Sei figli e uno sguardo da Peter Pan che confessa una voglia di giocare infinita. Tenera istruttrice di babywearing e feroce guerriera sui pedali nell’eterna sfida contro se stessa. Capace di fare il giro del Garda in notturna e terrorizzata alla sola idea di un paio di centrifughe al Velodromo Parco Nord dove, appunto, si è vista molto raramente.
“Ho paura in velodromo – mi dice sempre – andate troppo veloci”. Salvo vederla alla partenza della Granfondo Milano solo per i primi 3 minuti… poi è già oltre. Naturalmente a fare il lungo con i più veloci, uomini o donne che siano.
Questa è la mia amica-ciclista Sarah Cinquini. E aggiungo l’aggettivo “ciclista” proprio perché è un rafforzativo. Le amicizie che nascono con la bici godono di quella schiettezza un po’ maschile che alle donne male non fa.
E nel giorno in cui c’è una prima volta per una donna che diventa presidente della Commissione Ue, racconto l’avventura dell’unica donna che ha fatto (e finito) nel 2019 l’impressionante Transdolomitics Way. Una “unsupported ultracycling challenge” che propone la bellezza di circa 1.300 Km non stop sui passi dolomitici con 27.700 mt di dislivello. Però niente paura… l’organizzazione non ti lascia mai solo e potrai sempre contare, ad esempio, sul “telo di sopravvivenza”, sul fischietto o sul campanellino, giusto per rimanere nel tema Peter Pan, che è d’obbligo portarsi da casa. Così recita la home page della gara. E meno male che qualche “comfort” è concesso!
Questa che racconto, attenzione, è una storia che possiede anche un inatteso risvolto magico…
Ma andiamo con ordine e, soprattutto, disciplina. Disciplina di cui Sarah è maestra perché, ad una fortissima emotività, sa controbilanciare una lucidità degna di un meccanismo svizzero.
Sentita al telefono a botta calda, dopo oltre 5 giorni di pedalata e una giornata scarsa di riposo, il primo ricordo che affiora è il ginocchio. Quello di cui erano saltati i legamenti soltanto quest’inverno per quella stupida sciatina che ha rischiato di compromettere la stagione ciclistica? “No no – precisa Sarah – da non credere ma è l’altro che mi faceva male. Così ho passato gran parte del tempo con gli antidolorifici. La maggior parte dei ritiri è stata infatti causata da problemi alle ginocchia“.
Il secondo ricordo è per Omar Di Felice, vincitore assoluto a pari merito con Mattia De Marchi, che le ha offerto un caffè. Di lui, penso mentre Sarah mi racconta l’episodio, mi colpiscono sempre i selfie che pubblica su Strava mentre macina km: occhio pallato e sorrisetto, ricorda l’Ermes etrusco in terracotta. Con Sarah si conviene che no, di gente normale che fa queste cose non ce n’è…
Eppure di Sarah è proprio la “normalità” che stupisce. Una non-professionista che ha iniziato pochi anni fa a correre “sul serio” e comunque sempre per svago che riesce a fare queste cose.
Sarah è partita da sola con le sue sacche sulla bici. Si è costruita in testa le sue “tappe mentali” e le ha semplicemente affrontate. Una dopo l’altra. E così eccola arrivare bella pimpante sullo Stelvio, dormire tre ore, da mezzanotte alle tre del mattino, affrontare la discesa e il Mortirolo, poi menare di brutto con il compagno Folletto Verde Roberto per non perdere il traghetto e attraversare il Garda, poi affrontare la salita e trovare un alberghetto sempre per tre ore di sonno… il tutto pedalando 14 ore filate al giorno/notte, mangiando in corsa qualche panino e con un’escursione termica dai 30° con la luce, fino ai 5° della notte.
