Mai come in questo periodo ho sentito l’urgenza di approfondire il tema della sicurezza in bicicletta. Dopo la mia dibattuta squalifica alla Gran Fondo Milano avevo infatti chiesto, proprio per capire di più, un’intervista sul tema a Cordiano Dagnoni, presidente del Comitato Regionale Lombardia della Federazione Ciclistica Italiana.
Intervista ancora inedita perché nel frattempo avevo da raccontare le uscite con l’ultimo sole della stagione. Oggi si aggiunge un caso altrettanto dibattuto sui social del Comitato Velodromo Vigorelli, ovvero gli organizzatori della bellissima manifestazione Vigorelli-Ghisallo, giunta ad una quarta edizione che sfortunatamente è partita in contemporanea all’allarme meteo in Lombardia.
La mattina in cui sconsolata decidevo definitivamente di abbandonare, avevo scritto un commento sotto alla foto dei partenti al Vigorelli esprimendo un mio parere personale. Parere che consisteva nell’idea che probabilmente sarebbe stato meglio rimandare l’evento visto che il tempaccio avrebbe decimato gli iscritti e visto che la sicurezza dei pochi partecipanti sarebbe stata messa a rischio non certo per colpa degli organizzatori, ma a causa dell’asfalto scivoloso, del vento e della scarsa visibilità. Problematiche che non si risolvono andando più piano, visto che le strade sono di tutti, non sarebbero state chiuse e visto che la convivenza tra gruppi numerosi di ciclisti e automobilisti non è mai perfettamente gestibile quando sussistono certe condizioni. Già lo è poco in condizioni meteo normali…
A seguito del mio post parecchi amatori avevano concordato con me sul fatto che un rinvio della manifestazione sarebbe forse stato più assennato, esprimendo con likes o commenti analoghi il loro pensiero. Tuttavia dal tenore delle risposte degli organizzatori, probabilmente piccati dalla mia osservazione come se riguardasse la loro macchina organizzativa che, da quello che si è visto ha fatto tutto il possibile e di più per fronteggiare al meglio la situazione, mi sono resa conto che pochi, anzi davvero pochissimi sanno come si affronta veramente il tema della sicurezza e perché il buon senso oggi non è più sufficiente.
È giunta quindi l’ora di sbobinare una parte della lunga intervista a Cordiano e vedere come le sue parole siano illuminanti in tal senso. E facciano comprendere meglio tutta la complessità dell’argomento.
Ma prima di affrontare questo delicato discorso occorre senz’altro presentare l’uomo che oggi occupa il più alto scranno della nostra FCI regionale.
Cordiano è il figlio di Mario Dagnoni, uno dei più grandi stayer che abbia mai dato gas al Vigorelli e a sua volta sa fare questo mestiere, insieme al fratello Christian, piuttosto bene. Cordiano Dagnoni è oggi anche il presidente della FCI Lombardia.
E se qualcuno pensa che queste due anime siano inconciliabili tra loro si sbaglia di grosso.
Sì perché in veste di presidente Cordiano ha la stessa mission di quando fa lo stayer: schermare il vento a pro e amatori perché corrano soprattutto divertendosi.
Ed è in questa ottica che si può comprendere meglio l’operato dell’attuale board della FCI lombarda. Intanto sono oggi “al comando” persone giovani, ma di esperienza. Con un buon pedigree a livello familiare, come ad esempio Alfredo Zini, consigliere, il cui papà con il suo ristorante toscano a Milano ebbe a soddisfare più di un palato ciclistico. E la tradizione continua Al Tronco con il figlio. Oppure Fabio Alberti, pluricampione iridato amatori su pista. Un uomo su cui tanti appassionati possono contare.
Così Cordiano coltiva la sua tradizione familiare insieme al fratello, conservando con amore in un piccolo museo le prodigiose macchine scherma-vento che erano non solo del padre, ma anche di altri indimenticabili professionisti del tempo che fu. Un tempo che talvolta può essere “ancora”. Sì perché queste grandi moto, accrocchiate nel ‘900 da pionieri della meccanica, sono ancora gagliardissime e spesso c’é quindi l’occasione giusta perché Cordiano e Christian le portino fuori a farsi un giretto, magari anche al Vigorelli, in qualche dimostrazione oggi amatissima soprattutto da quei giovani che stanno riscoprendo il brivido intenso e le gioie della pista.
