La versione “nuova” dell’attore, produttore, sceneggiatore e regista Jon Favreau è la ripresa accurata di ogni singolo passaggio della storia di Simba, rimaneggiata solo leggermente e allungata di circa una mezz’ora in più: erede al trono di papà Mufasa (voce di Luca Ward), il piccolo leoncino si ritiene responsabile della morte di quest’ultimo, quando in realtà si tratta un complotto ordito dallo zio Scar (Massimo Popolizio).
Fuggito lontano dalle terre del branco, Simba si fa adulto (Marco Mengoni) e segue uno stile di vita spensierato (Hakuna Matata!) suggeritogli dal suricata Timon (Edoardo Leo) e dal facocero Pumbaa (Stefano Fresi).
Finché un giorno l’amata leonessa Nala (Elisa) non lo trova e, come se fosse la voce del destino, gli ricorda qual è il suo posto nel cerchio della vita. Con la colonna sonora originale di Hans Zimmer, gli arrangiamenti sonori delle canzoni scritte da Tim Rice e Elton John e con l’aggiunta di due singoli, “Il re leone” è un film che incanta grandi (nostalgici) e piccini.
Bisogna ancora una volta lodare la maestria della Disney nell’arte dell’animazione in CGI: si tratta infatti ben più del “semplice” ricreare criniere e pellicce, e del renderne il movimento e le reazioni alla luce realistiche, ma di far rivivere un vero e proprio habitat naturalistico e faunistico attraverso il digitale.
Altro punto di forza del remake è la caratterizzazione dei personaggi, dalla tenerezza del momento in cui Simba viene presentato alla savana alla commozione (mai superata) per la morte di Mufasa, dal timore suscitato da Scar e dalle iene fino alle fragorose risate scatenate dagli intramontabili e simpaticissimi Timon e Pumba.
Come se fosse parte a sua volta di quel famoso cerchio della vita, così il film si rigenera e reinventa, in un’evoluzione che porta al superamento dei propri stessi successi e dona al pubblico situazioni nuove e sensazioni che riscaldano il cuore, generazione dopo generazione.