Squalificata anche alla Randolario 2018? Con la mia pessima fama anarchica, avevo avuto la tentazione di scrivere un bel titolo-scherzo. Ma chi poi ci sarebbe veramente cascato? Alla Randolario forse l’unico modo per farsi squalificare è prendere il traghetto.
Sì perché la formula della randonnée, o meglio, della “rando” come amichevolmente viene chiamata dagli aficionados, è quanto di più simile esista alla libera pedalata in compagnia. Si spinge sui pedali se si vuole, si sta in gruppo o si sta da soli, senza la necessità di fare i conti con il cronometro. Perdipiù il clima, fin dalla partenza alla francese, cioè uno per volta per far segnare il tuo numero di pettorale agli organizzatori, è senz’altro molto rilassato.
Avevo già sperimentato la Randonnée dei Navigli lo scorso febbraio e sapevo cosa mi aspettava, ma questa volta l’incognita vera non sarebbe stata tanto l’atmosfera quanto la lunga durata promessa sulla carta: quasi 200 km.
Oddìo, i miei primi 200 km! Perché solo la domenica prima ne avevo raggiunti, per la prima e unica volta “solo” 160 e quindi, la prospettiva di farne una quarantina in più, con circa 2000 mt di dislivello, non era certo rassicurante.
Al suono della sveglia alle 5 del mattino non posso infatti negare di essermi proiettata, piccolissima, nella vasta geografia del lago di Como, come se fossi già un puntino in movimento nella mappa elettronica di Strava. E certamente un treno in Centrale che parte alle 6.20 non è la prima cosa che si immagina di una domenica di relax. Eppure, con stupore, non sentivo l’adrenalina un po’ terrorizzante che precede le Granfondo. Al punto che, eccezionalmente, la sera prima non avevo fatto la mia classica foto propiziatoria per Facebook con la bicicletta sul parquet circondata dai mille accessori, ma avevo lasciato scivolare via la vigilia come se l’indomani fosse un giorno normale, con una scampagnata giusto un po’ più lunga del solito.
E ho fatto bene. Il segreto per affrontare le randonnée è forse proprio questo: “normalizzarle” nella propria testa.
Il ritrovo alla partenza è con il gruppetto dei Makaki, ovvero l’ASD Makako Team Power, che da un po’ disegna le mie uscite domenicali. Ci sono Deborah e Tony, l’imbattibile coppia del pedale, Cisco, con i suoi tatuaggi sulle gambe che quando mi metto in scia non mi stancherò mai di guardare, Max, con le sue ampie spalle spazza vento e infine, fuori ad aspettarci, Stefano “il nero” che, come dice, non si è ufficialmente iscritto perché “i vecchi non si iscrivono” e giocano da outsider.
Superiamo il gonfiabile della partenza e subito siamo fermi in strada, a ricomporre il gruppo. Il Makako Team è infatti ben più vasto e se c’è la sezione “vaporetto“, con cui esco, che si definisce tranquilla, il “tram” è la parte veloce che costituisce il grosso dei partecipanti alla Randolario. Foto di gruppo e via, si parte veramente. Ben presto la nuvola verde fluo dei makaki veloci è già un puntino lontano, ma noi si tiene la nostra andatura, impostata da Stefano. E le gallerie in uscita da Lecco saranno le più veloci di sempre, risucchiati dalla nuvola della Mediofondo Casartelli, che divide con noi, per la gioia degli automobilisti, un bel tratto di lungolago lecchese almeno, mi pare, fino a Onno.
La sensazione di essere rapiti da un’accelerazione corale è davvero esaltante. E, come sempre nei grandi gruppi, si raggiungono velocità impensate. Ormai, con la mia esperienza nel Velodromo Parco Nord, riesco a tenere botta senza sforzo, regolando il fiato e la cadenza.
In un attimo siamo a Bellagio. E se ripenso al mio passaggio precedente in aprile, con le gambe di marmo che mi ritrovavo, mi pare già di vedere su Strava il puntino di questa seconda prestazione che s’impenna verso l’alto, a gratificare la mia ottima forma. Giunti a Nesso, sull’altra sponda del lago, mi sorprendo a chiedermi: ma dove sarebbe la famosa salita? Fino a Como è un gradevolissimo su e giù che spesso faccio in piedi sui pedali, niente di traumatico. Sento le gambe proprio leggere.
Ed è solo il traffico del capoluogo lacustre che smorza i toni di velocità raggiunti nei primi 50 km.
Non ricordo esattamente quando abbiamo raggiunto Claudio, ma è certo che a Como era già con noi. Claudio è un Makako-veloce, di quelli della nuvola verde sparita all’orizzonte nel primo chilometro. Non è in giornata a causa di un infortunio e quindi ha saggiamente deciso di non strafare e di godersi la rando al ritmo pacato del “vaporetto”. Tutti ci sentiamo molto gratificati ad avere un Makako top di gamma come lui ed è così che gradualmente ci si ritroverà a spingere sui pedali con più forza.
Ma attenzione! Prima di tutto c’è la salita di Schignano. Claudio ha casa proprio lì e mi spiega esattamente la salita. Adoro conoscere km e pendenza prima impegnare i tornanti. Per me è fondamentale per la gestione della fatica. Ingrano bene quindi, tutto giusto. Non esagero, ho ancora più di 100 km davanti a me. E un 6% medio di pendenza è perfetto, con i muscoli che sono già nella condizione di riscaldamento ideale.
