“La scrittura come un bisturi per la mia anima”. Un’immagine forte da pensare… dolorosa da vivere ma curativa dell’essere.
Enrico Tommasi con questa frase, ha fatto – in un colpo solo – luce sul senso del suo bellissimo libro “I ragazzi di Via Boeri” (Primiceri Editore) appena presentato a Milano.
Sulla carta parla Enrico. E nello specifico, l’Enrico ragazzino… che mette piede a Milano per proseguire i suoi studi e scopre forse per assurdo, che quella lontananza da casa – forse traumatica, pesante, ripeto … dolorosa – é invece il primo passo, per la costruzione del suo io-sereno, la via iniziale per mettere pace in tutto e per tutto, con un’interiorità traballante… fatta di un percorso familiare tradizionale, classico forse… ma alla fine non in linea con il disagio di un ragazzino che cerca la strada per guarirlo.
L’arrivo a Milano è il suo cambiamento, la rassicurazione trovata tra sconosciuti compagni di studi… che diventano poi famiglia accogliente… come accogliente – nella Milano degli anni 80 – per Tommasi è anche quella milanesità apparentemente chiusa ma profondamente calorosa, che è stata il primo step della sua guarigione … del suo diventare uomo.
Tra comitive di ragazzi, pagine che sottolineano la sua malinconia di quel periodo fino ai passi più divertenti che raccontano la leggerezza di quell’età, lo scrittore mette a nudo se stesso senza paura… perché solo così si riesce a trovare – a volte – la strada per la propria rinascita.
Ho incontrato Enrico Tommasi questa settimana.
Che cosa ha significato per lei mettere a nudo in un libro, il suo animo, il suo cuore… e in qualche modo, degli aspetti della sua vita che anche sotto forma di racconto sono comunque molto intimi… personali? Devo dire che per me farlo è stata un’operazione naturale e in alcuni momenti, quasi involontaria. Tutto ciò probabilmente ha avuto una valenza psicoterapeutica perché attraverso la scrittura, che per me è un vero e proprio bisturi dell’anima, si riescono a toccare delle corde profondissime che io sono riuscito poi a plasmare rivedendo oggi il mio passato – con le sue salite, le sue curve e difficoltà – con serenità. Ecco attraverso questo percorso io mi sono riappropriato di me stesso.
Che cosa c’è oggi di quell’Enrico raccontato nel libro? Lei è riuscito a superare in toto quella forma di malessere interiore … che a volte ci lascia tante domande perché apparentemente il suo contesto familiare di provenienza era assolutamente normale. Oggi in me dell’Enrico del libro, c’è sicuramente la sensibilità nei confronti del prossimo. Cerco sempre anche nel mio lavoro, di avere una certa attenzione ed umanità verso gli altri. Malessere … guardi le dico che fino ai diciotto anni sono stato – e tutto ciò è scritto nel libro – pesantemente balbuziente, perché evidentemente assorbivo in maniera negativa tutte le tensioni familiari. Ecco nel momento in cui mi sono allontanato da queste, mi sono reso conto che nel giro di sei mesi iniziavo a parlare meglio… Ecco Milano mi ha consentito di liberarmi dell’ambiente nocivo nel quale vivevo.
Ad un certo punto lo staccarsi dalla propria famiglia è importante per tutti… Ma a questo proposito che valore hanno le conoscenze che – una volta lontani da casa – piombano nella vita di ognuno di noi? Sicuramente le amicizie da me fatte dall’ 80 in poi in quel momento erano una sostituzione degli affetti familiari. Parliamo anche di anni dove la comunicazione con la propria famiglia era fatta – all’epoca – di una telefonata alla settimana da una cabina a gettoni. Non c’era la tecnologia di oggi e tutto il calore umano, era compensato da queste amicizie. Per questo penso che i rapporti intrecciati in quegli anni siano un po’ come quelli tra commilitoni … Io dico sempre che tutti noi abbiamo una sorta di tatuaggio interiore, un qualcosa che ci accompagna per tutta la vita.
Il cambiamento è sempre difficile… e nel suo caso è stato terapeutico. Secondo lei i giovani d’oggi con tutta la tecnologia a loro disposizione che rapporto hanno con i cambiamenti così radicali? Sicuramente hanno una vita più complessa rispetto a quando noi avevamo la loro età.
Più comoda o più complessa? Credo più complessa … perché i punti di riferimento sono assolutamente “evaporati”. Nel senso che io vengo comunque nonostante tutto, da una famiglia che fisicamente c’era ed era fatta da una vita più semplice con una demarcazione tra ciò che si poteva fare e ciò che non si poteva. Voglio dire che gli stimoli che provenivano dall’esterno, erano all’epoca per esempio i canali della televisione mentre oggi c’è un tale bombardamento mediatico da creare nei ragazzi una vita parallela… virtuale. Voglio dire che c’è un forte distacco tra la vita social e quella reale.
Una realtà virtuale dove tutto è perfetto… Esatto… ma è un sistema questo che avvicina le persone lontane ma allontana quelle vicine. Guardi per esempio in metropolitana dove non ci si guarda più negli occhi ma tutti hanno la testa bassa occupati con il loro telefono… una schiavitù.
Com’è cambiata Milano in questi vent’anni? Per me è cambiata moltissimo. Diciamo che all’epoca del mio arrivo … la “milanesità” io la sentivo molto nel senso che venendo dal Meridione mi dicevano per esempio “terrone” ma e questo può essere paradossale, io in tutto ciò sentivo l’affetto. Con questo voglio dire che il loro era un intercalare non offensivo ma faceva parte del codice buono del milanese che… accoglie. All’epoca io sentivo in questa città ancora la realtà del rione. Oggi invece ci sono sicuramente dei grandissimi miglioramenti … e Milano è diventata una città europea. Voglio dire che secondo me oggi non c’è più quel senso della provincia e ripeto del rione – che all’epoca mi rassicurava perché mi faceva ritrovare degli aspetti che avevo lasciato – per un ragazzo che arriva in questa città. Tutto cìò penso renda un trasferimento più difficile. Sicuramente oggi la città esteticamente è più bella ma trovo che un ventenne che ci arriva magari da una realtà più piccola, sia più facile che si perda perché ci sono meno riferimenti … tutto è molto più orizzontale.
La lettura è sicuramente un’evasione. Lei che rapporto ha con i libri? Devo dire che sono molto settoriale nelle letture. Sono un grande appassionato di storia e credo che questo nel libro si percepisca. Non posso dire però di essere uno che ha letto i grandi classici e non ho una cultura enciclopedica su quelli che sono i migliori autori del momento. Diciamo che mi piace leggere le storie degli uomini all’interno della … storia.
Oggi la lettura e i libri in quale direzione stanno andando? Io credo che tanta gente compri dei libri ma che poi questi vengano lasciati lì senza essere letti. La mia sensazione è che spesso – magari prima delle vacanze – comprino in libreria vedendo le copertine e magari leggendo poi solo le prime venti pagine. In poche parole.. anche se i libri si vendono poi la lettura è secondo me in diminuzione.
Quali sono ora i suoi prossimi progetti? La mia sfida è capire se la scrittura sia solo legata all’aver voluto raccontare il mio percorso autobiografico oppure se è un dono da utilizzare per raccontare altro. Il destino con me ha sempre avuto una buona dose di creatività… ed ora voglio accogliere anche questa direzione che mi sta indicando.
Fonte foto: Terenzi Communication