Abbiamo incontrato Piero Cividini, fondatore del brand Cividini, punto di riferimento in tutto il mondo per la maglieria di lusso.
Come è nata questa avventura del brand Cividini? L’avventura è nata 30 anni fa. Anzi, è nata qualche tempo prima quando, per caso, da studente sono capitato in un maglificio durante le vacanze estive per guadagnare i soldi per fare le vacanze che piacevano a me. Da lì sono entrato in contatto con questo mondo che ho trovato da subito interessante, particolare e speciale. Più tardi ho avuto la possibilità di collaborare con questa azienda inizialmente per quanto riguarda la parte commerciale e poi per l’aspetto prodotto. La storia ha avuto il suo seguito quando insieme a mia moglie (anche lei casualmente nello stesso settore) ho dato vita alla mia squadra. Poi abbiamo aperto un nostro studio di consulenza, per iniziare, alla fine degli anni ’80, a lavorare su una linea nostra, che prevedeva maglie di cashmere. Tutto era orientato alla tecnologia, ma noi ci siamo subito distinti per la nostra produzione artigianale e probabilmente questo è stato ciò che ha destato l’interesse del pubblico italiano e internazionale. Passo dopo passo abbiamo realizzato collezioni, presentazioni e sfilate, fino ad arrivare ad oggi.
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Esiste ancora il maglificio in cui ha fatto la prima esperienza? No, non esiste più. Era una piccola azienda che mi ha messo in contatto con questa realtà.
Un ritorno al passato. Un po’ come accade oggi. Noi abbiamo sempre avuto questo tipo di impronta, quindi per noi non si tratta di un’operazione di marketing, ma riguarda proprio la nostra essenza. Quello che abbiamo fatto ultimamente è stato rimettere questo assetto sotto ai riflettori, dato che l’ambiente generale presta molta attenzione a questo aspetto. È però un qualcosa che noi facciamo da sempre, è ciò che ci ha fatti conoscere e crescere.
C’è qualche persona, oltre sua moglie, che in questi 30 anni è stata particolamente influente e importante nella storia di Cividini? Sicuramente il mio maestro, Conrad, che è stata la persona che mi ha insegnato a lavorare. Da questa conoscenza è nata una collaborazione speciale che mi ha portato a questo punto oggi.
Vi fermate mai a pensare a tutto quello che avete creato in questi anni? C’è magari qualche aneddoto che avete voglia di condividere? La cosa che mia moglie mi ricorda sempre risale alla prima volte che abbiamo presentato la collezione in pubblico, perché in quei giorni era nata nostra figlia. Finito l’evento e le vendite, sono andato in ospedale a vedere la bambina è ho detto: “Se fosse una maglia la rifarei!”. Ogni tanto mia moglie mi rinfresca questo ricordo!”.
Vostra figlia è quindi da sempre all’interno della realtà aziendale? Lei dopo la laurea è stata 3 o 4 anni in azienda con noi. Adesso sta facendo un’esperienza all’estero presso altre aziende del settore e quando sarà il momento tornerà per prendere in mano l’azienda.
Vedremo una collezione che ripercorre questi 30 anni? Direi di no, non è una citazione di quello che abbiamo fatto negli anni. Si tratta di una collezione che non guarda al passato, o meglio, guarda al passato solo come ispirazione. Non stiamo facendo edizioni del passato.
In questi 30 anni qual è stato il cambiamento più grande che avete dovuto affrontare? Magari l’avvento del web? Sicuramente l’avvento del web ha sconvolto il sistema, così come ha fatto in tutti i settori. Tuttavia le regole di fondo, nonostante l’avvento del web, non sono cambiate. Certo sono cambiati i mezzi, ma non le regole. Lavoro senza tregua, correttezza commerciale e prodotto di qualità restano per noi invariati.
Lei è d’accordo con quello che hanno detto Dolce&Gabbana sostenendo di voler tornare alle origini puntando solo sui giornali cartacei? Credo che sia una cosa da prendere con le pinze, sarebbe un po’ come dire che tutti dovrebbero andare in giro esclusivamente in bicicletta: sotto un certo punto di vista potrebbe andare bene, ma sotto altri aspetti è un qualcosa di impensabile. Posso concordare con loro dicendo di non voler dimenticare quello che è stato, sia nel mondo della comunicazione, sia nel proprio lavoro.
A chi volesse avviare oggi un’azienda nel mondo della moda, quale sarebbe il più grande consiglio che si sentirebbe di dare? Direi di non farlo! Serve un fisico bestiale, perché non ci sono orari e le scadenze da rispettare non perdonano. Per fare tutto questo servono equilibrio fisico ed equilibrio mentale. La creatività è fondamentale, ma il fisico bestiale è necessario per reggere ritmi e pressioni. Non ci sono mai certezze: chi fa il nostro lavoro è precario per eccellenza”.
Avete difficoltà a trovare alcune figure professionali? C’è un problema che si sta facendo strada, ovvero quello di garantire il ricambio generazionale. I nostri interlocutori cambiano e noi dobbiamo adattarci sempre al loro punto di vista. Altra cosa che riguarda l’interno delle aziende che collaborano: quando ci sarà il cambio di generazione si dovranno trovare giovani disposti ad imparare passo dopo passo, interpretando le regole volta per volta.
Fonte foto: Guitar / Cividini