La seconda edizione della Deejay 100 sarebbe stata la mia quarta esperienza di Granfondo, dopo due randonnée, e quindi in me albergava quella tranquillità che solo un po’ di esperienza può regalare.
Tuttavia sapevo già che sarebbe stata una corsa veloce, ma… accidenti, quanto veloce!
Il suo bel percorso piatto dove gli unici strappetti sono costituiti dai cavalcavia di fatto è come una pista di velodromo. E l’unica voce che puoi ascoltare e riascoltare dentro di te è: menaaaaa!
Così l’idea che mi ronzava in testa da un po’ era appunto quella di andare lì e menare, mettercela tutta, spremere tutte le energie di fine stagione. Così, giusto per vedere di nascosto l’effetto che fa.
E le premesse si sono rivelate subito buone. Nel breve tragitto da casa alla partenza, così, infilo un Qom bello dritto su Strava senza neppure accorgermene. In strada non c’era nessuno. E allora… menaaaa!
In attesa del via…
In prima griglia la bella sorpresa di incontrare Carola Bonalli, super assessora allo sport di Castano Primo. La piccola, bella cittadina scoperta l’anno scorso nel giro di InLombardia questa volta rappresenta il giro di boa del percorso. So già che l’attraverserò in velocità, resistendo all’impulso di fermarmi al ristoro. Ma non sarò l’unica. Anche Carola eviterà gli onori di casa e tirerà dritto in cerca di gloria.
Insomma, come avvisava Alfredo Zini, il consigliere FCI che avevo sentito qualche giorno prima nonché “cartografo” di questo percorso veloce della seconda Deejay 100, alla mia ingenua battuta che avrei provato a “fare classifica” mi aveva avvisata: “eh ma ce n’è di forti quest’anno…“.
Quindi già Carola immagino mi seminerà nel breve e poi, volgendo lo sguardo intorno, ne vedo di donne sicuramente nella mia categoria W2 e dalle loro faccine acuminate dal vento sfidato con successo in una vita intera, tipo Maria Canins, capisco che l’unico mio obiettivo può verosimilmente essere quello di correre meglio dell’anno scorso, andando a tutta. E poi si vedrà.
Magari il nuobvo challenge può essere fare meglio di Justine Mattera. Abbiamo più o meno la stessa età e ci siamo ritrovate da poco proprio grazie al ciclismo. Ci eravamo conosciute ai tempi, quando lei era appena arrivata dagli USA ed io l’avevo vestita tutta di bianco, con l’abito di un brand che gestivo allora, per il Festivalbar.
Il punto è che Justine in griglia per ora non c’è e quindi in attesa che si palesi, prima o poi, Carola ed io scattiamo selfie con qualche brividino di freddo. Ma quando si parte?
Tutti sono pronti e schierati. Linus in prima fila. C’è anche l’assessore allo sport di Milano, Roberta Guaineri. Brava che la fa anche quest’anno. Sono certa che riuscirà a finirla.
L’atmosfera è radiosa, anche se il sole per ora non c’è e si percepisce quella tipica adrenalina sotto all’insegna della partenza. Sono le delizie della prima griglia. Avere alle spalle più di mille ciclisti che scalpitano per scattare veloci al via è un po’ come essere il coperchio di una pentola a pressione. Con la valvola chiusa. Così sento un filino di inquietudine, forse anche per la posizione. Per stare con Carola mi trovo infatti spostata a sinistra, la corsia veloce, mentre io più prudentemente di solito mi piazzo a destra, la corsia dei futuri sorpassati.
Ma questa volta va così. È imperativo menare.
Alla partenza al “km 0” subito a 40 km/h!
E credo infatti di non essere mai partita così veloce. Va bene che il gruppone risucchia, ma io questa volta, anche dopo il km 0 quando la macchina in apertura che dovrebbe regolare la velocità si fa da parte, ce la metto tutta e riesco a stare nel mucchio dei primi. A più 40 km/h. Si va veramente forte. E più di una vocina prudente mi avvisa: guarda che poi la paghi. Ma niente, non mi voglio ascoltare. C’è il diavoletto che mi urla: menaaaaaa! Ed io non posso fare a meno di dargli retta.
