Correre una maratona da amatori non è una facile, correre una ultra-maratona è da folli, correre la Atene – Sparta – Atene di 490 kilometri è da folli. Io un folle lo conosco posso dire con vanto e orgoglio salodiano.
Complice il libro di Marco Olmo trovato sulla mia scrivania la scorsa estate:
“Un regalo” mi dice papà “un regalo che io faccio a te perché a me lo hanno regalato ed è stato uno dei libri più belli apprezzati che potessi leggere”….. “regalato da chi?” replico con la mia tipica diffidente di figlia unica, gelosa del proprio papà “Regalo di Fulvio” mi risponde.
“Fulvio chi?”
“Fulvio, un maratoneta di Salò, anzi un ultra-maratoneta che tra le altre, ha corso alla Marathones des Sable quella di marco Olmo!”.
Tanto è bastato per farmi alzare le antenne per cogliere questa opportunità al volo e per parlare direttamente con chi lo ha vissuto, cosa significa aver corso una (più ad essere precisi) ultra-maratona.
“Va bene, allora….. Conosciamolo questo Fulvio!”. Ho esploso di botto facendo sussultare chi era nella stanza con me.
Fulvio Moneghini classe 1967 ci riceve a casa sua con l’entusiasmo di chi ti conosce da sempre, te ne accorgi già da come ti stringe la mano, con un sorriso aperto e sincero che ti fa sentire subito a tuo agio.
Cosa ti scatta nella testa che ti porta a correre una ultra-maratona? “Già la corsa insegna e ti cambia, ma correre per centinaia di chilometri, mi ha insegnato tante cose. Quando ti trovi solo nel deserto, cosa che mi è capitata spesso, ti senti come un puntino nell’oceano e capisci che per vivere non hai bisogno di molto, te lo dimostrano le persone che incontri, e lo scopri anche da te nel corso della vita. Ti basta un po’ di acqua, una maglietta, un pentolino e delle scarpe da running. Tutto il resto è “un di più” del quale puoi fare tranquillamente a meno. Capisci che meno cose hai e meglio stai. Meno pensieri, meno crucci. Scopri il senso più profondo della vita, e non solo durante la corsa o le gare, questa filosofia, la declini poi nella quotidianità, in ogni situazione della vita e inevitabilmente, finisci col vivere meglio”.
Fulvio come tanti di noi ha iniziato a correre tardi, dopo una vita di mangiare, bere, TV, divano e l’immancabile pancetta del benessere.
Un giorno ha detto basta e ha iniziato a correre, gli amici e la famiglia, come spesso accade in queste situazioni, lo abbiamo vissuto tutti noi, gli hanno dato del matto, ma Fulvio dopo le prime corsette di zona ha iniziato a correre seriamente prima le maratone e poi, il colpo di testa, l’iscrizione alla 100 kilometri del Sahara.
100 partecipanti da tutto il mondo, non uno di più.
Una gara tosta, solo per gente di carattere e di un certo spessore non solo fisico per intenderci.
Basta solo considerare che nel kit in dotazione alla iscrizione, c’è un coltello perché nell’eventuale e sfortunata evenienza in cui un runner si perda nel deserto, senza acqua, e senza possibilità di chiamare i soccorsi, piuttosto che morire di disidratazione che pare essere una morte terribile, ti spiegano come reciderti la vena femorale e morire in fretta. Bene.
“Conosco una persona, un runner” mi spiega Fulvio “che ha fatto la Marathon des sables negli anni ’90. Si era perso e del tutto inconsapevolmente si era diretto verso l’Algeria, circa 200 kilometri dal percorso ufficiale per intenderci. Stava ovviamente morendo di sete perché essendo fuori pista aveva saltato tutti i check-point di rifornimento, a quel punto ha deciso di tagliarsi le vene dei polsi ma essendo disidratato, il sangue non usciva. Ha interpretato questa cosa come un segno divino, non era il suo momento, da li ha ritrovato le forze per ripartire e, poco dopo si è imbattuto in un accampamento di donne Tuareg che l’hanno aiutato e gli hanno salvato la vita. Ovviamente poi la polizia algerina l’ha arrestato per aver sconfinato senza documenti di identità. Nel 2012, ha rifatto la gara, ed è arrivato al traguardo, questa volta, senza perdersi”. E io che mi sono lagnata per mesi per aver perso le unghie dei piedi dopo la maratona di New York…….
