In un panorama tanto vasto, abbiamo incontrato Gary Quinn, life-coach americano, – o forse sarebbe meglio definirlo life-shifter – nel suo studio di Milano, per conoscerlo e scambiare con lui alcune riflessioni sulla figura del coach in generale e sul suo percorso in particolare.
Ci si presenta con un sorriso aperto, di chi ha a cuore il mettere a proprio agio chi ha davanti, la consapevolezza di una forza interiore non comune, e l’altruismo di volerla condividere.
Parla in modo pacato, e siamo immersi nella conversazione quasi senza accorgercene, come capita con una persona che si conosce da tempo. Abbatte le nostre difese e ci convince.
Per dirla all’americana: he’s no ordinary coach.
Ci racconta di un percorso personale che ha i tratti dell’avventura: un passato da nuotatore professionista, poi cantante, manager di attori, una storia che dimostra uno dei suoi assunti fondamentali. Ovvero che, nella vita, non sono le circostanze esterne ma le nostre convinzioni interiori a dettare il passo del viaggio, che sia familiare o professionale non importa. Ci spiega e francamente convince – come tutto parta da noi.
Chi è, e cosa fa, un coach? Partiamo dalla parola: coaching ha un significato non traducibile, a metà strada tra guidare ed educare. Lo usiamo anche in campo calcistico, e non solo. Gli atleti lo chiamano il coach: una figura a cui affidarsi, che detti una strada, che dia una linea e un passo, imposti un programma. Ma poi, l’allenamento lo sostiene l’atleta! Ecco, se partiamo dall’ambito sportivo tutto può essere più chiaro: il coach è una figura che, entra in contatto e imposta un cammino, aiuta ad evitare errori, motiva “il suo atleta”. Ma non si sostituisce a lui. Mai. Detta e segue un percorso tenendolo nella rotta desiderata.
E nel suo caso specifico, cosa fa? Dipende dalle circostanze. Il mio cammino, coi suoi incidenti di percorso da cui imparare, mi ha portato a decidere di mettere a disposizione degli altri ciò che ho avuto modo di vedere e dunque di apprendere. Molte persone si rivolgono a me, e quando si aprono la situazione è a volte allarmante. Oggi l’offerta di canali con cui si veicolano le informazioni aumenta proporzionalmente gli input a cui siamo sottoposti.
O li gestiamo, o ne siamo schiacciati. A tutti i livelli e su tutti i fronti. Dall’immagine, spesso proiezione di un successo personale che non c’è o è comunque fragile, all’ambito lavorativo, dove ci vengono scaricate addosso informazioni confuse, incomplete. Dobbiamo imparare in questo senso a gestire gli stimoli. Per questo nei miei seminari mi piace l’idea di mettere a disposizione uno spazio dove la gente si riconfiguri, si resetti, si rimetta in contatto con se stessa, respiri.
Respirare: lo sa che spesso ci dimentichiamo di farlo? Viviamo, causa lo stress, in una sorta di apnea costante, che rispecchia stati emotivi alterati e completamente confusi.
Potrebbe darci qualche esempio di come aiuta le persone a migliorare la propria vita? Il mio programma, The YES Frequency, si basa su alcuni pilastri, ma poi può essere declinato di volta in volta a seconda delle esigenze, personali o anche aziendali.
In concreto, dobbiamo operare una selezione dei nostri valori, quelli che riteniamo più importanti: gli irrinunciabili. Riconnetterci alla nostra spiritualità irripetibile, operare un vero e proprio De-Tox da idee obsolete, che ci ancorano al passato. E questo può essere successo anche per anni, e quindi non è cosa semplice.
