Cosa c’è dietro un forte talento, cosa c’è dietro un intenso guizzo creativo? In primis c’è un complesso balance personale, esistenziale… che oscilla… delicatamente.
Dietro l’abito di un designer – di cui magari tutto il circuito moda parla – dietro un suono di un musicista – che ti fa venire la pelle d’oca – o in questo caso dietro il lavoro di un sound designer, c’è sempre alle spalle, un equilibrio intimo, un vissuto che spazia, si muove, si attorciglia in tormenti, solitudini, sensibilità, ondeggiando tra vuoti, sentimenti, gioie, felicità e frastuoni interiori a volte estremi. L’estremo visto come trasformazione del malinconico in bello ed elegante, del malinconico in unico… un unico creativo senza tempo, senza trend, senza mode.
Questo linguaggio è il tratto del creativo, di colui che lascia una traccia per sempre, diventando – nel suo ambito – il numero uno.
Tutto questo è un dono, è quell’ essere umanamente presente alla realtà ma vivendola – attraverso il proprio genio in questo caso musicale – nei suoi lati più sottili, plasmandoli e proteggendosi in una culla sicura dalla quale poi “buttar” fuori capolavori unici.
Matteo Ceccarini è esattamente riflesso perfetto di quanto sopra. Il Sound Designer – un numero uno al mondo… e nel suo settore i primi sono veramente pochissimi … tre forse esagerando, è un visionario solitario, un uomo solido che comunica nell’ordine: concreta ed equilibrata virilità, una “sacra” visione d’insieme ed uno spiccato linguaggio – da scavatore della propria anima – che butta fuori attraverso la musica.
Ceccarini è l’uomo che da anni racconta nel suo modo atemporale, la moda, gli abiti, le scarpe, gli accessori, le collezioni di stagione in stagione… degli stilisti. E lo fa con i suoni, le vibrazioni, la ricerca e i suoi forti richiami musicali tra i quali ci sono Philip Glass, Bach, Sakamoto, Jarre, il musicista estone Arvo Part e tanti altri.
Ceccarini è anche l’uomo che traccia, mixa, sceglie e sta dietro la consolle dei più importanti eventi e party internazionali … … da St Moritz a New York fino a quelli per esempio sul Lago Maggiore.
Il ricercatore musicale come ama ripetere, è uno che sta nel suo … ovvero ha scelto coraggiosamente di non voler seguire tendenze, mode… ma di ragionare invece con il proprio ed unico getto creativo. Mai sovraesposto, dosatamente mondano e complesso nella sua semplicità, l’ho incontrato questa settimana per Focus On.
Mi racconti il perfezionismo di Gianfranco Ferrè con il quale hai iniziato. Come vi siete conosciuti? Io ho iniziato con Ferrè… ci siamo conosciuti nel 1993. All’epoca facevo il D.j. creativo, di tendenza, di musica molto poco commerciale e lui venne a La Gare, un locale di Milano dove io quella sera, avevo la mia consolle e rimase colpito dalla mia musica che era inusuale. Io suonavo Sakamoto, gli Art of Noise oppure Jean Michel Jarre diciamo una musica, che oggi sembra forse banale, ma che all’epoca non suonava nessuno. Mi disse subito che la voleva per la sua sfilata così tramite il suo regista Sergio Salerni ci vedemmo l’indomani. Io non avevo mai fatto una sfilata… ma imparai questo mestiere da Gianfranco che mi insegnò che cosa è un vestito, una camminata, una pura e vera scenografia.
La musica immagino deve essere in armonia con tutto il contesto di una sfilata. La musica deve incastrarsi perfettamente con tutta una serie di elementi: con le ragazze, l’altezza dei tacchi, la location, il mood, l’inverno, l’estate…E soprattutto con il brand perché ogni marchio ha la sua musica, la sua identità. Ecco Ferrè mi ha insegnato tutto questo…
Dicono che fosse un grandissimo perfezionista… Lo era. Gianfranco aveva un carisma unico, mi ha insegnato il perfezionismo. Io devo tantissimo a lui, a Giorgio Armani e a Vivienne Westwood. Loro sono la storia del mio mestiere. Da Ferrè ho imparato l’attenzione maniacale per i dettagli … dalla Westwood ho imparato la rottura … nel senso che lei è una donna che ha un potere di associazioni mentali che non ho mai visto in vita mia.
