È in arrivo il secondo vero inverno da quando sono dotata di bicicletta in carbonio ed è quindi fondamentale accendere i riflettori sui “sintomi” di quella che, a tutti gli effetti, sembra una vera e propria fase di decrescita. Ovviamente infelice.
È così, non si sfugge al karma del ciclista. Anche se i professionisti oggi d’inverno corrono sempre, anche dall’altra parte del globo per aggirare l’ostacolo del freddo, sembra che invece per gli amatori, ovvero i comuni mortali, ci sia il momento fisiologico in cui si deve rallentare, per ricaricarsi e ripartire poi con il muscoletto rinnovato e scattante la prossima primavera.
Quindi anche se a fine ottobre o all’inizio di novembre tutto sembra normale… è fondamentale fare molta attenzione, specie se si decide di fare il solito giretto di 100 km e più in Brianza. Perché la temibile “cotta”, ovvero la stanchezza improvvisa e ineludibile che rischia di non farti tornare a casa, è in agguato come un gattaccio selvatico che punta alla sua ignara lucertolina.
Naturalmente io, dopo una stagione esaltante in cui ne ho fatte di cotte e di crude (cotte al punto giusto però) come il Muro di Sormano o la Randolario di 190 km, con la maglia tricolore del Campionato Nazionale Giornalisti Ciclisti e le sempre più numerose e riuscite scorribande in compagnia dei Makaki, ci sono cascata in pieno, nel tranello stagionale, ed eccomi così alle prese con una vera, incredibile, “crisi di fame” o “cotta” o tutte e due le cose insieme.
Non poteva quindi mancare una raccolta descrittiva dei sintomi, o meglio, dei segnali che è ideale saper ascoltare. Perché il camion scopa, nelle uscite fra amici, non c’é. E zavorrare un intero gruppo non è bello…
1. Velocità relativa
Corri tutta una stagione a più di 30 km/h, senza neppure stare in scia e improvvisamente, mentre pedali con lo stesso impegno, ti cade l’occhio sul Garmin e leggi “25 km/h”. Oddìo saranno scariche le pile del sensore della velocità? Ci sarà una nube magnetica che impedisce a Strava di leggere quanto sei gagliardamente veloce? No-no, tutto giusto… tranne il fatto che sei entrato nella modalità invernale ed è un po’ come in quegli incubi in cui corri sui cuscini e sprofondi nella lentezza del bradipo.
2. Colazione con l’acido lattico
L’unica certezza è che non si scalderà mai. Il muscolo, che già tende di suo ad essere un diesel, con i primi freddi sembra volerti dire: “non ci provare, baby, io questa volta non vengo con te. Se appena appena provi a forzarmi un po’ ti inondo subito di acido lattico come se piovesse“. Per carità Sig. Muscolo. La lascio sicuramente tranquillo. Niente scattini, promesso. E comunque niente da fare. Basta un misero cavalcavia ed ecco che subito la scusa è buona per fare i capricci.
3. Polmoni in gabbia
Se l’alveolo con il freddo tende a rattrappirsi e a chiudersi meno generoso rivelando un’ostile e motivata diffidenza verso l’aria umida, ecco che la sensazione è che la gabbia toracica sia rigida come una voliera che tiene prigioniero il fringuello che c’è in te. No di certo: i polmoni non spiccheranno il volo. E tu rimarrai desolato ad ascoltare l’inquietante affanno su quella stessa salita che in luglio avevi fatto fischiettando come un usignolo. Sarebbe meglio, rimanendo in tema di pennuti, emigrare nei mari del Sud.
4. Ciao ciao
Sei con il solito gruppo, ti senti apparentemente bene, ma… dopo un po’ di km all’unisono come se fosse un giorno normale incominci ad assistere alla brutta scena della ruota che si stacca. E metro dopo metro ti accorgi che stai perdendo inesorabilmente il treno. Ecco alla prima lieve salita sono già dieci metri. Poi venti. Poi trenta. Oddìo a questa rotonda saranno usciti alla prima o alla seconda? Dopo un po’ si spera che qualcuno ti noti perché, più che stare in disparte, sei proprio assente. Naturalmente la cocciutaggine impedisce di sillabare la minima richiesta di aiuto. Lasciatemi qui ragazzi. Mi basta un caricatore, vi copro io le spalle…
5. Nouvelle cuisine
Attenzione: questo paragrafo non sia letto da chi ha lo stomaco debole. Tutto vero! Proprio come in “Mondo Cane”. Ed è capitato a me, non a “mio cugino”.
Due domeniche fa, di ritorno da un giro in Brianza molto tranquillo, ma che per il mio stato letargico invernale si era comunque rivelato troppo intenso, avevo così fame, ma così fame da avvertire la sensazione che lo stomaco stesse iniziando a mangiare se stesso. Il miraggio dell’invito al barbeque da amici che mi avrebbe sfamato una volta rientrata a Milano stava diventando assillante. E non aiutavano di certo i profumini di sugo sospesi come la nebbia di Circe intorno a case e paesini.
Così, improvvisamente, ecco la prova devastante che sei preda della tristemente nota “crisi di fame”. Quella che spesso capita a Fabio Aru, per intenderci…
A bordo strada, veloce come un pugno allo stomaco, arriva una scena che normalmente dovrebbe generare ribrezzo. E invece no. Scopri che quel grosso-grasso topo di campagna spiaccicato con tutta la sua rossa teoria di budella evase dalla loro sede naturale e sparse sull’asfalto è, ahimè, stuzzicante come una gustosa salamella al barolo. Te l’immagini sfrigolante sulla griglia e allora… sì, la fame l’è proprio una brutta bestia!
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