Focalizzare il nostro pensiero sugli altri è un altro dei punti chiave che tratto: pare difficile da credere in una società edonistica che spesso perde la via, ma è come una ruota che gira: se mi metto davvero a disposizione degli altri, posso creare un rapporto di reciprocità che, nel breve ma anche nel lungo periodo, finirà per caratterizzare in meglio la mia vita, e poi coglierne i frutti. Occorre superare lo stato di stress crescente, tenere con gli altri una relazione trasparente…
Questo riguarda l’io in azione che si rapporta con gli altri. E su noi stessi? Qui è dove il lavoro si fa ancora più intenso: superando le nostre paure, come dicevo, ci apriamo a una frequenza diversa, che io chiamo, appunto, The YES Frequency. Lo faccio ripetere più e più volte durante i miei seminari. È una parola dalla frequenza miracolosa. Non funziona SI’, Nemmeno OUI e tantomeno JA. No, la parola YES sprigiona una capacità di proiezione al futuro, di apertura, di positività. Provare per credere.
L’altra parte su cui mi concentro è il superamento dell’auto-sabotaggio. Sa che più del 60% delle migliaia di pensieri di ogni giorno è negativo? Come posso in questo caso improntare la mia vita alla positività, quando anche a livello neurologico, puramente chimico, produco tanta negatività, spesso senza nemmeno saperlo?
Preoccupazioni che spesso riguardano cose su cui, fermandomi a ragionare, capirei che nemmeno posso avere alcun controllo. Una volta superato questo stato mentale, anche la mia autostima finirà col giovarne, e così la mia vita professionale, quella familiare; una nuova energia è a portata di mano, basta conoscere gli strumenti per saperla cogliere… e cavalcare.
In che senso il suo programma è declinabile nelle aziende? Intendo dire che il programma che ho creato, può essere di volta in volta “ritagliato su misura” attorno alle esigenze che emergono riguardo una singola realtà. Si pensi a un’azienda: è un’entità sfaccettata, che coinvolge fattori umani, investimenti economici, aspettative di crescita e di soddisfazione personale del singolo.
Il mio coinvolgimento consiste nell’entrare in contatto, conoscere i dipendenti, i programmi, i dirigenti. Capire come organizzare il lavoro, impostare la comunicazione in senso “verticale”, con i dipendenti, ma anche “orizzontale”, ovvero tra colleghi, evitando inutili tensioni, competizioni che minano il raggiungimento degli obiettivi. Insomma, a ciascun caso la sua soluzione specifica. Un programma “astratto” che diventa concreto e si arricchisce in modo diverso a seconda delle occasioni in cui viene applicato.
Qual è il feedback del suo pubblico? Ho la fortuna e la soddisfazione di dire che è quasi sempre positivo. Mentirei se dicessi che non ci sono mai casi di delusione. Ma il più delle volte sono correggibili, e molte altre sono anche derivanti da una sorta di negligenza. Pensiamoci: quando vado dal medico espongo un sintomo, e sta al medico cercare di capirne l’origine e darmi una cura.
Mi prescriverà di prendere qualcosa, di tenere un certo comportamento, evitare cibi cui sono allergico. Ma se non applico questi suggerimenti, non solo avrò vanificato il suo aiuto, ma non potrò nemmeno lamentarmi dei mancati risultati.
Con quali aziende ha collaborato nella sua carriera? Alcune piccole, altre grandi, e c’è sempre molto da imparare. Tra i miei highlights, per così dire, Microsoft, Amazon, Christie Digital, Indigo, Mattel… mi ritengo fortunato.
E se volessimo partecipare a uno dei suoi prossimi seminari? Quali sono i più imminenti? Il prossimo si terrà a Milano, il 5 ottobre. Manca davvero pochissimo. L’ho chiamato The Quantum YES Business Seminar. Torniamo al concetto dell’adattabilità del format. Nelle parole scelte per il titolo, volevo riportare a quel salto quantico che tutti noi, magari con un piccolo aiuto siamo chiamati a fare e possiamo fare se solo lo vogliamo veramente, e naturalmente all’ambito business. Il seminario riguarderà quindi tutti quegli aspetti che ci coinvolgono direttamente ogni giorno sul fronte professionale, per migliorare i nostri stati emotivi ed essere più produttivi e focalizzati nel raggiungere i nostri obiettivi.
Grazie mille per il suo tempo! Grazie a voi! È stato un piacere!