In che senso, cosa vuoi dire? … ricordo che durante una conferenza stampa un giornalista le chiese a cosa servisse ormai l’etichetta sui vestiti… e lei rispose tranquillamente che serviva a capire da che parte questi dovevano essere indossati. Vivienne ha un’intelligenza luccicante, sottilissima, con una conoscenza della musica che va dal punk a Mozart.
Lei era oltretutto anche la moglie di Malcom McLaren ricordo. Esatto… e ripeto, è una persona veramente colta. Ciò che voglio dire è che oggi secondo me non c’è una vera cultura. Oggi purtroppo uno “attacca” due vestiti ed è subito chiamato stilista …. ma va benissimo perché questo è un momento fatto così. Ma ritornando ai nomi che ti sto facendo erano – nel caso di Gianfranco, che purtroppo non c’è più – e sono – nel caso di Vivienne e Giorgio – profondamente esperti del loro mestiere … nel senso della loro profonda e vera competenza in ogni minimo dettaglio … compresa la conoscenza delle asole di un abito… Non voglio con questo guardare solo al passato ma credo che oggi manchi davvero la sostanza, spazzata via da questo “mordi e fuggi” generale.
Come si racconta un abito attraverso la musica? Tornando a Ferrè, lui mi faceva registrare e lo abbiamo fatto più volte nelle sfilate, i suoni dei vestiti. Per esempio durante uno show, Naomi Campbell indossava una lunga collana di corallo, la collezione era ispirata all’Africa e mi disse di seguirla con i microfoni attaccati. Ecco che quando lei camminava, creava una serie di suoni così speciali quasi come di “strisciamento” che uniti a lei che sfilava creavano un suono amplificato unico, speciale. Ferrè aveva un concetto della materia molto avanzato… e come se vedesse un vestito a strati… ovvero percepiva che cosa questo richiamava, nel tessuto, nella forma, riusciva in poche parole a creare delle vibrazioni. I suoi abiti erano delle esperienze, erano delle vere opere d’arte che ti davano un’immagine astratta, delle emozioni e che ti richiamavano a degli archetipi. Questo era il concetto di Ferrè: ovvero uscire dall’attuale e diventare una specie di eternum. Se tu guardi un suo abito del 1997 è oggi ancora attuale. Lui da architetto quale era, lavorava sull’architettura… perciò allo stesso modo di come vengono fatti i palazzi e questi rimangono li .. anche dopo anni e anni… ecco così era la sua moda.
Se gli stilisti si rivolgono a te e perché cercano il tuo stile … ecco a questo punto mi chiedo come si riesce a trovare un equilibrio tra ciò che desidera lo stilista e il tuo linguaggio musicale che deve comunicare i loro abiti? Io dico sempre che se chiami un pittore, non puoi fargli fare poi l’imbianchino. Uso sempre questo esempio. Nel senso che quando gli stilisti mi chiamano questi si lasciano guidare … anche i più grandi. A parte Gianfranco Ferrè che mi ha insegnato tutto nel 1993 – quando io avevo appena 22 anni – ma che poi alla fine prima della sua scomparsa ormai mi lasciava fare… il meccanismo è esattamente identico a quando si va da un sarto, un parrucchiere, o a quando ti affidi ad un regista… ecco ti devi lasciar guidare. I designer mi raccontano la loro storia, vedo la collezione, la tocco, vedo il casting e a quel punto mi ritiro in riflessione, metto assieme una serie di effetti, di musiche … ma anche dei silenzi, delle parole, delle poesie, perché esiste anche una cosiddetta non musica. Al termine della mia ricerca che poi rivedo assieme allo stilista capita magari che alcuni aspetti vengano leggermente modificati in base alla durata di alcune uscite in passerella.