Ma ecco quindi le parole che Cordiano ha scambiato con me in fatto di sicurezza. Preciso che la conversazione riguardava principalmente le Gran Fondo, ma alcune tematiche sono trasversali e la sicurezza spesso più che legarsi alla velocità di una gara riguarda, come vedremo, i grandi gruppi. O meglio, gli assembramenti numerosi.
Randonnée e Gran Fondo, due modi diversi di intendere il ciclismo amatoriale, eppure simili in termini di gestione dell’itinerario. Si percorrono tanti chilometri, e tanti lo fanno su strade aperte. Come lo vedi questo discorso in Lombardia? Abbiamo tanto traffico… come si può intrecciare meglio la Gran Fondo al territorio considerando la problematica della sicurezza?
“In effetti hai toccato due tipi di competizione che sono simili, ma hanno una netta differenza perché la randonnée ha la partenza alla francese per cui ciascuno parte quando vuole e il tempo se lo prende da sé senza dover competere direttamente contro qualcun altro. Compete con se stesso e poi alla fine può vedere i suoi tempi. Tuttavia lato sicurezza ci sono molte problematiche dato che le randonnée hanno le strade libere. È difficile infatti bloccare percorsi così lunghi per tempi altrettanto lunghi.
Le Gran Fondo hanno invece un’impostazione più da competizione vera e tuttavia, anche in questo caso, spesso il numero considerevole dei partenti non consente di avere una sicurezza sempre ottimale perché il problema di qualsiasi gara, anche le gare tradizionali, è sempre quello di ottenere i permessi dei Comuni per passare. Ci sono tantissimi Comuni, addirittura Prefetti che non rilasciano le autorizzazioni per le gare ciclistiche perché sono sorti degli episodi dove il corridore che cade perché prende una buca fa poi causa al Comune. Così può sempre succedere, a causa di questi episodi, che il Comune interessato decida di risolvere il problema alla radice: non consento più il passaggio così evito rischi legali.”
Ma voi come FCI supportate gli organizzatori?
“C’è la possibilità di fare un’assicurazione federale. I più attenti la fanno. Anche noi con il nostro gruppo sportivo quando facciamo le gare stipuliamo un’ulteriore polizza per essere tutelati maggiormente. Però, ripeto, la difficoltà risiede principalmente nella burocrazia dei permessi per passare nelle strade gestite dai diversi Comuni. Spesso i permessi di passaggio si ottengono solo con un tempo limitato per cui quando hai una Gran Fondo il Prefetto o il Comune ti dice: Ok puoi passare da me, ma hai un quarto d’ora di tempo. Capisci quindi che questo limite così stretto va a compromettere un po’ tutto.”
Però si potrebbe calcolare prima, no? Cioè se una Gran Fondo mette nel regolamento che puoi raggiungere il lungo in 3 ore e poi riceve un veto da una Prefettura che impone di accorciare i tempi non sarebbe meglio avvisare tutti alla partenza piuttosto che cambiarlo in corsa? Così gli organizzatori eviterebbero critiche e malumori…
“Purtroppo spesso i regolamenti vengono fatti quando si imposta la gara e prima di aver svolto tutte le pratiche burocratiche. Per cui quando poi ci si trova di fronte al Comune che ha l’amministrazione nuova o il comandante dei vigili che è cambiato e ti dice ‘ah no, qui più di un quarto d’ora non ti consento il passaggio’, allora gli organizzatori cercano di adattare tutto un po’ al volo e diventa davvero difficile, credimi. Io capisco poi il partecipante che viene colto di sorpresa però proprio dal punto di vista organizzativo ci sono dei problemi esagerati. Quello che noi vediamo nel momento della gara è solo la punta dell’iceberg. Tutto il lavoro che sta dietro è notevole.”
