arrivare fino a qui. Fino alla vittoria. Alla vittoria diretta conseguenza della coscienza di sè.
Così non posso che vedere evidenti tracce di questo dualismo nelle amiche Sarah Cinquini e Iryna Bukhanska. Ragione e sentimento convivono in entrambe, ma in modo complementare. La loro prossima avventura le porterà ad affrontare 675 km durissimi e 16.000 mt di dislivello spalmati in due giorni e in 16 passi sulle Dolomiti. Una “ultra”, così la chiamano ormai affettuosamente gli addetti ai lavori, che di fatto è un percorso di lunghezza e fatica inumana. La Ultracycling Dolomitica è la meta di questo loro prossimo week end ed io non ho potuto fare a meno di chiamarle, una dopo l’altra, per affondare il termometro nel loro stato d’animo e cercare di misurarne i due livelli, quello razionale e quello emotivo. Se fosse stata una doppia intervista avrebbe preso la forma televisiva di quelle delle Iene.
Cosa sogni? È questa una delle mie prime domande, decisamente Marzulliana. E se con Sarah fatico un po’ a strapparle una risposta, perché, dice, appena sveglia tende a dimenticare, ecco che infine confessa almeno un minimo di agitazione e di sonno spesso interrotto. Anche se aver rotto il ghiaccio un paio di settimane fa con la Dolomitics24 fatta in solitaria le ha dato più consapevolezza. Il timore razionale che qualche daino possa attraversare repentinamente la strada sembra superabile, dopo la recente esperienza.
E Iryna? Niente. Per lei il sogno è preparazione. “Io pedalo – dice – e dormo tranquilla, non penso a niente. Non mi sfinisco con pensieri così poi quando arrivo lì parto e martello“. Nessun sogno quindi per entrambe. La ragione tutto controlla. E domina le paure. Se per Sarah è fondamentale la preparazione mentale della valigia e così lampeggiante e ricarica dei walkie talkie divengono forse il diversivo per escludere l’idea di fatica e pericolo che l’attende, Iryna preferisce guardare in faccia l’abisso ed è il timore per il maltempo che fa spesso capolino nelle sue parole. “Quando sei lì si ribalta tutto” dice commentando il piano fatto con Sarah che le vedrà alternarsi ogni 4 ore.
È ancora vivo il ricordo di un’ascensione con il marito sul passo Manghen dove a valle c’erano 40° e poi in discesa li attendeva il freddo che non immagini mai abbastanza di poter trovare in alta montagna. E se per Sarah l’idea del furgone d’appoggio, con suo cognato e il marito di Iryna a supportarle, risulta rassicurante per la possibilità di mettersi anche un piumino, per la compagna rimane la certezza che la discesa la fai tu e non puoi certo salire a bordo. “Ci compensiamo anche nella preparazione – aggiunge Iryna – lei in questi giorni pensa a ciò che sarà utile mangiare, al brodino caldo, io penso a pedalare. Pedalo anche nel sonno.” La ruvida sintesi di Iryna vs la meticolosa attitudine all’organizzazione di Sarah? Puó darsi. Le due visioni si completano e alimentano scambievolmente il progetto di viva energia.
Insomma, la ragione c’è. Le signore sono preparate e consapevoli. E ciascuna ha la sua ricetta speciale per organizzarsi mentalmente. Ed ecco allora che c’è ancora grande spazio per godere del sentimento. Per Sarah (sua l’iniziativa e la proposta a Iryna) questa sfida è emozionante perché saranno in due e, soprattutto, perché saranno due donne. “I bambini si sono trovati” spiega Sarah. Così, sistemati insieme i rispettivi pargoli al mare e contente per un’alchimia riuscitissima tra le famiglie, ecco che le due cicliste possono finalmente abbandonare la veste della madre e immergersi al 100% come bambine nel loro sogno-realtà, che le vede sostenute da una motivazione interiore che va ben oltre la razionalità dell’obiettivo. Per Sarah è l’idea di un’esperienza nuova, eccitante ai massimi, piena di gioia e quindi ci sono “tante farfalle in pancia“, espressione che ama e che spesso si abbina proprio al suo modo di vivere il pre-gara, quando tutto è congelato in un’attesa carica di promesse.
Per Iryna è il ricordo romantico del suo viaggio di nozze, fatto in pieno novembre e in bicicletta, proprio in Alta Badia, tra lo stupore generale degli amici che non si capacitavano della scelta. “Tutti ci prendevano in giro perché non avevamo raggiunto la classica spiaggia caraibica. Ma è da allora che ho il desiderio di pedalare ancora e a lungo in quei luoghi“. E Sarah aggiunge “Anche se come unica coppia di donne partecipanti non c’è gara, so che Iryna vuole fare bene“. E parlando dell’altra sembra guardarsi allo specchio.
“Ma Sarah! – esclamo io – guarda che però ora che hai coinvolto Iryna nel tuo sogno, anche se lei dice che hai fatto la proposta giusta al momento giusto, adesso sei in credito…” “Oh sì – coglie al volo Sarah – Iryna, promesso, faremo insieme anche una tua crono!“