Alcuni designer hanno la nomea di essere molto rigidi sul lavoro… Com’è lavorare per esempio con Giorgio Armani? Armani è una persona dolcissima. Dalla mia esperienza personale Giorgio è ripeto dolcissimo, velocissimo. Parlando più in generale, essere duri a quei livelli è inevitabile per poter gestire un carico di responsabilità come quelle. Tutti loro hanno un lato da Samurai. Armani è un uomo dalle decisioni veloci, istintivo. La sua moda, le sue sfilate sono perfette, sono degli eventi davvero unici.
Se dovessi definire più nello specifico lo stile Ceccarini? E’ poetico, epico e molto molto fisico, quasi muscoloso. I miei suoni sono una poesia nella quale non ti perdi, non ti distrai, ma ne rimani profondamento coinvolto.
Che cosa ti suscita la musica quando l’ascolti? La musica che poi scelgo, deve prima di tutto emozionarmi. Per questo motivo io non riesco a fare quello che mi viene chiesto da altri. Può capitare che arrivi magari un nuovo designer con il quale non ho mai lavorato, che mi indica di usare dei pezzi che magari non sono in linea con quello che ho in mente. A quel punto preferisco rinunciare al lavoro. Della musica mi piace quello che mi evoca perché questa in pratica è in grado di fissare un’emozione senza parlarti. Pensa a quello che succede per esempio in un film quando sei davanti ad una scena d’amore o di suspance … il sottotesto ti viene dato dalla musica che ti indica con il suo ritmo, cosa sta per accadere in quella scena del film. Ecco io lavoro su questo sottotesto, il mio mestiere è proprio quello di creare un’emozione muovendo una dimensione sotto il parlato. La musica che mi emoziona è quella che va a toccarti dei ricordi… è una forma invisibile di evocazione…. come succede per esempio con un profumo che ti riporta a dei ricordi a delle sensazioni.
E i ricordi però posso essere anche non piacevoli. Esattamente. Proprio per questo è necessario stare molto attenti a quello che si fa. La musica, può creare anche angoscia… è perciò da “maneggiare” davvero con cura .. perché con questa si possono fare anche dei danni per esempio scegliendone una magari troppo predominante rispetto agli abiti che stanno sfilando in passerella.
La musica è in grado – creando un’atmosfera così speciale – anche di far vendere una collezione? La musica può far vendere meglio una collezione ma può anche rovinare una sfilata. Se la musica dello show non funziona, è sgradevole, anche se gli abiti sono bellissimi questa può con il suo essere spiacevole mettere il pubblico che guarda la sfilata talmente a disagio, da fargli dimenticare la collezione. Anche se oggi non credo che questo succeda perché la musica è diventata un po’ un accompagnamento, nel senso che non c’è più l’attenzione che c’era prima. Diciamo per essere più chiaro che se la collezione è forte, una musica forte ti potenzia il tutto facendoti vendere di più. Se invece la collezione non è bella, non vende a prescindere dalla musica.
Sei consapevole con il tuo lavoro di non essere solo un DJ.? Direi che sei più un musicista. Neanche … io credo di essere più un ricercatore musicale.
Ed è un dono avere un orecchio musicale? Lo è certo. Ma fa parte delle attitudini come chi sa per esempio disegnare … e chi no. Io cerco di onorare questa mia attitudine. Ma tutto nasce ancora prima…, dal percorso personale che ognuno di noi ha. Io sono stato un adolescente un po’ complesso, soffrivo. Ricordo che mi chiudevo nella mia camera, negli anni 80, ed ascoltavo Ennio Morricone. La musica per me era una sorta di barriera di suoni che mi faceva da scudo, una specie di bolla nella quale proteggermi da un mondo esterno non accogliente dove non sentivo tanto calore.