Certo, è pregevole infatti… anche solo tutti i volontari alle rotonde, le moto…
“Adesso calcola che è obbligatorio avere gli ASA che sono questi addetti ausiliari che tengono in mano la bandierina. Cioè non può essere l’amico che metti lì, semplicemente con la bandierina in mano. Deve essere una persona autorizzata che ha fatto un corso e i corsi li fa solo la Federazione.
Un’altra problematica che abbiamo riscontrato a livello organizzativo è che hanno deciso che la Protezione Civile, una volta molto utilizzata per i servizi stradali di assistenza alle gare, non può più fornire questo tipo di supporto logistico.”
E perché?
“Adesso c’è il decreto Gabrielli che va a riprendere tutto un discorso di sicurezza per gli eventi di massa che anche lì… diventa tutto soggettivo, purtroppo. Ogni amministrazione tende ad interpretare questo decreto a modo suo. Un conto è un evento in uno stadio dove la gente è contenuta in uno spazio chiuso e quindi bisogna considerare le vie di fuga, il piano di evacuazione ecc e un conto è una manifestazione all’aperto. Ma c’è chi invece ha provato ad applicare il nuovo decreto Sicurezza anche nelle gare di mountain bike, cioè in un bosco!
Per quanto riguarda la protezione civile invece abbiamo cercato di sopperire al problema dell’impossibilità di coinvolgerli direttamente facendo fare a quegli stessi volontari i corsi di ASA. Pensa però che anche se sono appartenenti alla protezione civile nel corso delle gare non possono più presentarsi con la loro divisa, che potrebbe conferire maggiore autorevolezza, ma devono indossare la semplice pettorina gialla.”
…che sicuramente incute meno timore agli automobilisti. Eterni antagonisti di noi ciclisti…
Insomma, cosa ho imparato da Cordiano lato sicurezza? Che è un tema su cui non è il caso di improvvisare.
E aggiungo questa frase illuminante da una lettera carina di riflessioni che mi ha mandato in seguito al mio articolo il Direttore di Gara della GF Milano, Luca Asteggiano, ovvero il “terribilissimo” che, a ragione, mi aveva squalificato: “Lei non ottemperando alle disposizioni impartite dalla Direzione Corsa tramite l’addetto che l’ha indirizzata sul percorso più breve ha messo a repentaglio la sua sicurezza. Ad esempio un soccorso che scendeva dal monte o altro come lo avrebbe affrontato visto che pensava di essere in gara?”
Già… e chi ci aveva pensato? Così oggi sono forse diventata più realista del re e agli amici che organizzano Gran Fondo, gare, randonnée o semplicemente belle gite in gruppo mi viene da chiedere: ma se causa meteo le strade dovessero sostenere il passaggio di mezzi di soccorso, quanto può intralciare un gruppo numeroso di ciclisti seppure ad andatura lenta e prudente? E se qualcuno infilandosi in una buca coperta dall’acqua anziché rimediare solo una fastidiosa foratura si facesse male? Farebbe causa al Comune che non ha sistemato il fondo stradale? E quanto tutto questo potrebbe ostacolare gli organizzatori di successive manifestazioni che dovrebbero chiedere i permessi di passaggio su quella stessa strada?
In una regione difficile per il ciclismo come la nostra Lombardia, bella da fare invidia dal punto di vista agonistico, ma molto problematica lato traffico, ogni scelta, secondo me, dovrebbe essere fatta non soltanto pensando all’interesse del proprio evento o con una visione focalizzata sul breve termine. Bensì tutto andrebbe rivisto in un’ottica di più ampio respiro. Di collaborazione e di dialogo con i Comuni e le Prefetture, con tutto il supporto che la nostra FCI potrà dare. Per evitare che, nel lungo periodo, accumulandosi un percepito negativo, i ciclisti possano essere stigmatizzati e quindi osteggiati nel loro diritto più sacrosanto e cioè quello di poter correre nelle nostre strade con lo spirito libero di sempre.
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