Deborah rimane un po’ indietro con Stefano e sento quest’ultimo invitarmi alla prudenza. Ma io dentro di me ho la granitica certezza che devo andare al mio passo. Sono convinta che il discorso di non farsi influenzare dall’andatura degli altri in bici non valga solo nell’eccesso di velocità, ma anche per il suo contrario. Perché la bici è anche slancio e il suo lato opportunistico, così come per un bomber è l’intuizione dell’attimo del gol, per il ciclista consiste nell’agguantare l’andatura giusta per sè, che consente anche di campare di rendita, per inerzia.
Quindi: guai a rallentare, soprattutto in salita. Vai, vai, vai! Così come ti dicono le tue gambe.
E cosa dice, invece, lo stomaco? Al primo ristoro lo sguardo si posa sconsolato su tronchetti di banane e una crostata… mmm… ma a me non piacciono i dolci… “Ma… ma… come… non c’è neanche un panino al salame??” Esclamo d’impeto e tutti i volontari scoppiano a ridere. Devo averlo detto proprio con il tono di chi scopre di avere sbagliato il giorno della festa. Così, mossi a compassione (per me il salame è molto di più che un cibo, è un genere di conforto) ecco che in un attimo c’è uno che mi porge un po’ di grana e un altro un paninetto al salame fatto apposta per me! Che annaffio con un delizioso bicchierino di vino rosso leggero e asprino. Cin cin.
Il ristoro è il momento “social” delle rando e così ecco che Luigi con la sua fiammante color rame Wilier eroica, in prova per l’imminente appuntamento in Chianti, si presenta. Ci seguiamo su Strava. Oggi è l’occasione di stringersi la mano. E così è per Gianluca, che mi iscrive idealmente alla Coppa Tacconi (sarebbe bello! vediamo…). È quindi tutto un gran salutarsi e ritrovarsi, tra conoscenze virtuali che si traducono in realtà e ciclisti con cui ho già intrecciato le gomme in altre occasioni. Il ristoro nelle rando è veramente pericoloso. Ti fermeresti lì ore, a goderti la compagnia.
Per fortuna il gruppo-Makako sa quel che fa e così è Stefano che balza in sella per primo e riporta tutti all’ordine.
I restanti km tra ristoro e ristoro rimarranno a lungo impressi nella mia memoria come velocissimi. Un colpo d’ali nel vento e nel sole. Siamo più belli e più dinamici dei kite-surfisti di cui si intuiscono le silhouette all’orizzonte in controluce. E così è forse all’altezza di Acquaseria che ho percepito le gambe sbloccarsi. Come se l’armatura medievale indossata per sconfiggere la salita a Schignano si fosse dissolta. Davanti a me c’è il Makako-veloce Claudio e sono come ipnotizzata dal ritmo agile del suo stile snello, che muove lievemente la schiena, senza eccessi, con il fare tipico di chi è magro e quindi leggero e ha dunque bisogno di imprimere forza sui pedali con tutto il corpo. Abbiamo scoperto di essere coetanei. E all’unisono acceleriamo. E raggiungiamo nuovamente Claudio del gruppo 100.1 e Rachel, conosciuti dalle parti di Laglio, il feudo di George. Non posso che compiacermi di quanto siano belle le rando, dove ci si lascia e ci si ritrova, grazie alla strana legge della velocità applicata ad un percorso geografico comune. Per forza di cose si parla poco, ma nel silenzio si percepisce già tutta la spontaneità dell’amicizia tra ciclisti.
Le gambe frullano sempre più veloci. Questo è il “mio” tratto. Mi figuro di essere in velodromo, quando tutti in fila si vola sfidando il vento. Ma attenzione. C’è l’ultima salita in Valsassina a cui seguirà il “premio” del ristoro. L’affronto con metodo. Questa volta ci vado piano, pianissimo, mancano ancora una cinquantina di km, non si scherza. Così Claudio 100.1 ed io si sale insieme chiacchierando un po’. La conversazione in salita, quando non hai bisogno di usare ogni cm di polmone, è un ottimo antidoto alla fatica e a ciò che comporta mentalmente. Specie quando ti accorgi che hai la borraccia semi vuota e non puoi fare nulla se non desiderare ardentemente che si palesi, prima o poi, il secondo ristoro. E questa volta è stato più un “poi” che un “prima”, dopo tanta discesa, ma la bellissima fattoria in cui era allestito, con deliziosi formaggi da assaggiare, valeva tutta l’attesa. Anche senz’acqua.
Siamo alle battute finali. Si parla di un falsopiano che culmina in una breve salita, giusto un paio di km di ultima impennata, prima della lunga, gratificante discesa sulla Ballabio, fino a Lecco.
Nei finali drittoni con pendenza rimango un po’ indietro da sola, ma non è niente di preoccupante. Del resto qui ci vuole forza. E non ne è rimasta molta in dispensa dopo circa 160 km. Guai però a pensare che la domenica precedente ero già a casa un paio di km prima. Con impresso nel Garmin il mio primo record di lunghezza. Concentrati, su. È già il momento di superarsi. Al km 161 mi balza in mente l’emoji con la bottiglietta di champagne. Un piccolo festeggiamento molto intimo, ma intenso.
Poco prima della discesona finale ritrovo Claudio Makako Team che mi ha cavallerescamente atteso e nel breve si raggiungono insieme anche Claudio 100.1 e Rachel. Tutto concorre ad una chiusura in bellezza. E così sarà. Perché l’arrivo di una rando di 190.1 km (questo il mio percorso esatto) è qualcosa di eccezionale. E lo è ancor di più se ti senti bene, con le gambe che “ne hanno ancora”. Incredibile!
Ad attenderci ci sono birra e bresaola. E l’immancabile foto di gruppo finale, con tutti i Makaki del “vaporetto” arrivati a pochi minuti, separati da noi da quella misteriosa, affascinante, insondabile variante che è la velocità che ciascuno riesce a trovare in sé.
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