Era singolare che tu a 14 anni ascoltassi Morricone e non il pop dei Duran Duran per esempio. Sai, se all’epoca ascoltavi i Duran Duran avevi una percezione della realtà più superficiale. Io invece ripeto soffrivo … ed ascoltavo della musica triste, più intensa. Così a livello incosciente mi sono dedicato alla musica strumentale, emotiva, per elaborare la mia sofferenza. E in questa musica ho trovato un conforto perché mi faceva sentire meglio il mio stato d’animo. Tutto ciò mi ha permesso e mi è servito poi per arrivare ad un perfetto punto di gestione del suono perché facendo questa elaborazione fin da piccolo con l’andare avanti, mi sono accorto che attuando questo percorso su me stesso potevo farlo anche sugli altri. Ripeto tutto è nato da un disagio profondo di sofferenza…
Questo disagio oggi da adulto, lo hai risolto? Non l’ho risolto del tutto … perché alcuni vuoti te li porti sempre dietro… Quando una persona si è sentita non amata … un po’ di quel vuoto ti rimane… quell’abisso rimane li che ti guarda … a volte di più, a volte di meno.
Un disagio Matteo che è un dono positivo non frequente … altrimenti non si spiegherebbe come i più importanti sound designer siano pochissimi al mondo. Che rapporti hai con i tuoi colleghi? Incrocio ogni tanto Michel Gaubert… che saluto sempre volentieri.
Che cosa pensi della moda oggi? E’ un mondo superficiale secondo te? Perché tu non lo sei per nulla. La moda oggi penso sia radicalmente cambiata rispetto a 30 o 40 anni fa e credo che sia lo specchio del tempo che viviamo. La moda è adesso… e parlando dell’oggi essendo un momento storico apocalittico verso il basso, anche questa è proiettata verso il basso. Per il resto credo che sia un settore molto profondo ma fatto di gente superficiale. Questo contrasto è divertente, perché se si va a vedere nello specifico la moda vera non è l’abbigliamento, perché c’è una bella differenza. Intendo dire che da una parte c’è l’abbigliamento dall’altra parte c’è la moda. Fare una sfilata non significa sempre fare moda che invece è un qualcosa di molto serio e profondo.
Che cosa ha di profondo? La ricerca, l’espressione.
E oggi c’è ancora la ricerca nella moda? Chi ti piace e sta facendo secondo te un bel percorso? Certo che c’è. Lasciando da parte i colossi, mi piace Marco De Vincenzo ma piace a tante persone. Anche se in questo ambiente bisogna avere le spalle grosse e per aver successo devono incastrarsi tra loro tutta una serie di fattori. Insomma non è semplice. Mi piace poi da sempre Alessandro Dell’Acqua, lui è veramente una bella persona, ha una vibrazione positiva, è una persona buona e fa il suo mestiere con grande passione. Anche Manuel Facchini ha una visione interessante, e sta facendo un percorso sorprendente.
Ma paga in questo ambiente essere delle persone buone? Alla fine si … alla lunga si … essere buoni è un grandissimo pregio.
Che cosa pensi di questo giro di poltrone ora molto frequente, dove i Direttori Creativi durano all’interno di un marchio poche stagioni? Penso che questo meccanismo sia orribile, che sia diabolico spremere questi talenti. Credo che degli artisti come questi non possano stare al soldo delle multinazionali… Non avremmo avuto Picasso o tutti i grandi nomi dell’arte se fossero stati al soldo di qualcuno. Credo che si sia rovinato un concetto di stile – che infatti non esiste più – per il profitto. Credo che questi giri di poltrone siano terrificanti, se fossi uno stilista non starei a questo schema. Credo che sia un gioco sbagliato e mi chiedo come gli stilisti decidano di assecondarlo.
Io ti osservo parecchio e ho notato la tua grandissima riservatezza ed il fatto che ti si vede in poche occasioni anche mondane. In questo periodo di sovraesposizione mediatica attraverso i social media per esempio, tu come vivi questo momento? Lo vivo con una certa angoscia. Io cerco per esempio di andare solo dove c’è da fare qualcosa che abbia un senso. Sono sempre stato della teoria dell’assenza più che della presenza. Non sono uno di quelli che si sente appagato a farsi vedere continuamente.