Ecco improvvisamente Justine. È un tratto così veloce che riesco appena a salutarla senza neppure potermi girare per uno sguardo d’intesa. Del resto siamo ancora nel pieno ciclone delle prima fase e, circondate da centinaia di ciclisti che, comunque disciplinati, pestano sui pedali, ogni minima distrazione può essere fatale.
Corro quindi. Corro avanti. Più con l’idea di scappare dalla pazza folla che con l’intento di fare bene. Era comunque questo il piano. Cercare da subito di partire veloce, di stare nel primo gruppo. Per evitare di ritrovarmi come l’anno scorso nel solito “mezzo” che mi aveva condannato alla solitudine (e al vento). Troppo lenta per stare con quelli veloci, troppo veloce per stare con i più scrausi.
Invece questa volta no. Riesco a galleggiare nell’occhio del ciclone.
E allora scatta il piano della fase due: a breve dovrò trovarmi un bel treno a cui agganciarmi. Sì perché come sempre, a differenza delle mie simili che spesso sono blindate in gruppi che le tutelano come se fossero una coppa piacentina dop, oppure godono dei favori di un gregario grande e grosso come uno stayer completo di moto, io corro da sola. E il bello è proprio questo perché puoi scegliere il tuo tram.
Nel cuore della gara
A proposito di tram. Ma dove sono i Makaki? Non si vedono in giro le tipiche maglie verde fluo, neppure quelle del gruppo “Tram”, quello dei Makaki veloci. Visto il feeling di questi ultimi tempi, fatte con loro un po’ di scorribande brianzole o lecchesi devo dire che proprio mi mancano. Anche se dovevo immaginarlo. Alle scimmiette agili piace arrampicare e qui non c’è nessuna banana da cogliere sul ramo più alto. Niente GPM, solo una pista bella piatta, pronta a farsi solcare da cacciatori di Kom provenienti anche da fuori. Sì perché qui di gruppi locali ne vedo pochini. Anche i Brontolo non sono troppo visibili. Ci sono invece tanti, ma proprio tanti “forestieri”. E così l’idea di prendere un treno inizia a mostrare le sue lacune. C’è chi va troppo forte ed io vedo che il cuore è già a 176 bpm. Niente paura, tutto normale, il mio cuore va così, è piccolo e deve battere le alette velocemente come un colibrì. Però, insomma… meglio non esagerare. Anche il fiato è da un po’ che sembra infrangersi come l’onda tempestosa sugli scogli degli alveoli. Provo ad allargare la cassa toracica. Funziona. E le gambe? Tutto bene. Passata la foga della partenza mi ritrovo a fare un check generale. Polpaccio? Presente. Ginocchia? Presenti. Testa? Si si, eccomi. Spalle? Ah no… non ci siamo: rilassare subito!
Ecco così non resta che una cosa da fare: menare. E ho menato così tanto che al primo intermedio raggiungo quasi la media dei 37 km/h. Da non credere! Certo, di treni ne ho visti passare e, a differenza dell’anno scorso, non ho neppure attaccato conversazione. Però come si fa? Qui tutti sembrano aver messo in programma la modalità “daje tutta” e quindi spazio per i convenevoli non ce n’è.
Incontro Omar, amico del Velodromo Parco Nord. Che bello vedersi! Niente pettorale per lui. La corsa passava sotto casa e così, pronti via, si è giustamente aggregato. Il ciclismo è così e non sopporto quelli che in questi casi guardano storto chi è senza numero. La strada è di tutti e se non ti frega nulla di avere un chip alla ruota o un pacco gara pieno di volantini che andranno a ingrassare il bidone bianco in cortile, perché dovresti iscriverti?