“Dopo 14 ore di pedalata continua si diventa più fragili – dice – e spesso bastava un nonnulla per farmi piangere. Magari anche solo 50 mt nella direzione sbagliata… per questo ho preferito staccare i contatti con casa. Ascoltare i bambini avrebbe acceso la mia parte sensibile…”
Si perché per affrontare queste avventure epocali ci vuole il massimo della capacità di concentrazione e convinzione. “A cosa pensavi mentre pedalavi?” “Più che altro ascoltavo musica, anche perché il pensiero ossessivo nei primi 700 km era quello di non farcela. Poi, superati i 700, si è rovesciato in positivo… ‘ce la faccio, ce la faccio…’ e mi dicevo anche che se ero lì era perché stavo facendo quello che avevo sempre voluto fare“. Nota sulle proporzioni: alla De Rosa Granfondo Firenze (sotto il diluvio) io ho pensato le stesse cose dopo i primi 60 km. Per la serie: quando anche gli zeri valgono moltissimo! Ascoltandola fin qui sembra davvero che sia stata una passeggiata, anche perché Sarah, a poche ore dallo sforzo, non ha il minimo dolore alle gambe e chiacchiera bella sveglia come se fosse reduce da un week end in spiaggia.
Però c’è sempre un “però”. E quello di questa storia si palesa prima sotto forma di pioggia e freddo ad Asiago, che la costringono ad anticipare la sosta a Bassano del Grappa, dove dovrà asciugare i vestiti con il phon nel solito albergo delle “3 ore di riposo” e poi si materializza in un bello sfasamento di ritmo e orari che, con gli antidolorifici per il ginocchio, iniziano a metterla in difficoltà. E siccome il fato non guarda in faccia a nessuno ecco che è proprio in queste situazioni già al limite che arriva il potenziale “colpo di grazia”.
Verso San Boldo accade ciò che non dovrebbe mai accadere nei momenti difficili: una disgraziatissima foratura. Che sembra far crollare tutto. Sì perché Sarah aveva montato i tubeless con la camera d’aria, per essere leggera e sicura al tempo stesso, ma i residui di mastice rendevano inamovibile la gomma dal cerchione…
Ed ecco allora che ancora il fato, il destino, o forse la divina provvidenza, chissà, si materializzano in un’altra donna appassionata di ciclismo.
Sarah, ti presento Anna Marika. Tu non la conosci ancora ma lei è lì che ti segue da giorni, grazie al gps online della gara, perché Stefano, il suo amico-ciclista e mio amico di Strava, che ho incontrato finalmente di persona al “Giro E” a Croce d’Aune, le ha trasmesso tutta la gioia che si prova ad andare in bicicletta. E così Anna Marika a 45 anni ha iniziato a fare qualche randonnée di 200/300 km e tanto si è appassionata a seguire quella Sarah che, unica donna, sarebbe transitata proprio dalle parti di casa sua. Convinto il marito a raggiungere in macchina uno dei passaggi del percorso “Dai ci tengo tanto, andiamo a battere le mani a Sarah!” e pensandola persino straniera, perchè è proprio difficile per noi donne italiane immaginare che una normale donna italiana possa fare cose così incredibili, ecco che Anna Marika è lì in strada con gli occhi puntati sul gps aspettando il passaggio di Sarah. Che non arriva… strano! E infatti il puntino sulla mappa è fermo nel paesino di Niccia. Cosa sarà successo? Andiamo in macchina a vedere…
Così ecco che si scrive da sola la storia perfetta. Che posso persino raccontare dai due punti di vista.
Quello di Sarah: “Ero disperata, non riuscivo a scollare la gomma, sentivo che tutto era finito… stavo piangendo e a un certo punto arriva una che scende dalla macchina, mi abbraccia spiegandomi che è una mia fan… incredibile… poi il marito porta a casa la mia ruota e con il temperino sistema tutto! Un miracolo!”
Ed ecco quello di Anna Marika: “Arrivo in macchina e la vedo che si tiene la testa tra le mani, poareta! Sarah! Sarah! La chiamo, le corro incontro, l’abbraccio la consolo… Non ti preoccupare, non è finita, la bici si aggiusta! Mi vengono ancora le lacrime agli occhi a pensarci…”
E vissero felici e contente. Sarah con il suo percorso concluso in bellezza dopo oltre 5 giorni, 1.300 km e circa 22.000 mt di dislivello e Anna Marika con il ricordo indelebile di aver fatto parte di un disegno magico, che senz’altro le farà amare ancora di più il ciclismo.
Sembra una favola… e la è. Ed è vera come tutte le vere favole. Così com’è vero il senso dell’amicizia che corre sulle ruote della bicicletta, che accende gli animi, che mette elettricità alle gambe e ci fa compiere piccoli-grandi miracoli.
In questa storia, come spesso può accadere, un semplice puntino su una mappa gps si è rivelato in tutta la sua luminosa realtà. E ha vinto. Amor omnia vincit.