Sei uno diplomatico? Posso esserlo ma anche non esserlo. Il mondo nel quale lavoro lo conosco molto bene… e ho avuto anche degli scontri ma devo dire che mi muovo serenamente in questo settore. E tornando ai social media credo che non sia ragionevole esporsi troppo perché esaurisci quello che hai da dire. Credo che uno debba stare parco con la sua energia e quando si espone deve farlo per raccontare davvero qualcosa. Io cerco di fare questo.
Sei una persona solitaria vero?Assolutamente. Io sto benissimo da solo … ma in primis bisogna star bene con se stessi.
Tu oggi stai bene con te stesso? Non si sta mai bene con se stessi … ma devo dire che sto sempre meglio.
Che rapporto hai con il sacro? Totale. Il sacro è tutto, è eterno. Io sono stato tanti anni in Asia. Sono rispettosissimo della sacralità delle cose e se non le rispetti, non sei riconoscente verso la vita.
Torniamo alla musica. Pensi che esistano i trend nella musica? Tu li segui? Esistono purtroppo e continuano a cambiare. Adesso per esempio c’è la trap. Io però non li seguo e non voglio farmi inquinare… non mi interessano, non sono la mia storia, non li amo, mi fanno paura, non amo ciò che delinea l’oggi… perché io non sto nell’oggi, io sto nel sacro. Quando fai questo mestiere come lo faccio io o se vai a vedere anche quelli degli altri tipo Ferrè o Peter Lindbergh… loro con il loro lavoro non stanno nell’oggi ma stanno nel loro.
Quindi sei uno di nicchia? Assolutamente. Quando mi chiamano per i dj-set io per esempio metto musica lirica… ed è divertente a volte, perché arrivano in consolle e mi chiedono: “Quando inizi?” Ed io rispondo che veramente ho già finito la serata. A me i trend ripeto mi fanno molta paura… sono per me puro consumismo, è un sistema che alla fine ti fa perdere la tua strada. Io ho deciso invece di trovarmi il mio universo personale… e i lavori che faccio oggi saranno perfetti anche tra qualche anno.
Chi sono gli artisti che non mancano mai nelle tue selezioni musicali? Quelli che non mancano mai sono quelli come Sakamoto, che sono puro concetto, che non conoscono il passare del tempo, oppure Bach oppure Arvo Pärt … Diciamo che non mancano mai gli artisti che muovono le emozioni che ti evocano delle immagini… che ti fanno fare un tuo viaggio mentale.
Con la tua famiglia hai vissuto questi anni a Londra ma ora sei tornato a vivere a Milano perché? Siamo al momento tornati a Milano perché credo che la situazione a Londra con la Brexit, abbia compromesso tutta una serie di energie. Per esempio oltre ad altri problemi, tutto il tessuto underground della creatività londinese, fresco, giovane, non esiste più perché la città è troppo costosa per poter permettere ad un giovane creativo di vivere in town. Tutto questo si è spostato, e sono dell’idea che oggi i punti di riferimento in Europa siano Berlino, Lisbona e Milano. A livello mondiale invece è New York perché è l’unica città dove quando accade qualcosa, questa ha una portata e risonanza mondiale… tutto il resto è provincia. Perciò vista la situazione londinese della Brexit abbiamo deciso di rientrare e sono felicissimo di essere a Milano perché ora la trovo una città brillante e luminosa, anche se oggi uno deve essere comunque leggero e pronto a muoversi.
Un’ ultima domanda. Che tipo di Padre sei? Oggi quali sono le cose che contano per te? Oggi conta il tempo che passo con le persone che amo.. questo è il vero lusso. Non serve a nulla guadagnare tantissimo se poi non stai mai con tua moglie e i tuoi figli. Conosco persone che guadagnano tanto con una vita che scorre tra un aereo e l’altro.. e che magari non conoscono i loro figli e questi ultimi non conoscono il loro Padre .. Credo che tutto ciò sia una follia. Il mio denaro è stare con la mia famiglia. Non so che Padre sono … Faccio però davvero del mio meglio cercando di essere sempre il meno egoista possibile, questo è il segreto per essere un bravo genitore.
Fonte foto: Elite Model World