Così con Omar ci si incrocia spesso, ma ognuno per la sua strada, alla propria velocità. Voglio evitare l’effetto gregario. Il senso dell’esperimento è: saltare di treno in treno. Il bello è questo. Come il Sagan che piace a me, quello che fa dell’opportunismo un’arte nobile e riesce a vincere con onore dopo che ha succhiato la ruota al suo antagonista. Perché con Sagan hai la prova che la testa vale più delle gambe ed entro un confine sottile ci può sempre essere il risultato etico.
Così anche senza maglia iridata e neppure quella tricolore – ho imparato che guai a metterla in una gara di tipo diverso da quella che hai vinto – salto di treno in treno. Accidenti c’è sempre un gruppetto più avanti da inseguire e raggiungere con l’ultimo fiato. E mai però ho mollato a metà un inseguimento. In questi momenti ti rendi conto che tutto è fondamentale. Non sganciarsi dai gruppi che tirano, non perdere quelli più veloci che passano, non staccarsi dalla ruota di quello davanti a te. Tutto conta. E tutto quindi è tirato al limite.
Posso raggiungere il tipo del Team 100.1? Sì dai ci provo. Adesso che sono qui dietro mi riposo un attimo. Anche troppo. Il tipo ha rallentato. Allora non posso stare più qui, mi sono riposata abbastanza. Mi aggancio a quello con il nr 1440. Sembra averne ancora e va almeno a 38 km/h. Vai! Agganciati! Tra poco raggiungiamo il gruppo davanti e allora sarà il paradiso. Ma pochi minuti dopo aver raggiunto l’agognata carovana e il gruppo si sfilaccia, si disgrega. Gli è tutto da rifare! Come diceva il buon Bartali. E subito ci si trova a inseguire di nuovo, all’infinito. Mentre la strada quasi non la vedi e il cuore al massimo scende di qualche punto quando sei dietro a qualcuno, ma va sempre a tutta. Specie dopo gli infiniti rilanci alle rotonde. Guai a scendere di rapporto. Ti ritrovi a metri fatali da chi ti precede. Se non spingi in piedi sulla sella perdi subito la ruota.
Altro che “piattone noioso” come poteva dire qualcuno. Qui tra scatti, fughe e inseguimenti è più tosto che in Brianza. E quando non riesci neppure a guardare una mezza volta il panorama, con l’asfalto che scorre con la velocità di quando dai gas alla Vespa, è certo che l’adrenalina non ti molla mai. E mena con te. Cannibale di Qom.
Da Abbiategrasso in poi, secondo e ultimo giro di boa, il vento è contro e si fa dura. Ma sono nel gruppo dei “Magni – nuova abrasivi”, un nome, un programma di gloriose accelerazioni. Mi sento subito della squadra. E loro per primi sono attoniti sulle medie altissime raggiunte. “Su, dai, stiamo a prendere l’aperitivo qui? Con le patatine e le olive?” …nel mentre si sfrecciava ad una media di 38 km/h.
Poi per fortuna incontro il barbuto Andrea che, insieme ad un gruppetto di amici, mi aveva già traghettato per un buon tratto verso Castano Primo. Ha una BMC, ovvero bici-amica e, soprattutto, la mia stessa velocità. Com’é come non è ci si ritrova a parlare. Dopo tanto tempo in silenzio pensavo uscissero dalla mia bocca solo grugniti e rantoli e invece no. Si conversa amabilmente. E così scopro che siamo coetanei a livello di bici (si corre da quasi due anni) e quasi coetanei anche anagraficamente. Orgogliosamente più anziana io. Vedi il destino? È Andrea il predestinato che accompagnerà i miei ultimi km. Gli “concedo” l’onore di tagliarmi l’aria… eh beh, me lo sono meritato!
Quest’anno però, sul finale, niente sverniciatura del team dei veneti, che se l’erano legata al dito e all’arrivo, ritrovandosi, hanno voluto una foto con me, forse per farmi le corna a Photoshop nel loro blog. Quest’anno invece sgasata finale in solitaria, con Andrea apripista e un solitario attraversamento di traguardo in favore di telecamera con plastico sopra sella. Ebbene sì, quest’anno ho sverniciato me stessa: 31 minuti meglio della Deejay 100 dell’anno scorso.
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