Sono seduta davanti alla grande scrivania piena di fogli ricolmi di appunti e schizzi. Sono nell’ufficio di Ernesto Colnago e le pareti rimandano le immagini dei tanti momenti clou dell’azienda e del suo fondatore. Che è lì, proprio davanti a me e mi porge subito, senza troppi convenevoli, due fogli A4 dove sono riportati, stampati dal computer, due suoi pensieri. Il primo sulla morte, il secondo sulla vita.
É così che ha inizio l’incontro che desideravo da tempo. Un desiderio che prima riguardava solo la mia “fame” di vedere biciclette e soprattutto quelle biciclette che hanno fatto la storia, ma che poi, con il passare del tempo, si era trasformato nella curiosità verso un uomo che ancora oggi, a 86 anni, siede sullo scranno più alto dell’impresa da lui fondata. Sì, dico impresa perché non c’è termine più appropriato per decrivere l’idea di innovazione che permea ancora oggi ogni scelta di Ernesto Colnago.
A dodici anni vede all’oratorio un annuncio di lavoro come meccanico alla Gloria di Viale Abruzzi a Milano e da allora non si è più fermato. I pensieri scorrono soffermandosi talvolta sul compagno di scuola ingegnere, che oggi non c’è più, sull’amico dottore e immancabilmente sull’amata moglie, che ha lasciato un vuoto incolmabile. È così. L’uomo oltre l’azienda. Che desidera che tutto vada avanti, che tutto scorra e che tutto sia “a posto” come la penna che con precisione assesta davanti al blocco di appunti dove ama schizzare mentre parla. Una conferma che a volte non servono lauree per essere “ingegneri dentro”.
La sua storia di meccanico al seguito delle più leggendarie edizioni di Giro, Tour e Vuelta è nota. Ed è per sempre scritta l’origine delle sue fortune con Fiorenzo Magni, quando scoprì un’asimmetria al pedale che, corretta, debellò le sofferenze del campione che quindi lo presentò a Faliero Masi e lo introdusse come giovane meccanico nella sua Nivea-Fuchs. Sono passati 64 anni da quel giorno. Un numero che oggi dà il nome all’ultimo modello di casa Colnago, la C64 appunto.
Quello che tuttavia forse ancora non si conosce è la capacità di Ernesto Colnago di innovare anche nei progetti di comunicazione, nelle sinergie che ha saputo trovare con altre grandissime imprese italiane. C’è infatti tanta Ferrari intorno a me, nel suo studio. Modellini e tante foto appese alle pareti. Sì perché la grande avventura insieme alla Ferrari, o meglio, a Enzo Ferrari, ha generato il primo telaio in carbonio della storia.
È da quella intuizione che è cambiato il ciclismo. Due menti molto aperte si sono incontrate e hanno prodotto un’idea che fa venire i brividi da quanto ha potenziato “la macchina a due ruote”. E tante sono le speculazioni che si possono fare… chissà se Eddy Merckx avesse avuto il carbonio cosa avrebbe combinato. E un Fausto Coppi? Le fantasie si affollano nella testa e superano i confini delle squadre che furono. Tanto con i “se” non si fa certo la storia, ma spesso si immagina invece con più lucidità il futuro. Perché di fatto il futuro rappresenta l’urgenza di cambiare il passato, di plasmarlo secondo i propri sogni.
Così il futuro è ben radicato nel dna di Ernesto Colnago che presto, discorrendo di comunicazione e di come alla forcella diritta sviluppata da un’idea di Enzo Ferrari si può abbinare una strategia altrettanto diritta per raggiungere milioni di appassionati attraverso il web, ecco che sente l’esigenza di presentarmi al nipote Alessandro. Ovvero al futuro della Colnago. Perché nella mente di un esploratore di nuove vie c’è il naturale coinvolgimento dei giovani, a cui si delega l’onere e l’onore di traghettare il marchio verso nuovi traguardi.
Oggi ci sono clienti appassionati che cambiano bicicletta ogni anno, come se la bici fosse un software da aggiornare costantemente. Ed è commovente la lettera del ciclista coreano che ha sentito l’impulso di scrivere, a mano, una lettera personale ad Ernesto Colnago, per ringraziarlo della sua costante presenza al Giro e al Tour dove, dice, è possibile vedere i nuovi bellissimi modelli di bicicletta.
Oggi partecipare a queste grandi manifestazioni internazionali è diventato impegnativo. “Un tempo la bicicletta migliore si dava solo al campione, a Magni ad esempio – afferma Colnago – oggi tutta la squadra, ovvero 28-30 atleti, devono avere una dotazione completa composta da 4 biciclette da corsa e 2 da cronometro. Con centinaia di pezzi di ricambio. Solo la gestione delle ruote costa una fortuna“. Uno sforzo economico immane che tuttavia appare ancora molto determinante per dare visibilità, soprattutto a livello internazionale, ai nuovi modelli. La lettera dell’appassionato cliente coreano ne è la conferma.
Nel mezzo di queste considerazioni che non possono che sottolineare l’elevatissimo standard tecnico raggiunto nelle competizioni più importanti, sicuramente soprattutto grazie a uomini come Ernesto Colnago che arrivavano a produrre, anche solo per un singolo campione, come Merckx, ben 27 modelli in un anno, ecco che irrompe una telefonata.
È Vincenzo Nibali. La mia visita in azienda risale infatti a pochi giorni dopo il brutto incidente al Tour ed era quindi appena stata decisa l’operazione alla colonna vertebrale del campione, con la speranza di un recupero che oggi, a Vuelta conclusa positivamente, si è rivelato più che realistico.
E al telefono Vincenzo condivide con Ernesto la gioia di aver rivisto la sua bambina, Emma Vittoria, venuta a trovarlo in ospedale. Di lì capisco che il Signor Colnago, fin dai tempi di Magni, rappresenta per i campioni qualcosa di più del genio della meccanica quale è. Quel pedale da rimettere in asse era forse un’efficace quanto naturale metafora dell’anima del corridore, in cerca di sicurezza. Sicurezza e fiducia che l’uomo, oltre il meccanico, ha sempre saputo infondere non solo nei più grandi campioni, ma in tutti coloro che, nel mondo, semplicemente amano correre in bicicletta. E possono farlo sulle stesse, identiche, bici Colnago che affrontano le tappe di Giro e Tour e i pavè delle grandi classiche. Con la forcella (e la schiena) diritta.
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