Fulvio, per niente competitivo e schiavo del Garmin, ha deciso di correre ultra-maratone perché troppo lento in maratona (3 ore e 36 minuti il PB e non si era nemmeno impegnato).
Parliamone….. io per chiudere Londra in 3 ore e 51 ho lasciato mezzo polmone davanti a Buckingham Palace.
Una volta stava per chiudere una maratona in 3 ore e 15, ha però visto una ragazza in difficoltà, crisi di testa e di fisico, voleva ritirarsi, Fulvio non ci ha pensato due volte, ha rallentato, le si è affiancato e l’ha portata a tagliare il traguardo in 5 ore e 50.
Perché Fulvio è una persona così, la felicità che ha visto negli occhi di quella ragazza lo ha ripagato più di un personal best. “del resto la medaglia me l’hanno data indipendentemente dal tempo di chiusura….. quindi….. io sono contento anche così.”
Le ultra non sono gare, sono dei veri e proprio viaggi che ti riempiono corpo e spirito, sono esperienze emotive che arricchiscono chi le fa e chi sta vicino ed ha la fortuna di sentirne raccontare.
Di ultra-maratone nel deserto Fulvio ne ha corse parecchie. In una si è addirittura classificato al terzo posto, nonostante avesse aiutato due persone in crisi lungo il percorso, crisi che se sottovalutate ti mandano dritto all’ospedale se non peggio, è arrivato a podio subito dopo professionisti che di corsa ci vivono e che il lunedì mattina non devono andare in ufficio o in fabbrica a lavorare.
La struttura fisica e la meticolosa preparazione atletica aiutano, ma certe persone sono portate per natura per una certa tipologia di gare, non ce n’è.
“Per quanto il fisico possa essere forte, la vera forza viene sempre dalla mente” mi spiega Fulvio. E forse il fatto di non dover dipendere da tempi e Garmin, probabilmente anzi sicuramente aiuta. Fatto sta che Fulvio si spara lunghi da 45 kilometri e ripetute in salita sul colle della Maddalena a Brescia, salite che io non riuscivo a fare nemmeno con il mio motorino Ciao nuovo di pacca.
E lo fa con una semplicità disarmante, lo vedi dai video che ti mostra con orgoglio e pudore di bambino, e lo fa non per vantarsi ma per coinvolgerti in quelle emozioni che solo chi ha il coraggio di affrontare una ultra-marona prova, e riesce a trasmettere.
Così come quando ti racconta della sua ultima impresa perché non potrei definirla in maniera diversa, la Milano-Sanremo, 285 kilometri da coprire in 48 ore dal via. Partenza dalla Darsena di Milano per proseguire poi lungo il tracciato della classicissima del ciclismo. Una gara a massacrante, da correre per lo più su strada e cemento, attraverso il Turchino per arrivare, attraverso tutta la Riviera di Ponente, fino al mare di Sanremo. Si corre giorno e notte senza tregua. La gara finisce quando il concorrente si tuffa nelle acque del mare.
285 in 48 ore, fa paura solo a scriverlo. E per Fulvio che l’ha fatta l’anno scorso insieme al compagno di corse e di avventure di sempre, Sandro Gaffurini, sembra essere la cosa più naturale del mondo. Tanto che l’ha replicata quest’anno ma senza Sandro e neanche a dirlo è arrivato al traguardo che non sembrava avesse neanche corso. Con Sandro, Fulvio ha corso parecchie gare e non solo nel deserto. Il legame che si è creato tra i due è così forte ed è tale la fiducia reciproca che Fulvio ha imparato a correre dormendo. Si aggancia allo zaino di Sandro e fa dei micro-sonni di tre, quattro minuti che gli permettono di rigenerarsi senza sospendere la corsa.
E poi l’impresa conclusasi la scorsa notte che ha del leggendario.
La ASA competizione arrivata alla quinta edizione ossia, la Atene – Sparta – Atene di ben 490 kilometri completati in 92 ore e 48 minuti.
Una gara che solo a raccontare fa venire i brividi.
Fulvio ha tagliato il traguardo al solito sorridente e con gli occhi colmi di emozioni e noi che lo abbiamo seguito passo, passo, giorno e notte ci siamo commossi perché in fondo anche noi la abbiamo vissuta di riflesso.
La prossima? Forse il Tor des Geants?